CERCASI CONTROFIGURA... PER TUTTA LA DURATA DELLE FESTE NATALIZIE

Un celebre aforisma di Bertolt Brecht, tratto dall’opera “Vita di Galilei”, recita: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.

Mai un’epoca e una nazione furono più tagliate delle nostre alle dolenti parole del drammaturgo tedesco.
Mai come oggi abbiamo bisogno di eroi, intesi come uomini fuori dal comune, capaci di scelte fuori dal comune,
ispiratori di pensieri e azioni nuove, in grado di forgiare un futuro diverso.

E allora ve ne proponiamo tre: un poeta, uno scalatore e un navigatore solitario.

Il primo è Rino Gaetano, cantautore fuori squadra che, a cavallo degli anni di piombo e di quelli da bere,
seppe mettere nero su bianco parole talmente inusuali e potenti, intrise di cultura e di denuncia, da sembrare alieno al suo tempo.
Un cantastorie in bilico, in grado di sfondare le paratie di cartapesta del Sistema musicale senza mai farsi omologare da esso.
Rino cantava perché sapeva e sapeva più di quanto potesse cantare.
Morì giovane, destino comune ai depositari di un genio d’avanguardia, troppo in anticipo per essere capito, ma provocatore a sufficienza per non passare inosservato.

Dicevano cantasse il non sense, epperò intrisi d’assurdo non erano i suoi ritornelli, ma il mondo che descriveva.
Le sue canzoni sono tanto struggenti per chi ama la poesia quanto spietate per chi odia la politica.
Rino è stato il Pasolini dei cantautori, uno che strimpellava profezie quando gli altri preferivano la corale di regime
e, non a caso, come Pier Paolo è morto ammazzato da un destino beffardo.

Lo scalatore è Walter Bonatti, dritto come le pareti che sfidava, trasparente come il ghiaccio su cui ficcava i picconi.
Lo ascolti nelle interviste d’antan e lo trovi semplicemente ‘vero’, uno che bucava lo schermo quasi fosse la crosta di dolomia di un pinnacolo alpino,
non per il carisma, che pure aveva, ma per il nitore e l’innocenza con cui si approcciava al mondo, alle cose, ai compagni di cordata.

A Walter fu scippata la gloria della conquista del K2 e, per decenni, dovette convivere con la frustrazione
di passare per malandrino mentre era il fenomeno di cui quella cima meritava il nome.
Bonatti, esaurita ogni possibile e non credibile impresa (dall’ascesa della Nord del Cervino a quella della Est del Grand Capucin),
si diede, per così dire, alla macchia. Divenne un pioniere di terre inesplorate narrate con la maestria dello scrittore affermato, sulle pagine di Epoca.

L’ultimo è Ambrogio Fogar, un milanese di terra che si inventò il più ambizioso dei progetti:
navigare controvento attraverso gli oceani del mondo con un osso di barca chiamata Surprise.
Partendo da zero, digiuno di esperienze e di appoggi, di retaggi familiari e di sponsor di grido, ci riuscì.
E quando, qualche anno dopo, fece naufragio con lo stesso barchino, lo scafo squarciato da un’orca,
andò alla deriva per settantaquattro giorni insieme al suo compagno di viaggio, Mauro Mancini, un giornalista libero e temerario quanto lui.
Il loro canotto scialuppa è visibile al museo del mare di Genova, un francobollo di tela
poco più ampio di un salvagente da cui Fogar fu tratto in salvo vivo, mentre il compagno morì.
Per quella e per ogni altra avventura ad Ambrogio toccò sistematicamente in sorte una scia di polemiche e di accuse,
meritate e no, perché gli capitò di sbagliare e di chiedere scusa fino a terminare la sua vita paralizzato su un letto e seguitò a remare controvento, nonostante tutto.


Perché proprio loro tre in questo Pantheon provvisorio e improvvisato?
Forse perché è la fine dell’ennesimo anno balordo di un buio periodo passato ad attendere che riparta la crescita.
Un’epoca che vive della dialettica patetica (e fittizia) di politici per conto terzi, dove fatichi a cavar dalle tasche
centoquaranta caratteri per un pensiero che infonda fiducia. E allora tocca riandare al passato recente
per riesumare le biografie di qualche gigante dello spirito, un poeta, uno scalatore e un navigatore solitario
che non saranno mai canonizzati e che pure risaltano come ‘santi’ sul cinereo fondale dell’oggi.

