CHI NON COMPRENDE IL TUO SILENZIO PROBABILMENTE NON CAPIRA' NEMMENO LE TUE PAROLE

Dato che il cosiddetto “ESG” cioè il comportamento, apparentemente, giusto dal punto di vista ecologico e sociale, è di moda,
sono nati indici che contengono le società che investono in questi settori.

La speranza è, ovviamente, che questi indici possano fornire una guida a investimenti
che congiungano assieme redditività e il poter affermare di essere “Buoni e giusti”.

Peccato che non vada così, che molte premesse e promesse non siano state mantenute, almeno per ora.


La guida etica non funziona, anche perché è un’etica distorta e lontana dalla realtà, e, soprattutto, auto proclamata.

Comunque questi indici sono WilderHill Clean Energy Index, che poi è alla base di un relativo ETF, e S&P Global Clean Energy.

Il primo indice si concentra sulle società quotate nelle borse statunitensi.

Il secondo si occupa di aziende che investono nel settore verde sia nei paesi avanzati sia in quelli emergenti.


Quindi sono due fondi buoni, verdi e ecologici.

Sono anche redditizi?

Beh, questo è un altro discorso…

Il primo indice ha già una certa storia, ed ecco i suoi rendimenti

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Widerhill ha perso in un anno il 57%

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S&P è andato un po’ meglio, perché ha persoSolo” il 43%.



Se invece foste stati cattivi e aveste messo i vostri soldi nel petrolio brutto e cattivo?


Vediamo come è andato l’indice S&P settoriale:

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Ops, avreste guadagnato il 48% in un anno.


Non male, con il senno di poi.

Ricordiamo che quello che è successo l’anno scorso è un insegnamento,
ma non è per nulla detto che si ripeterà in futuro.

Anzi se il denaro tornerà nel petrolio i rendimenti potrebbero scendere.


Cosa possiamo concludere che:
  • aveva ragione Vespasiano, cioè “Pecunia non olet”;

  • se i grandi fondi, come Citi o Blackrock vi dicono di fare una cosa, fate l’opposto.
  • Non tanto per il gusto del bastian contrario,
  • ma perché il rendimento si raggiunge dove il capitale è scarso non dove è abbondante.
  • E’ il mercato, bellezza;

  • la moda deve essere anticipata, mai seguita…
 
Gli studiosi hanno anche cercato di capire in che modo le soluzioni di alcol,
e per essere più precisi di etanolo,
sono efficaci nell’uccidere il virus che si trova a contatto con le superfici di plastica.


Hanno scoperto con quale formula le varie varianti venivano disattivate, e quindi rese innocue, dopo 15 secondi.

  • Per il ceppo di Wuhan e la variante Gamma bastano soluzioni alcoliche al 32,5%.

  • Per le varianti Alfa, Beta e Delta sono necessarie soluzioni alcoliche al 35%.

  • Per la variante Omicron sono necessarie soluzioni alcoliche al 40%.

L’ultima variante, in ordine cronologico, si è dunque mostrata molto più resistente all’etanolo.


Le valutazioni sulla pelle hanno invece mostrato l’efficacia delle soluzioni al 35%
nel disattivare tutte le forme del patogeno dopo 15 secondi.


I ricercatori hanno dunque concluso che sulla plastica e sulla pelle le varianti Alfa, Beta, Delta e Omicron
sopravvivono più del doppio del tempo rispetto al ceppo originale emerso a Wuhan.

E che potrebbero risultare infettive per più di 16 ore.


La loro alta stabilità ambientale può aver incrementato il rischio di trasmissioni da contatto
e contributo alla diffusione esponenziale dei nuovi virus mutati.
 
La generazione odierna vive situazioni epocali in modo non appariscente quanto sarebbe necessario,
anzi oscurate dalla clamorosa pandemia, circostanze che fanno dubitare di un’alterazione radicale del codice umano,
un mutamento, una mutazione, non credo esagerato quanto detto.

Esponendo si capirà perché è realistica la previsione.

Mi circoscriverò ad un evento che non è epocale ma avrà effetti notevolissimi e durevoli
e diventerà epocale connesso ad un altro evento.

L’inflazione che sta insorgendo nella economia mondiale soprattutto occidentale
ha gravità possente negli Stati Uniti diramandosi per l’Europa.

