Ci siamo. Zona rossa.
Da domani, salvo poche eccezioni, le attività chiuderanno e la libertà di movimento (in e out, per dirla con parole semplici) subirà grosse limitazioni.
Il Governo, nell’ultimo Dpcm, si è occupato delle aule scolastiche, trascurando quelle in cui si amministra la giustizia.
Per carità, intendiamoci: ho letto anch’io il decreto.
Quello, però, si fondava su una situazione di fatto che, oggi, vale per le zone gialle, forse per quelle arancioni, ma non per quelle rosse.
Sarebbe davvero singolare che, vietate le lezioni in presenza a 20 alunni, si consentisse la celebrazione di processi con più avvocati,
in ambienti in cui lo stesso ricircolo dell’aria troppo spesso è problematico.
Del resto, il concetto di aula non cambia se muta la natura dell’attività svolta al suo interno.
Rinviamo tutto, dirà qualcuno.
È una soluzione, una delle molteplici soluzioni possibili.
Un’altra è quella che prevede – per tempi e materie definite – la trattazione da remoto, che non mi piace affatto,
ma rappresenta (per le zone rosse) un’alternativa praticabile.
Gli amici non condivideranno il mio pensiero.
Ne sono consapevole e, ammetto, mi rendo conto delle implicazioni possibili.
Preciso, però, che la maggior parte degli avvocati possiede qualità e carattere sufficienti a scongiurare i rischi connessi alla virtualizzazione.
Quindi, le alternative sono solo due:
o si blocca tutto, adesso, in nome della tutela della salute,
o si prosegue, per qualche giorno, con gli strumenti che la tecnologia mette a nostra disposizione.
Poiché, questa volta, c’è in gioco la tenuta del sistema, non solo economico.
Io sono per la seconda e spero anche di non essere solo.
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