Rino ci insegna ad andare in profondità, a voler capire e ad avere l’improntitudine di trasmettere,
Walter ci insegna a non mollare il punto, a fuggire non da noi stessi, ma in direzione dei nostri sogni e a coltivarli a dispetto di tutto,
Ambrogio ci insegna a perdonare le nostre umane debolezze e a rilanciare sempre anche quando i traguardi ci paiono un ‘giro del mondo’ impossibile.

Senti i nomi snocciolati dai quotidiani come futuri capi di stato, poi ripensi alle vite dei magnifici tre
e capisci che c’è una lezione condivisa che ne accomuna le sorti legandole a un messaggio universale bello e lucente
quanto insulse e opache sono le storie di chi aspira a rappresentarci e, probabilmente, ci riuscirà.


La lezione è che non ci si salva più insieme, ma da soli.

Rino era solo quando partì con la chitarra a tracolla per colmare la distanza dalla Calabria a Roma.
Walter era solo quando conquistò il Cervino contro ogni umana probabilità.
Giorgio era solo quando puntò il Polo Nord in compagnia di un cane.

Questa è l’era più interconnessa di sempre, dove ci spronano a fondere il fondibile e cremare tutto il resto:
paesi accoppiati, aziende accorpate, banche fuse, città metropolitane, nazioni sciolte in consessi irresponsabili come le vittime di mafia nell’acido.

Tutto ha da essere saldo e coeso, le differenze stemperate, le opposizioni cooptate, le alternative annacquate,
la res publica amministrata da consorterie riservate a uomini riservati che riservatamente intessono i loro interessi spacciandoli per il bene di tutti.


Questo processo irreversibile è l’eutanasia di concetti obsoleti perché inutili o antiquati perché ‘popolari’: democrazia, partecipazione, responsabilità.

Saranno rottamati (come usa dire) e sostituiti da altri più consoni: delega, obbedienza controllo. Tuttavia non è finita.

Bonatti, Gaetano e Fogar rifulgono per aver rifiutato la logica delle camarille, del compromesso e dei clan omertosi
da cui ricevere ordini e onori, di pari passo e in pari quantità. I tre campioni del nostro pantheon,
figli orgogliosi ed esclusivi del proprio talento e delle proprie passioni, stanno lì a dirci che può scoccare un’era nuova,
in cui dovremo concentrare energie, coscienza e volontà su ciò che magari consideriamo irrilevante perché minuscolo:
la nostra vita personale, i nostri affetti, le nostre famiglie, la cerchia degli amici più intimi, le mete in grado di dare senso al domani.

Possiamo già ora, fin da subito, portare la Rivoluzione nel nostro microcosmo individuale, colmarlo di impegno, speranza, positività, desideri, obiettivi.


La democrazia del futuro non sarà quella morta e putrefatta dei cenacoli internazionali e transnazionali dell’alta finanza e delle cupole d’elite.

Sarà quella del giardino privato, dello spazio vitale, delle relazioni interpersonali.

Dobbiamo ricominciare da zero, costruire tante piccole Repubbliche fondate su un cemento specularmente antitetico
a quello che incolla le pareti di cartongesso di istituzioni finte e fasulle come il proscenio di un teatro.

Un cemento umano impastato dell’anticonformismo di Rino, della forza di Walter, del coraggio di Ambrogio.

Forse, può essere, dovremo anche smettere di partecipare ai riti fittizi della conta alle urne dove si ‘nominano’ le marionette da appendere a fili altrui.


Se ci provate vi accuseranno di ripiegarvi su voi stessi, di egoismo e di viltà, di rinuncia e disimpegno.

Ma è solo questa rinuncia radicale che potrà salvarci e riempire di cose ‘piene’ il vuoto in cui stiamo precipitando.

Ci vuole un’obiezione di coscienza universale che muova dal basso e che sommi in un progetto diverso tante isolate, ma vitali, anarchie individuali.