L’inflazione rovinerà milioni e milioni, mentre fino ad oggi i sistemi sociali hanno reagito sia pure con difficoltà e rovine
sanando disoccupazione e miseria, con difficoltà e rovine, ribadisco,
la disoccupazione che verrà non potrà essere vinta, accadrà l’opposto,
una disoccupazione indipendente dalla inflazione e irrisolvibile, dicevo, dovuta alla robotica unita all’intelligenza artificiale.

Siamo pervenuti ad un grado di non umanità incredibile,
addirittura la selezione per scegliere persone al lavoro posti ad un esame attraverso un robot dotato di intelligenza artificiale.


Nessuna fantasia contro l’uomo avrebbe immaginato che per assumere un uomo
occorresse impiegare un robot con intelligenza artificiale sia pure disposta dagli uomini.


È tanto rovinosa l’immagine che l’uomo espone di se stesso che degrada perfino parlarne, respingendola,
non fosse che le cose accadono e bisogna prenderne atto e magari dover compararsi con quanti ritengono la vicenda un progresso della tecnica.

A quale suprema sostituzione dell’uomo è pervenuta la macchina,
quasi che progresso fosse il perfezionamento delle macchine non dell’uomo,
e non è che perfezionando le macchine l’uomo si perfezioni.

L’aver reso possibile la guerra nucleare non è stato un perfezionamento dell’umanità, non ogni invenzione è progresso.

Questo del robot esaminatore come progresso è ancora più degradante,
rende visibile la scaduta dell’uomo con motivazioni economiciste,
si risparmia usando il robot, o efficientiste, il robot è neutro, oggettivo, scientifico,
e dunque il rapporto umano tra esseri umani dissolto!

Superato.


Ipotizzo la prosecuzione dell’evenienza:

un robot che fa esami di assunzione ad un altro robot,
una società radicalmente robotizzata con intelligenza artificializzata.

Questi processi sono irrevocabili, posta la pedina, il resto segue.

Il robot connesso all’intelligenza artificiale invaderà i minimi processi della società.


Evidente che arriveremo alla robotizzazione automatizzata,

il robot con l’intelligenza artificiale avrà a che fare con dei robot magari meno intelligenti,

robot operai, esecutori, ma non vi sarà lotta di classe.


Qualche inventore paranoico sosterrà che tali soggetti sono programmati dall’uomo quindi è il trionfo dell’uomo!
 
Tale soggetto paranoico come i paranoici, coglie la realtà storpiandola,
è vero che è il trionfo dell’uomo, ma il trionfo dell’uomo contro l’uomo, e di pochi su moltissimi.

Infatti.

Che sorte avranno i lavoratori sostituiti dai robot?

Ecco, questo l’enigma.

Al paranoico non interessa, non sarebbe paranoico se avesse contributi di umanità,
ma il problema esiste, problema, incredibilmente non percepito o non affrontato o cinicizzato, ossia preferiamo il robot all’uomo.

Ed invece bisogna tentare e trovare soluzioni, concepirle, ipotizzarle.

Abbassare l’orario di lavoro?

È un’ipotesi da discutere.

Credere che si possa mantenere lo stesso sistema sociale quando i mezzi di produzione cambiano, è follia,
se le macchine sostituiscono il carretto, il cavallo, essendo più efficienti,
cavallo e carretto scompaiono insieme a chi li conduceva.

Le classi sociali sorgono e periscono insieme ai mezzi tecnici ai quali attecchiscono la loro funzione sociale.

Banalmente, le lavatrici meccaniche hanno fatto sparire le lavandaie.

Banalizzo all’estremo ma è così.

Allora?

Se i robot lavorano non lavorerà l’uomo.

Sarà l’uomo a scomparire.

Ma l’uomo scomparirà dal lavoro ma esisterà.


Lo lasciamo perire di fame?


Lo facciamo ammalare e crepare a milioni?



Ridurremo l’orario di lavoro al minimo tuttavia pagando salario, stipendio?

Questo esige una totale modificazione del profitto.

È concepibile che un privato dia paga a chi lavora minimamente perché mediante le macchine la produzione è grandiosa?

D’altro canto se licenzia e usa il robot a chi vende la merce prodotta?

I lavoratori potrebbero associarsi e suscitarsi l’autoccupazione lavorando secondo le opportunità del mantenimento dell’impresa e dell’occupazione?


O si arriverà a quello che in un mio saggio definisco: il robot sociale, vale a dire:
lavorino i robot e la società si spartisca la produzione, che sarà sconfinata.

Perché è inimmaginabile quanto produrremo e a che livelli di utilizzazione delle tecniche perverremo.

Inimmaginabile.

La sola inconcepibilità consiste nel credere di automatizzare la produzione senza curarsi delle persone inoccupate.


