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la Fornero
[ame=http://www.youtube.com/watch?v=irxGK_zdN2s&feature=relmfu]Lavoro: ministro Fornero e operai Fiat (Copertina Servizio Pubblico 29 marzo 2012) - YouTube[/ame]
 

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introduzione di Santoro a SERVIZIO PUBBLICO
[ame=http://www.youtube.com/watch?v=YhdIkI14mUc&feature=list_related&playnext=1&list=SP8A0518A74F68D2D6]Michele Santoro risponde a Vittorio Feltri (Editoriale Servizio Pubblico 19a puntata 29 marzo 2012) - YouTube[/ame]
 

tontolina

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il vero problema dell'italia è il FIsco oppressivo e la legalità ingiusta ed eccessivamente biblica
messi in evidenza da questi interventi

[ame="http://www.youtube.com/watch?v=8Uw8QVEM-XQ&feature=BFa&list=SP8A0518A74F68D2D6&lf=list_related"]Riforma del Lavoro: Caso Alcatel (Servizio Pubblico 29 marzo 2012) - YouTube[/ame]

[ame="http://www.youtube.com/watch?v=H2dzy51ck-o&feature=BFa&list=SP8A0518A74F68D2D6&lf=list_related"]Riforma del lavoro: Federica De Luca - ISFOL (Servizio Pubblico 29 marzo 2012) - YouTube[/ame]
 

tontolina

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Naturalmente Marpionne ...

Fiat, Hot News
Fiat non va via l’Italia: resta nodo sede

Marchionne elogia l'impegno Monti sull'articolo 18

Oggi, ore 08:51 - 0 Commenti
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La Fiat non andrà via dall’Italia. Lo ha affermato, in modo chiaro l’ad del Lingotto, Sergio Marchionne durante l’inaugurazione della prima concessionaria monomarca Fiat in Nord America, nei pressi della capitale canadese Toronto. Marchionne, con la sua risposta ha così tentato di mettere a tacere le voci che evidenziavano la possibilità che il Lingotto potesse utilizzare la questione dei tre operai di Melfi licenziati e poi reintegrati dalla magistratura, per fare le valige e andare via dall’Italia. Nonostante però Marchionne abbia ribadito che Fiat non lascerà l’Italia, ricordiamo ai nostri lettori che lo stesso Ad di Fiat appena un mese fa non chiuse alla possibilità che Fiat cambiasse sede. Lo scenario quindi ipotizzabili, anche alla luce del tracollo delle vendita del Lingotto in Italia, è che Fiat pur restando nel nostro paese ridimensioni la sua presenza e sposti la sede centrale nelle aree di potenziale maggiore sviluppo. Il numero uno di Fiat nel suo intervento è tornato anche sulla questione dell’articolo 18, affermando che il tentativo di riforma messo in atto da Monti deve essere sostenuto e che il governo italiano devo essere messo nelle condizioni per poter lavorare.
 

tontolina

Forumer storico
il vero problema dell'italia è il FIsco oppressivo e la legalità ingiusta ed eccessivamente biblica
messi in evidenza da questi interventi

Riforma del Lavoro: Caso Alcatel (Servizio Pubblico 29 marzo 2012) - YouTube

Riforma del lavoro: Federica De Luca - ISFOL (Servizio Pubblico 29 marzo 2012) - YouTube

la trasmissione di ieri
finalmente mi ha chiarito i termini della questione
e ho capito che la modifica dell'art.18 favorisce le grandi imprese e fa ricadere il costo su quelle medie e piccole


come dire....
Oggi alcuni imprenditori stanno delocalizzando dalla Lombardia in Svizzera oppure dal Veneto alla Slovenia

Domani Tutti se ne andranno
perchè, con questa riforma, i costi sugli imprenditori salirebbero dal 70% di oggi ad almeno all'80%
 

lupoalberto66

Forumer storico
copio le riflessioni che ho scritto a commento del bellissimo articolo di Gipa sul blog,

Articolo 18 e flessibilità del lavoro | Opinioni dal mondo


Quando i tedeschi, una decina di anni fa, implementarono, fra le altre, la riforma del mercato del lavoro, affidandone la stesura al (divenuto) ex direttore del personale del gruppo VW, fondamentalmente i capisaldi della stessa erano due:
- da un lato, una riduzione delle tutele post-perdita del posto di lavoro simile a quella della “riforma” Fornero, 12 e per gli ultracinquantenni fino a 18 mesi di assistenza economica e poi ciao;
- una consistente riduzione del cuneo fiscale-contributivo con relativo abbattimento del costo del lavoro a spese dello stato (e quindi non delle retribuzioni nette), che difatti permise l’ emersione di circa 900.000 posizioni prima di allora sommerse, che almeno in parte compensarono i minori introiti da parte della pubblica amministrazione. Il resto venne finanziato con una selettiva opera di riduzione di spesa pubblica per svariati punti di pil, che comunque non hanno certo trasformato la Germania in un paese privo di welfare, anzi…
Prescindendo comunque da valutazioni di ordine politico, è innegabile, a mio parere, che delle due gambe alla base della riforma tedesca, il governo italiano ne abbia selezionata con accuratezza una, quella che scarica i costi sociali sul lavoratore, e ne abbia scartata con gran demerito l’ altra, quella riguardante la riduzione delle pretese della pubblica amministrazione, che poi rappresenta (sempre parere mio) la vera discriminante per un efficientamento del mercato del lavoro.
Chi pensa che sia sufficiente l’ aumento dei costi su tutte le forme di contratto a tempo per obbligare le imprese ad assumere in massa le persone a tempo indeterminato commette un errore di miope dirigismo: in Italia il fattore maggiormente ostativo all’ assunzione è il costo nella sua componente fiscale e contributiva (non certo salariale): o si affronta quello, oppure il solo effetto di interventi di stampo burocratico-dirigistico sarà un aumento della delocalizzazione da un lato e del sommerso dall’ altro. Con buona pace della riforma “alla tedesca”. Nessuna impresa mette a repentaglio il proprio conto economico solo perchè un giorno un ministro decide di innescare una gara al rialzo sui costi.
Tra parentesi, il maggior utilizzatore di precari è lo stato, che in questi ultimi anni ha fatto incetta di lavoratori con forme contrattuali flessibili per aggirare i blocchi di turnover imposti dalle manovre di austerity sulle proprie piante organiche; ciò ovviamente non è colpa dell’ attuale governo, ma sono curioso di vedere come verrà affrontata la questione.
Se si considera che in Italia, nel settore privato, una larga parte dei posti di lavoro sono appannaggio delle aziende con meno di 15 dipendenti e se si pensa alla varietà di strumenti a disposizione delle medio-grandi in un ambiente globalizzato (delocalizzazione, chiusura di reparti e/o di unità produttive con relativa messa in mobilità, etc) ci si rende conto di quanto sia sterile la pantomima nata intorno all’ art.18, de facto bypassato dal sistema ormai da tempo e abilmente utilizzato come totem da abbattere allo scopo di deviare l’ attenzione dell’ opinione pubblica dalla vera consistenza di questa “riforma”:
una riduzione di tutele in uscita superflua (anche se dall’ elevato valore simbolico), accompagnata da un falso incremento di elasticità in entrata. Il risultato (naturalmente bisognerà attendere il testo definitivo) sembra proprio lasciare a disposizione una sola leva: la riduzione del salario.
Un altro effetto di medio termine saranno i problemi che si troveranno ad affrontare quei 60enni che, usciti dal mercato del lavoro, dovranno fronteggiare la prospettiva di trascorrere 4,5 o 6 anni senza l’ ombra di un supporto economico in attesa di una pensione che però forse non arriverà nemmeno perchè rischieranno di non aver versato abbastanza contributi.
Da un lato, aumento dell’ età pensionabile, dall’ altro, in contemporanea, soppressione delle modalità di accompagnamento alla stessa.
In mezzo, una pressione fiscale su lavoro e impresa senza precedenti.
Obiettivi di bilancio pubblico perseguiti con queste modalità non so se salveranno l’ Italia dal fallimento, certamente non salveranno dal fallimento una bella fetta di italiani.
 

tontolina

Forumer storico
copio le riflessioni che ho scritto a commento del bellissimo articolo di Gipa sul blog,

Articolo 18 e flessibilità del lavoro | Opinioni dal mondo


Quando i tedeschi, una decina di anni fa, implementarono, fra le altre, la riforma del mercato del lavoro, affidandone la stesura al (divenuto) ex direttore del personale del gruppo VW, fondamentalmente i capisaldi della stessa erano due:
- da un lato, una riduzione delle tutele post-perdita del posto di lavoro simile a quella della “riforma” Fornero, 12 e per gli ultracinquantenni fino a 18 mesi di assistenza economica e poi ciao;
- una consistente riduzione del cuneo fiscale-contributivo con relativo abbattimento del costo del lavoro a spese dello stato (e quindi non delle retribuzioni nette), che difatti permise l’ emersione di circa 900.000 posizioni prima di allora sommerse, che almeno in parte compensarono i minori introiti da parte della pubblica amministrazione. Il resto venne finanziato con una selettiva opera di riduzione di spesa pubblica per svariati punti di pil, che comunque non hanno certo trasformato la Germania in un paese privo di welfare, anzi…
Prescindendo comunque da valutazioni di ordine politico, è innegabile, a mio parere, che delle due gambe alla base della riforma tedesca, il governo italiano ne abbia selezionata con accuratezza una, quella che scarica i costi sociali sul lavoratore e sulle piccole imprese, e ne abbia scartata con gran demerito l’ altra, quella riguardante la riduzione delle pretese della pubblica amministrazione, che poi rappresenta (sempre parere mio) la vera discriminante per un efficientamento del mercato del lavoro.
Chi pensa che sia sufficiente l’ aumento dei costi su tutte le forme di contratto a tempo per obbligare le imprese ad assumere in massa le persone a tempo indeterminato commette un errore di miope dirigismo: in Italia il fattore maggiormente ostativo all’ assunzione è il costo nella sua componente fiscale e contributiva (non certo salariale): o si affronta quello, oppure il solo effetto di interventi di stampo burocratico-dirigistico sarà un aumento della delocalizzazione da un lato e del sommerso dall’ altro. Con buona pace della riforma “alla tedesca”. Nessuna impresa mette a repentaglio il proprio conto economico solo perchè un giorno un ministro decide di innescare una gara al rialzo sui costi.
Tra parentesi, il maggior utilizzatore di precari è lo stato, che in questi ultimi anni ha fatto incetta di lavoratori con forme contrattuali flessibili per aggirare i blocchi di turnover imposti dalle manovre di austerity sulle proprie piante organiche; ciò ovviamente non è colpa dell’ attuale governo, ma sono curioso di vedere come verrà affrontata la questione.
Se si considera che in Italia, nel settore privato, una larga parte dei posti di lavoro sono appannaggio delle aziende con meno di 15 dipendenti e se si pensa alla varietà di strumenti a disposizione delle medio-grandi in un ambiente globalizzato (delocalizzazione, chiusura di reparti e/o di unità produttive con relativa messa in mobilità, etc) ci si rende conto di quanto sia sterile la pantomima nata intorno all’ art.18, de facto bypassato dal sistema ormai da tempo e abilmente utilizzato come totem da abbattere allo scopo di deviare l’ attenzione dell’ opinione pubblica dalla vera consistenza di questa “riforma”:
una riduzione di tutele in uscita superflua (anche se dall’ elevato valore simbolico), accompagnata da un falso incremento di elasticità in entrata. Il risultato (naturalmente bisognerà attendere il testo definitivo) sembra proprio lasciare a disposizione una sola leva: la riduzione del salario.
Un altro effetto di medio termine saranno i problemi che si troveranno ad affrontare quei 60enni che, usciti dal mercato del lavoro, dovranno fronteggiare la prospettiva di trascorrere 4,5 o 6 anni senza l’ ombra di un supporto economico in attesa di una pensione che però forse non arriverà nemmeno perchè rischieranno di non aver versato abbastanza contributi.
Da un lato, aumento dell’ età pensionabile, dall’ altro, in contemporanea, soppressione delle modalità di accompagnamento alla stessa.
In mezzo, una pressione fiscale su lavoro e impresa senza precedenti.
Obiettivi di bilancio pubblico perseguiti con queste modalità non so se salveranno l’ Italia dal fallimento, certamente non salveranno dal fallimento una bella fetta di italiani.

in modo molto elegante ha argomentato molto bene il concetto che avevo espresso in modo sintetico. :up:
 

tontolina

Forumer storico
gli ammortizzatori sociali verranno modificati fra 5 anni e costeranno al contribuente altri 50/60 mld di copertura finanziaria (eccola la “paccata di soldi” a cui si riferiva il ministro, che tanto ha fatto ridere i sindacati. Io ci trovo poco da ridere).

da La riforma del lavoro
 
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