Dovremo alla fine fare i conti con il fatto che questo stato di cose non è emendabile,
se non muovendo dall’atomo che ciascuno di noi è, e dalla dignità e dallo slancio con cui saprà indirizzare e orientare la propria vita.
 
Riciclone di Natale anche per il 3d non solo per i regali :d:

Bene... archiviamo un altro anno e, come sempre,speriamo che il prossimo sia migliore! Magari è la volta buona :confused:
Intanto lo chiudo con il mignolo rotto:wall: (lo spirito da pallavolista non è invecchiato insieme alle ossa:d:).

Auguri di un Felice Anno Nuovo a tutti Voi :)


upload_2019-12-30_0-25-38.jpeg
 
C’è chi dice che i proventi delle banche da creazione monetaria vanno messi nel conto economico, come utili,
chi invece, nell’equity o patrimonio netto, che è messo al passivo,
chi invece come la sottoscritta dice che vanno messi nella cassa dello stato patrimoniale e dovuti ai sovrani.

Nel primo caso – il reddito monetario negli utili del conto economico (cfr. 1) – si riconosce l’enorme profitto alle banche
e in certo qual modo lo si legittima, a meno che non si istituisca una tassa al 100% sul reddito monetario da devolvere alle casse dello Stato,
reddito monetario inteso come valore facciale del capitale creato + gli interessi, e non come adesso che il mondo bancario lo definisce unicamente come gli interessi.

Nel secondo caso – il reddito monetario nel patrimonio netto – si fa il paragone con le azioni versate dai soci delle aziende,
solo che tale patrimonio netto è messo al passivo, e come Van Cleve (cfr. 2) mi insegna tale passività è ambigua
e dubbia perchè nella colonna delle passività, o dell’avere, dello stato patrimoniale si mescolano sia le passività dovute all’esterno
sia quelle dovute a sé stessi, cioé ai proprietari degli enti giuridici fantasma, le banche.
Il patrimonio netto dovrebbe essere un saldo e non una passività con in contropartita un’attività.

pdimage7schemino.jpg

Da Principles of Double-Writing Book-Keeping di Van Cleve, 1913: il capital stock + il surplus
che equivalgono al patrimonio netto sono messi al passivo nei confronti di un intermediario, o la società,
tra i proprietari e l’esterno, un intermediario che sarà debitore di ciò di cui gli azionisti sono creditori: il patrimonio netto.



Nel terzo caso – con la creazione monetaria nella cassa dello stato patrimoniale – si riconosce ab initio che la moneta appartiene ai sovrani,
cioè i cittadini soci proprietari della cassa cooperativa pubblica. Questo perché il valore ai segni scritturali lo diamo noi,
con la nostra persona, il nostro valore, la nostra accettazione del contratto implicito nella moneta, le nostre transazioni, le nostra attività.

creazionemonetariacorrettatesoro.jpg

Da Relazione Far falla, Forcheri, 2016. In dare (attivo) la creazione monetaria, in avere le destinazioni di tale creazione monetaria.
La creazione monetaria è iscritta nella Cassa, voce 10 dello stato patrimoniale del Tesoro che funge da cassa, cooperativa pubblica,
di tutti i cittadini-proprietari; in contropartita il debito nei confronti dei cittadini. Il criterio di creazione è: demografia, opere pubbliche, patrimonio e pil.

Nel primo caso – creazione monetaria negli utili del conto economico – si descriverebbe la situazione qual è attualmente –
sebbene attualmente si segnino unicamente gli interessi nel conto economico – e si metterebbe in evidenza il fatto che le banche,
se così facessero, non potrebbero fallire poiché spendono ciò che creano senza riserve, aumentando il bilancio ad ogni compravendita di obbligazioni,
asset, valute e quant’altro. Se falliscono quindi succede unicamente per una malintesa interpretazione dei prestiti interbancari,
o partite compensative tra banche che squilibrano i conti ulteriormente in senso passivo.