Ecco perché l’inflazione prossima sarà micidiale.

Si congiunge con la disoccupazione da tecnologia.

E la doppia disoccupazione, da inflazione e da tecnologia, forse la reggerà soltanto la Cina.


Ma in Cina non è che reggono, subiscono. E impongono.



Qualcuno per altre vie ci vuole far subire ma non risolvere?

Sospendo il punto.


Ci inoltriamo in zone esplosive,
alcuni per il cieco andare avanti delle tecnologie,
altri per disumanizzazione avanzata,
altri perché vorrebbero avvantaggiare l’umanità dalla miseria con i prodigi delle nuove tecnologie.

A questi ultimi bisogna dare un aiuto appassionato, renderlo l’ideale del XXI secolo.


Tecnica per l’umanità, anzi per l’umanesimo.

Guerra assoluta contro la tecnica nemica dell’uomo.

Non deve interessarci il progresso della tecnica, ma il progresso umano dell’uomo anche mediante la tecnica.

La tecnica è strumentale, il fine dell’uomo è l’uomo!



Ma sono parole, queste, umanesimi verbosi.

Alla sostanza, o la robotica intelligente serve l’uomo

o l’uomo viene spodestato di quanto lo caratterizza,

il lavoro produttivo (gli animali non assommano strumenti produttivi).



Non soltanto, perde la possibilità di produrre ed essere pagato.

Allora, senza nessun ammanto, denudiamo la situazione.


Vogliamo una società con milioni di persone senza lavoro

o vogliamo considerare ipotesi di soluzione quando i robot intelligenti

penetreranno latamente nei sistemi produttivi?



Possiamo non occuparcene

ma la realtà ci obbligherà ad essere preoccupati dell’uomo, umanisti.


A meno che.


Infatti, esiste un “a meno che”.


Prossimamente.
 
In modo quasi ingenuo il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili
comunica al Parlamento che su 102 opere infrastrutturali commissariate nel corso del 2021
c’è una serie di criticità che frena il lavoro degli stessi commissari e, sempre il ministro, fornisce anche le motivazioni;

addirittura il 56 per cento degli interventi commissariati ad aprile del 2021 sono bloccati
per problemi legati alle coperture e questo accade per il 31 per cento degli interventi,
mentre il 27 per cento è bloccato da motivi puramente procedurali,
il 16 per cento per motivi di natura ambientale e il 13 per cento per aspetti archeologici e paesaggistici.



Le Commissioni parlamentari avevano preteso che si stabilisse una sorta di priorità
per le opere commissariate nell’assegnazione dei prossimi fondi disponibili;

tuttavia, la relazione al Parlamento denuncia che quella dei fondi è, insieme alle procedure, la criticità maggiore.

Durante questo mese di gennaio, il ministro Enrico Giovannini si è impegnato nell’attivare un apposito portale
chiamato “Osserva Cantieri” attraverso il quale verranno fornite informazioni utili ai diversi soggetti coinvolti
(istituzioni, società civile, commissari, vertici politici) per valutare gli stati di avanzamento delle fasi procedurali previsionali ed effettive dei progetti.

Ma questo giusto impegno a dare la massima informazione sullo stato di avanzamento dei progetti
si scontra con un dato che ritengo sia davvero vincolante e cioè quello legato alla copertura finanziaria.

Non solo:

ammettere, praticamente quasi dopo un anno dalla nomina definitiva dei commissari,
della presenza, per circa un terzo dei progetti, della non disponibilità adeguata di fondi
non solo preoccupa ma rende poco incisivo tutto l’impianto programmatico del Pnrr
e delle proposte progettuali direttamente – e indirettamente – con tale Piano interagenti.

In realtà, stiamo garantendo solo l’avvio di primi lotti di opere
il cui costo globale non trova per ora adeguata copertura
ed, in tal modo, stiamo contravvenendo anche a un vincolo chiave imposto dalla stessa Unione europea,
relativamente alla esigenza di proporre opere organiche da completare “integralmente” entro il 31 dicembre 2026.



Invece, noi abbiamo – solo a titolo di esempio – opere come:

l’asse ferroviario Salerno-Reggio Calabria del costo di circa 22 miliardi
che parte solo con l’avvio di un primo lotto (la Salerno-Romagnano) dell’importo pari a 1,8 miliardi garantite dal Pnrr
e 9,4 miliardi garantite dal Piano complementare per consentire la realizzazione di altri sub-lotti capaci di rendere possibile la copertura finanziaria di ulteriori tratti fino a Tarsia.