Nel secondo caso – rendita monetaria nel patrimonio netto – non usciamo dalla matrice della moneta-debito
perché tale moneta creata sarebbe comunque segnata come passività dello stato patrimoniale e, come detto sopra,
tale passività è ambigua per via dell’identità fumosa dell’ente giuridico, che fa da schermo tra gli azionisti
– veri proprietari, chi più chi meno, più o meno privilegiati – e l’esterno.
Un patrimonio netto, che secondo l’ardita ma geniale teoria dello specialista e patito ma “dimenticato” di partita doppia,
Van Cleve, andrebbe segnato non già come passività bensì come saldo.

vanclevecorretta.jpg

Nel primo esempio, lo stato patrimoniale attuale (1913) con il patrimonio netto (Capital stock + surplus) al passivo e in contropartita l’attività equivalente.

Nel secondo caso, lo stato patrimoniale corretto secondo Van Cleve, con il patrimonio netto come SALDO. Tratto da Principles of Double Writing Book-keeping, Van Cleve (1913).

Nel terzo caso – rendita monetaria alla voce 10 della Cassa dello stato patrimoniale (cfr. 3), si riforma completamente il concetto di moneta,
uscendo dalla definizione farlocca di debito, per rientrare nel concetto di cassa di proprietà degli utenti/cittadini.

creazionemonetariacorrettabc.jpg

Tratto da Moneta Far falla Contabilità corretta per una moneta fiat non debito.
La creazione monetaria è iscritta nella cassa della BC, che è controllata dal Tesoro, in contropartita al debito della stessa creazione nei confronti del Tesoro,
il quale la iscrive come credito, e in contropartita come debito nei confronti dei cittadini sovrani. Si è rovesciata la piramide !

Nel primo caso – proventi da signoraggio negli utili del conto economico – non si affronta il problema della proprietà del valore monetario che rimane implicitamente all’istituto bancario,
nel secondo caso – rendita monetaria nel patrimonio netto – lo si affronta ma la soluzione è pur sempre “debito”, finto o apparente che sia, alla luce della geniale intuizione del Van Cleve;
nel terzo – reddito monetario nella Cassa dei cittadini – si sposano definitivamente i principi della Costituzione laddove essa sancisce sia la sovranità al popolo,
sia la tutela della proprietà privata (i soldi in cassa sono MIEI) sia il principio della cooperazione (la moneta nasce come proprietà di tutti e di ogni singolo cittadino)
sia quello dell’esclusiva competenza dello Stato in materia monetaria, nonché il controllo del credito che spetta per Costituzione alla Repubblica

Nforcheri 08/05/2018.



  1. Massimo Costa, Biagio Bossone: La Moneta è debito o capitale per chi la emette? 2018
  2. Van Cleve, 1913, Principles of Double-Writing Book-keeping
  3. N. Forcheri, Relazione Moneta Far Falla, Parlamento settembre 2016
 
La Welt ha riportato una notizia non proprio positiva per l’economia tedesca, non tanto per il fatto in se,
ma come elemento indicatore di una regressione economica che inizia ad essere preoccupante.

La capitalizzazione di tutte le aziende tedesche quotate in borsa è inferiore a quella dei soli due colossi americani Apple e Microsoft, come si può vedere in questa successiva immagine.



Basterebbe far notare che Tesla, il pioniere americano dell’auto elettrica ora vale 78 miliardi di dollari,
quasi 20 miliardi in più di Daimler e circa 25 miliardi in più di BMW.
E il divario con la Volkswagen si è ridotto a ben $ 20 miliardi. Un anno fa il vantaggio del Wolfsburg era di $ 30 miliardi.

Le aziende tedesche sono fuori dalle prime 50, con l’eccezione di SAP, che ancora rimane fra i top.

La borsa non misura il valore attuale di un’azienda, ma cerca di darne una valutazione prospettica, legata al futuro,
e questo non appare quindi per nulla roseo per le aziende tedesche.

Del resto, con l’eccezione parziale di SAP, sono molto lontane dalle nuove tecnologie che attualmente sembrano le più promettenti nel futuro.

La Germania sta perdendo posizioni non da oggi, ma dal 2014, proprio quando il suo modello export led sembrava vincente.

In realtà i facili profitti derivanti dall’euro svalutato non hanno fatto altro che impigrire le società tedesche non spingendo verso l’innovazione, ma verso la tradizione.

La Germania è diventata come l’Italia degli anni 90: un’economia dove i gruppi maggiori crescevano in modo passivo.

Ed Ora ?

Le prospettive sono anche peggiori della realtà, e queste influenzano le quotazioni delle aziende tedesche.

La politica verde, l’imposizioni di limiti incoerenti sulle emissioni sia a livello nazionale sia europeo,
il calo della capacità di acquisto dei cittadini legata alle nuove imposte “Verdi”, tutto questo
non farà che deprimere le prospettive di utili delle società tedesche e, quindi, anche le loro quotazioni di borsa,
oltre alla loro capacità di trovare capitali ad un costo conveniente.

La necessità del governo di nascondere le proprie mancanze dietro il paravento ecologista porterà a fondo anche l’economia tedesca.

L’Italia, se vuole almeno parzialmente salvarsi deve cercare di staccarsene al più presto.
 
In un momento in cui si parla del futuro di ILVA, della produzione italiana ed europea di acciaio nell’era del Green New Deal,
può essere utile analizzare in una prospettiva storica la produzione dell’acciaio e del ferro mondiale a parte dal 1816 , cioè dagli albori dell’industrializzazione.

Ovviamente inizieremo con una forte prevalenza della produzione inglese, per terminare con una prevalenza di quella cinese.

Però vediamo tre singoli momenti importanti nella storia.

La posizione prima della prima guerra mondiale :



L’Italia nel 1914 produceva un quindicesimo dell’acciaio tedesco, un venticinquesimo di quello USA.

Vediamo la situazione nel 1939, prima della seconda guerra mondiale:



Il distacco della produzione d’acciaio italiana rispetto a quella degli altri belligeranti era enorme nella prima guerra completamente moderna della storia,
che, fin dall’inizio, era basata sui mezzi corazzati, sui camion, sugli aerei, insomma su acciaio, ferro, leghe leggere.

In questo grafico è mostrato il colossale errore di Mussolini ed il grado di arretratezza non colmabile del nostro sistema industriale.

Vediamo il 1995, prima dell’entrata nell’euro:



La differenza fra la produzione di acciaio italiana e quella di altri colossi, pur presente, era notevolmente ridotta, soprattutto rispetto agli altri paesi europei.

Comunque, se volete vedere tutta la storia della produzione nel tempo di ferro ed acciaio, ecco a voi il video completo.

 
La tesi più bizzarra che circola tra alcuni osservatori politici vicini al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte
stabilisce che, non essendoci alternativa all’attuale governo, l’esecutivo giallorosso
deve andare avanti fino alla scadenza naturale della legislatura.

La bizzarria della tesi dipende dalla constatazione che in ogni democrazia parlamentare,
come dimostrano le vicende politiche spagnole, britanniche e israeliane, l’alternativa alla possibilità di formare una maggioranza
nelle assemblee parlamentari esiste sempre ed è costituita dal ritorno al voto.

Negare l’esistenza dell’alternativa elettorale
non costituisce un atto di fiducia nella democrazia parlamentare,
ma rappresenta la negazione stessa di questo modello istituzionale.

Il Parlamento, infatti, non ha una legittimazione che promana dall’alto, come avveniva nelle monarchie assolute,
ma scaturisce solo ed esclusivamente dal voto dei cittadini.

In uno stato di diritto la sovranità appartiene al popolo che, nei momenti in cui i suoi rappresentanti non sono in grado di esercitarla
dando vita a maggioranze parlamentari capaci di esprimere governi, ha non solo il diritto ed il dovere di riappropriarsene ma addirittura il dovere di farlo.

Chi teorizza che un governo malnato ed inefficiente debba andare avanti negando il diritto-dovere del popolo di tornare ad esercitare la propria sovranità,
si rende responsabile di una vera e propria lesione del sistema democratico di cui, a parole, si dice sostenitore.

Ma questa perversa bizzarria non è sola.
Al suo fianco, almeno sulla carta, figura una anomalia di non poco conto.
Perché mai l’attuale Parlamento non avrebbe la possibilità di poter dare vita ad un governo diverso da quello giallorosso del Conte-bis?

All’indomani delle elezioni politiche nessuno avrebbe mai considerato possibile che forze antagoniste ed alternative
come Lega e Movimento Cinque Stelle avrebbero potuto mai concordare un contratto di governo. L’impossibile si è invece verificato.