Quindi, per carenza di risorse, non partono tutti i lotti in modo da assicurare la intera realizzazione della Salerno-Reggio Calabria;

altrettanto si può dire per la realizzazione dell’asse ferroviario ad alta velocità Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia
il cui costo globale è di circa 1,9 miliardi di euro ma che, allo stato, trova copertura solo per un primo lotto di circa 440 milioni di euro;

stessa criticità è possibile riscontrarla sull’asse ferroviario ad alta velocità Roma-Pescara
in cui il costo stimato è di circa 6,2 miliardi di euro ma che, per ora, viene garantita la copertura di un solo primo lotto di 520 milioni di euro.


Potrei continuare in questo elenco di esempi e, in particolare, potrei anche portare, come fatto pochi giorni fa,
l’esempio delle coperture garantite non dal Pnrr ma dal Piano complementare e scoprire che
i famosi 9,4 miliardi di euro della Salerno-Reggio Calabria trovano copertura in un articolato provvedimento
che assicura le risorse con le seguenti cadenze annuali;


per il 2021 (8 milioni),
per il 2022 (150 milioni),
per il 2023 (200 milioni),
per il 2024 ( 250 milioni),
per il 2025 (740 milioni),
per il 2026 (1.800 milioni),
per il 2027 (1.667 milioni),
per il 2028 (1.830 milioni),
per 2029 (1.520 milioni) e
per il 2030 (1.235 milioni)

e quindi sono disponibilità legate alla conferma nelle varie Leggi di Stabilità che si susseguiranno fino al 2030.



Questo quadro di criticità sui fondi non credo riusciremo a difenderlo in sede comunitaria,
perché contrasta in modo inequivocabile proprio con il Codice comportamentale
che caratterizza la intera strategia del Pnrr e delle opere a esso collegate.

E, soprattutto, rende impossibile lo stesso mandato dei singoli commissari,
cioè non poter realizzare un lotto di un’opera perché allo stato è incerta la relativa copertura.

E tale criticità crea seri problemi nella definizione del programma degli Stati di avanzamento lavori (Sal)
e nel controllo della Wbs (con l’espressione Work breakdown structure-Wbs
si intende l’elenco di tutte le attività di un progetto in tutte le sue articolazioni temporali, in tutte le sue fasi di avanzamento).
 
Ho aspettato un po’ di giorni prima di rendere esplicite queste mie considerazioni,
perché ero convinto che il ministro Giovannini avrebbe precisato,
a valle di un articolo di Giorgio Santilli in cui venivano esposte in modo sintetico
le considerazioni contenute nella relazione inoltrata al Parlamento,
che la soglia del 31 per cento delle criticità per le opere commissariate
era una interpretazione non corretta e che si trattava di una analisi poco attenta;

purtroppo il ministro finora non ha sollevato alcun problema
e, leggendo attentamente la relazione inoltrata al Parlamento
(vedi quadro allegato interno alla Relazione al Parlamento),
si evince che, come detto in precedenza,

per quasi un terzo dei progetti non vi è disponibilità adeguata di fondi.


Allora rimango davvero sconcertato,
perché di fronte a questa criticità nasce spontanea,
come d’altra parte fatto poco tempo fa per le infrastrutture portuali
in cui ho denunciato una chiara logica da “Cencelli della logistica”,
una interpretazione delle scelte nel comparto delle infrastrutture,
soprattutto del centro-sud del Paese, cioè che si sia fatto ricorso a un “Cencelli delle infrastrutture”;


che si sia fatto ricorso a una logica che rispetta il seguente principio:

pur di accontentare tutti,

si regalano programmaticamente segmenti di opere

e, questa volta, non per carenza di risorse

ma per incapacità di scegliere solo opere organiche

che, in tempi certi e con risorse garantite,

si completino grazie al supporto di una figura che chiamiamo commissario

ma che, in realtà, forse dovrebbe e potrebbe essere lo stesso soggetto attuatore.
 
Le banche italiane operavano in un mercato di oligopolio protetto
anche perché erano in prevalenza aziende di credito pubbliche.


Esisteva un vero e proprio cartello interbancario gestito dalle associazioni di categoria.

Non erano ancora vigenti le
attuali norme antitrust.


Le piccole banche del territorio, per acquisire clientela, erano costrette a operare in deroga al cartello bancario.

Infatti, offrivano tassi di interessi sui depositi più appetibili per i depositanti

e finanziavano le imprese a condizioni migliori rispetto alle banche di maggiore dimensione.



Il reddito delle imprese bancarie era generato dalla differenza (forbice dei tassi)
tra il costo della raccolta (interesse pagato ai risparmiatori depositanti)
e i ricavi derivanti dall’impiego dei fondi raccolti per finanziare le imprese (credito alla produzione) e le famiglie (credito al consumo).

Il margine di intermediazione generava utili in grado di remunerare
i fattori produttivi impiegati nell’attività principale della banca che era l’intermediazione finanziaria.


La crescita esponenziale del debito pubblico italiano esploso negli anni Ottanta provocò una significativa riduzione dell’attività creditizia.

I risparmiatori italiani avevano scoperto un investimento alternativo ai depositi bancari: l’acquisto di titoli del debito pubblico italiano.

In particolare l’investimento più apprezzato dai risparmiatori erano i Bot (Buoni ordinari del tesoro).


Titoli di Stato
:
con un elevato grado di sicurezza,
di breve durata (tre, sei e dodici mesi),
allora esentasse,
al portatore
e decisamente più remunerativi rispetto ai depositi bancari vincolati ed ai certificati di deposito.


In sostanza, lo Stato faceva una concorrenza sleale alle banche.


Il ricorso da parte dei risparmiatori ad investimenti alternativi ai depositi bancari,
ridusse la capacità di intermediazione delle aziende di credito.

Gli istituti di credito furono costretti a ristrutturare e riorganizzare l’operatività bancaria.

Il management delle banche si rese conto che dovevano essere ampliati i centri di ricavo.

Si procedette alla incentivazione di una serie di servizi complementari e collaterali alla attività principale,
quella creditizia, che potevano essere facilmente collocati presso la propria clientela.

I servizi cosiddetti complementari erano:

la domiciliazione delle utenze,

servizi di pagamento ripetitivi,

la custodia dei valori.

I servizi collaterali:

la vendita di prodotti assicurativi,

la gestione del risparmio,

la collocazione di fondi comuni d’investimento mobiliare
.


Le attività collaterali venivano gestite in sinergia con compagnie di assicurazione,
società di gestione del risparmio
(sgr) società di intermediazione mobiliare (sim).

In molti casi società di diretta emanazione della banca o partecipate dalla stessa.

Le banche diventano un vero e proprio supermarket finanziario.


Oggi, al conto economico delle aziende di credito, oltre l’attività creditizia,
contribuiscono le ricche commissioni che generano i servizi complementari e collaterali.

Nel sistema bancario esistono diverse banche, abilitate all’attività creditizia,
ma di fatto l’operatività caratteristica è la gestione del risparmio
e prosperano grazie alle commissioni di gestione del risparmio.


Le stesse banche tradizionali, fatta eccezione per alcune banche che ancora sanno fare credito,
sono orientate più alla fornitura di servizi e alla gestione del risparmio
piuttosto che erogare credito alle imprese e alle famiglie
che ovviamente comportano i rischi tipici dell’attività creditizia.


Altra importante trasformazione dell’attività bancaria fu causata dall’avvento del cosiddetto self service bancario.

Il contratto di conto corrente di corrispondenza bancario divenne lo strumento ideale
per fornire tutti i lucrosi servizi complementari e collaterali dalla banca alla propria clientela.

Al conto corrente furono collegati
il bancomat,
le carte di credito e di debito,
la cassa continua.

L’obiettivo della banca era quello di allontanare la clientela dallo sportello bancario (banche virtuali)
incentivando (oggi imponendo) l’uso degli strumenti elettronici.



L’uso del remote banking:
home banking per le famiglie
e del corporate banking per le imprese
ha avuto un impatto molto importante sul costo del lavoro per le banche.


Molti lavori ripetitivi di sportello non erano più necessari e quindi il self service causò un significativo esubero del personale,
in una prima fase del personale meno qualificato
e successivamente anche di funzionari qualificati e di esperienza ma con retribuzioni non più sostenibili.


A tal proposito nei primi anni Novanta del secolo scorso

furono facilitati i pensionamenti anticipati,

i pre-pensionamenti

e le dimissioni incentivate.


Gli effetti dell’uso della moneta elettronica e della banca virtuale
sono evidenti ai giorni nostri con il continuo ridimensionamento di sportelli bancari.

La concentrazione verticale di banche attraverso le fusioni per incorporazione
stanno riducendo il numero di banche sul mercato.


Temo, che a medio termine, si ritornerà ad un oligopolio bancario che pagheranno le imprese e le famiglie.
 

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