E lo stesso vale per il Conte-bis. Chi avrebbe potuto mai immaginare che Conte sarebbe succeduto a se stesso alla guida di un governo giallorosso
nato nel giro di una decina di giorni dall’accordo di partiti fino ad allora inconciliabili?

Anche in questo caso l’impossibile è avvenuto. A dimostrazione che tutto è possibile.

Anche che le forze del centrodestra trovino una intesa con un pezzo della sinistra per dimostrare che tutto è possibile!
 
I Cinque Stelle di osservanza dimaiana sono imbufaliti con la compagna di partito e deputata Yana Ehm
che, invece di inviare un bonifico alle casse pentastellate ed alla piattaforma Rousseau,
se n’è andata in vacanza alle Maldive e ha inviato una fotografia in costume su una altalena con lo sfondo di una spiaggia dorata e di un mare di cobalto.

Ciò che rende furiosi i fedelissimi di Luigi Di Maio non è il mancato rispetto dell’impegno
a versare una parte dello stipendio da parlamentare al partito ed alla piattaforma di Casaleggio.

Se fosse questo il motivo della rabbia la Ehm, come tanti altri parlamentari che da tempo trattengono l’intero importo dell’emolumento da deputato e senatore,
sarebbe già stata bombardata di solleciti e, magari, minacciata di espulsione.

Ciò che più irrita è la carica irrisoria della fotografia.
Quella che manda a dire, a chi si affanna a tenere in piedi ad ogni costo Luigi Di Maio e Giuseppe Conte
nella speranza di conservare un posticino nelle future liste elettorali,
quanto sia meglio spendere i soldi non per la causa ma per una splendida vacanza alle Maldive che, visti i tempi, potrebbe risultare la prima ed ultima volta della vita.

Insomma, più che una foto, un “vaffa” alla decrescita, a Beppe Grillo, a Davide Casaleggio ed al povero Luigi!
Brava Yana!
 
Oh, non sanno più a cosa attaccarsi ......

Il consigliere di amministrazione della RAI Giampaolo Rossi ha preso una posizione in merito alle voci
secondo che vorrebbero Rula Jebreal alla direzione artistica del Festival di Sanremo:

“Mi risulta – ha spiegato Rossi – che ci siano stati contatti tra la direzione artistica del Festival di Sanremo
e la signora Rula Jebreal. Ne sono piuttosto stupito. Sono note le sue posizioni ideologiche radicali, filoislamiste e dichiaratamente antisraeliane
così come le fake news raccontate sulla guerra in Siria, ma ignoravo che Rula Jebreal fosse esperta di musica italiana”.

“E’ sorprendente che possa partecipare ad un Festival che rappresenta la cultura popolare del nostro Paese – osserva Rossi – chi fino a poco tempo fa definiva gli italiani razzisti […]”
 
Vi presentiamo un’interessante infografica che cerca di farvi capire meglio il problema, se esiste, dell’emissione di CO2 mondiale.

Prima di tutto un dato di partenza: la CO2 atmosferica è pari allo 0,4% del totale, e normalmente viene definita sotto “Tracce”.

Gas nobili sono più abbondanti.

Questo 0,4% è comunque alla base della fotosintesi clorofilliana delle piante.
Di questo 0,4% le stime maggiori parlano di un 20% di origine antropica, dovuto all’attività umana.

Così avete un’idea della proporzione del problema e del perchè chi dice di “Vedere” l’anidride carbonica ha bisogno di una visita medica.

Fatta questa premessa vediamo chi la emette veramente.

In questo grafico l’Europa è indicata come Unione a 28 paesi.



Qui potete vedere che l’Europa a 28 è il terzo emittente al mondo, ma le sue emissioni sono poco più di un terzo di quelle della Cina.

Sommando emissioni europee ed USA non si arriva a quelle della Cina, e gli USA sono al secondo posto.

Il sistema di tassazione del carbonio con i certificati di emissione dovrebbe contenere queste emissioni,
ma dovrebbe essere applicato globalmente, cosa che non accade, e comunque porterebbe a dei risparmi globali risibili.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto