dalla suizzera

oggi sono in svizzera dopo un giro lugano, bellinzona gli ho chiesto a mia moglie thai e a mio figlio mezzo italiano/thai....
meglio la svizzera o l'italia? Risposta ITALIA!!!

riflettete svizzeri non siete brillanti come puo' sembrare

comunque sia ho apprezzato un buon merlot del ticino, PERFETTO!
 
oggi sono in svizzera dopo un giro lugano, bellinzona gli ho chiesto a mia moglie thai e a mio figlio mezzo italiano/thai....
meglio la svizzera o l'italia? Risposta ITALIA!!!

riflettete svizzeri non siete brillanti come puo' sembrare

comunque sia ho apprezzato un buon merlot del ticino, PERFETTO!

Beh sul vino è meglio quello italiano, ad esempio basta andare in Valtellina
Sul resto, è diverso fare il turista o il residente
Cmq fai un paragone tra il LAC e i musei milanesi ... potrebbe essere un metodo di paragone
 
altre note:
- un turista anche se sta solo un mese deve pagarsi 40 euro di tassa annuale per circolare, questo si chiama rubare non ci sono scusanti bastava fare un bollo mensile un po piu' caro ma non certo 40 euro! inutile fare i fighetti e rispondermi da duri 'signore poteva prendersi il treno' ma tieniti sti 40euro...
- per fare spese uso la carta di credito thai ma se devo comprare un gelato devo cambiare soldi ovvero pago una tassa di 2 franchi svizzeri su 20euro che cambio ... ma dai ma vergognatevi!

il vino non ho detto che e' migliore ma solo buono
 
Banche ginevrine, risultati inquietanti
Utili, attivi e impieghi risultano in calo, in un contesto di incertezze sulle condizioni quadro: lo indica l'inchiesta annuale della "Fondation Genève Place Financière"


GINEVRA - Dopo i primi sei mesi dell'anno definiti "difficili" la piazza finanziaria ginevrina è preoccupata: utili, attivi e impieghi risultano in calo, in un contesto di incertezze relative alle condizioni quadro. Lo rileva l'inchiesta congiunturale annuale pubblicata oggi dalla "Fondation Genève Place Financière". La situazione è "globalmente meno buona" ha affermato all'ats una responsabile della Fondazione e ciò concerne soprattutto i grandi istituti, che fanno spesso da apripista per gli altri. Tra gli indicatori, gli oneri salariali sono stabili o in leggero aumento per le piccole banche: l'utile netto di un terzo delle grandi banche è calato tra l'8 e il 14%. Per gli istituti di media grandezza il calo supera addirittura il 15%

In termini di impiego le cifre consolidate vengono rese note ogni due anni: la disoccupazione sembra stabile, ma c'è un certo allarmismo, dovuto a preavvisi di possibili licenziamenti, piani sociali e capacità di assorbimento di personale da parte del settore finanziario extra bancario. Gli istituti parlano esplicitamente di riduzione degli effettivi.

Per quanto attiene agli attivi in gestione, le banche globalmente proseguono sulla via del "passo indietro", considerata la differenza tra apporti di fondi e prelievi. Gli attivi diminuiscono tra il 3 e il 7% in oltre il 70% delle grandi banche e di un terzo nelle piccole. Sono invece stabili nei gestori patrimoniali indipendenti e perfino in leggero aumento nelle banche intermediarie.

A suscitare preoccupazione contribuiscono anche le discussioni tra la Svizzera e l'Unione Europea: oltre l'80% delle grandi banche e il 53% dei gestori indipendenti affermano che l'assenza di accesso facilitato al mercato finanziario europeo cambierebbe in maniera significativa il loro modello d'affari. Il 70% delle piccole banche e il 52% di quelle medie la pensa invece in modo contrario. "Bisogna rimanere competitivi" dichiara la responsabile di "Fondation Genève Place Financière" la quale, di fronte a un clima di incertezza legato anche alle votazioni sulla fiscalità incita all'azione per salvaguardare l'attrattiva del settore e tutto l'ecosistema finanziario.

Sull'insieme del 2016 le grandi banche si attendono una flessione dell'utile netto simile a quello del primo semestre; per le banche medie e piccole la situazione dovrebbe risultare leggermente migliore, mentre per i gestori indipendenti si profila un certo deterioramento.

Nel settore dell'occupazione i grandi istituti e i gestori indipendenti prevedono un calo degli effettivi, mentre la metà di quelli medi si attendono un aumento degli impieghi. Il pessimismo aumenta in vista del 2017, in particolare nelle grandi banche.
 
Prima i nostri nelle grinfie de “Le Iene”
Lo show TV in onda su Italia 1 si è occupato dell'iniziativa UDC - Intervistati Attilio Bignasca, Lorenzo Quadri e Roberto Maroni -

LUGANO - Dopo le incessanti discussioni, sia in Ticino che oltre confine, sull'iniziativa Prima i nostri, anche il programma Mediaset "Le Iene", in onda martedì 11 ottobre su Italia 1, si è occupato della "spinosa" questione dei frontalieri.

L'inviato Gaetano Pecoraro, prima di recarsi a Lugano per chiedere i pareri di alcuni cittadini, tra cui i leghisti Attilio Bignasca e Lorenzo Quadri, si è posizionato alla dogana del Gaggiolo per intervistare i numerosi frontalieri che "la destra svizzera, con una campagna davvero offensiva, rappresenta come topi che si mangiano il loro formaggio". Molto variegato il campione degli intervistati, dal fisioterapista, all'impiegato, passando per il programmatore web e il trasportatore, un "lavoro che gli svizzeri non vogliono più fare".

I frontalieri affermano di lavorare in Ticino perché non trovano un impiego o non vengono messi in regola, sottolineando come gli stipendi siano il doppio di quelli elargiti nel Belpaese, ma allo stesso tempo siano la metà di quelli percepiti dai lavoratori svizzeri nel loro stesso mestiere. Alcuni ironizzano sul proprio credo politico: "Sono leghista (Lega Nord, ndr.), ma c'è sempre qualcuno più leghista (Lega dei ticinesi, ndr). C'è sempre qualcuno che sta più a nord di te".

Vien da chiedersi poi se valga veramente la pena svegliarsi alle 5 del mattino per fare un viaggio di 2 ore, lavorane 8, e stare in colonna per un altro paio d'ore, per uno stipendio sicuramente più allettante di quelli italiani. Molti dei frontalieri intervistati sottolineano come "gli svizzeri non farebbero mai questi lavori e non accetterebbero stipendi al minimo salariale", arrivando a paragonarsi ai cinesi o ai romeni che nel Sud Italia lavorano nei campi di pomodori per pochi spiccioli al giorno. C'è anche chi è convinto che i datori di lavoro ticinesi non possano far assolutamente a meno degli italiani, proprio perché costano meno rispetto ai residenti.

Troppi, a dire il vero, i luoghi comuni andati in onda nel servizio de Le Iene, del tipo: "L'italiano fa i lavori più di m..." oppure "facciamogli provare una settimana senza lavoratori italiani, neanche più la benzina riuscirebbero a fare. Chi è che pulisce il c...a quelli negli ospedali?". Insomma il problema dei ticinesi si potrebbe riassumere in: "L'italiano che va a fare l'asfalto non dà fastidio, dà fastidio chi va a lavorare in banca". Quando la questione è sicuramente più articolata di come è stata mostrata in alcuni passaggi del servizio trasmesso su Italia 1. Pecoraro ha intervistato alcuni ticinesi, riportando purtroppo pochi pareri e solo quelli di chi non vede di buon occhio i frontalieri. Sarebbe stato interessante avere opinioni a confronto, con relative motivazioni. In questo senso, il programma si è rivelato un po' troppo di parte.

Un attacco agli imprenditori che assumono frontalieri proprio per evitare costi eccessivi, arriva anche da Giangiorgio Gargantini, responsabile del settore terziario di Unia, che, senza fare nomi e senza peli sulla lingua, afferma: "Ce n'è uno che ha la faccia come il c...".

Nelle grinfie della iena è finito poi il coordinatore della Lega dei ticinesi Attilio Bignasca, "colpevole" di aver sostenuto Prima i nostri nonostante la sua ditta dia lavoro a numerosi frontalieri. "È 55 anni che lavoro con i frontalieri. Da quando è stato lanciato il referendum, 3 anni fa, non ho assunto nessuno" afferma il leghista, ma prima di lasciare l'ufficio di Bignasca, l'inviato di Mediaset intercetta un frontaliere assunto da soli 4 mesi, e sottolinea che "in politica prima i nostri, in azienda prima gli altri". La parola viene data anche al consigliere nazionale Lorenzo Quadri che sentenzia: "La libera circolazione se la aboliscono mi fanno un favore, tanto l'Europa è fallita. Io sono favorevole ai muri". E non mancano i battibecchi con Pecoraro: "Lei presenta gli svizzeri come dei criminali razzisti, ci faccia il piacere!". L'inviato tira fuori poi la questione Lega Nord: "Avete fatto arrabbiare pure i leghisti italiani.." a cui Quadri ha risposto subito per le rime: "Ognuno fa il leghista in casa propria evidentemente. La quintessenza del leghismo è la difesa del proprio territorio". Su questa affermazione non poteva mancare una battuta finale di Roberto Maroni, "difensore del territorio italiano", che incalzato dalle domande della iena è riuscito a non dare risposta. E allora non ci resta che aspettare il suo colloquio con il presidente del Consiglio di Stato Paolo Beltraminelli.
 
LONDRA - La Brexit rischia di far male ai popcorn. Fra le preoccupazioni e le polemiche della "grande politica" e della "grande economia", spunta pure questo allarme in Gran Bretagna, sull'onda del calo dello sterlina, accentuatosi negli ultimi giorni e giunto a un -18% sul dollaro e un -15% sull'euro rispetto al periodo pre-referendum.

A lanciare il "grido di dolore" sui media di oggi è Adam Sopher, patron del popolare marchio Joe & Seph's, che distribuisce nel regno snack e mais saltato da sgranocchiare al cinema o per strada. La perdita di valore della valuta britannica, spiega Sopher, si sta già abbattendo sui costi degli ingredienti-base usati dalla sua azienda. E in prospettiva "saremo costretti a far pesare le conseguenze sui consumatori in termini di prezzi più alti", nota.

Il fondatore di Joe & Seph's precisa di non aver ancora preso una decisione sull'aumento del costo al dettaglio degli amati sacchetti di popcorn. Ma teme che non ci sia nulla da fare. Purtroppo - allarga le braccia - "certi prodotti nel Regno Unito non crescono".
 
Comunque finisca il duello Trump-Clinton, c'è sicuramente un grande sconfitto: la stampa americana. La pubblicazione delle email di John Podesta, il responsabile della campagna elettorale di Hillary, sta rivelando un quadro che definire sconcertante è riduttivo. Per decenni qualunque giornalista occidentale si è avvicinato alla professione con il mito del Watergate, la straordinaria inchiesta giornalistica del Washington Post che costrinse il presidente Nixon alle dimissioni. Un giornale che fa cadere il capo della Casa Bianca, che storia! E, in genere, che forza i media a stelle e strisce! Chi non conosce il Premio Pulitzer? Chi non ha visto i tanti film di Hollywood che magnificano l'indipendenza e la rettitudine dei reporter? E invece...

Lo scoop di Wikileaks fa emergere una realtà ben diversa. Ad esempio la firma del New York Times Nick Kristoff che anticipa a Bill Clinton le domande di un'intervista o la cronista del Washington Post che scrive un pezzo sui lobbisti nella capitale e, prima della pubblicazione, fa sapere a un preoccupatissimo Podesta che "è citato solo in una riga in mezzo al pezzo". E che dire del responsabile della pagina dei commenti del Boston Globe, Marjorie Pritchard, che la scorsa primavera si prodigava a dare consigli "per massimizzare la presenza di Hillary durante le primarie"? Di nuovo la Signora in grigio, come viene chiamato il New York Times, appare in un messaggio che riguarda il reporter Mark Leibovich, il quale ottiene un'intervista con la Clinton in cambio... di un diritto di veto sulle sue dichiarazioni prima della pubblicazione.

Un volto notissimo, il conduttore televisivo della rete televisiva Cnbc John Harwood (nonché editorialista del New York Times) in un'email a Podesta svela che sta "scrivendo un pezzo come vuole Hillary" e in un'altra gli consiglia di "fare attenzione al candidato repubblicano Ben Carson". E' lo stesso Harwood che ha moderato, naturalmente come giornalista indipendente, un dibattito televisivo durante le primarie, durante il quale provocò Trump definendolo "una versione da fumetto della campagna presidenziale".

Dimenticavo: la Cnn è sospettata di aver passato in anteprima al presidente del partito democratico alcune domande del pubblico, mentre qualche settimana fa il sito The Daily Beast rivelò che la Clinton organizzò il 10 aprile 2015 un cocktail off-the-record, ovvero riservato, con 37 giornalisti di 14 testate quali BC, Bloomberg, CBS, CNN, Daily Beast, Huffington Post, MSNBC, NBC, New Yorker, New York Times, People, Politico, Vice, and Vox. Lo scopo? Preparare i media all'annuncio formale della candidatura. E, ancora una volta, il New York Times brilla nei cuori della campagna elettorale di Hillary, che passa "storia preparate" alla reporter Maggie Haberman, la quale "non ha mai deluso".

Cosa dicevamo? Ah sì che c'era una volta la stampa americana, quella stampa che un osservatore autorevole e coraggioso come Paul Craig Roberts da tempo sferza con il neologismo di "Presstitute" da press (stampa) e prostitute, parola che non necessita traduzione. Una esagerazione, certo; ma con un fondo di verità sapendo che il 70% americani dichiara di non aver più fiducia nelle grandi testate tradizionali. Le trova poco credibili.
 
LONDRA - Se il governo di Theresa May insisterà nel trascinare la Scozia su una strada che "ne danneggia l'economia, ne abbassa la qualità della vita e ne danneggia la reputazione di Paese aperto e amichevole, non abbiate dubbi: avremo la possibilità di scegliere un futuro migliore".

Parola di Nicola Sturgeon che, chiudendo a Glasgow il congresso dello Scottish National Party (SNP), è tornata sulla questione dell'indipendenza rassicurando la sua gente sul fatto che "sarà lei a garantire che la Scozia abbia la sua opportunità" in caso di 'hard Brexit'.

Sturgeon ha anche annunciato nuove misure per dare impulso al commercio, tra le quali la creazione di un ufficio a Berlino e il rafforzamento delle strutture in Europa delle strutture che si occupano di portare investimenti in Scozia. "Dobbiamo dire ai nostri amici europei - ha detto la First Minister - che la Scozia è 'open for business'".
 
LONDRA - Le grandi banche britanniche si preparano a trasferirsi fuori dal Regno Uniti all'inizio dell'anno prossimo per i timori crescenti generati dalla Brexit, mentre gli istituti più piccoli stanno approntando piani per farlo già prima di Natale. Lo scrive sull'Observer il capo della British Bankers' Association (Bba) Anthony Browne.

La maggior parte delle banche, all'epoca del referendum, si è schierate per rimanere nell'Unione europea. Browne ha avvertito che "il dibattito pubblico e politico al momento ci sta portando nella direzione sbagliata".

Una fonte vicino al ministro della Brexit, David Davis, ha affermato che la settimana scorsa Davis e il Cancelliere Philip Hammond hanno cercato di offrire rassicurazioni alle banche sul mantenimento dello status della City di Londra.

Tuttavia, prosegue l'Observer, la dichiarata intenzione del governo di controllare la libertà di movimento degli stranieri nel Regno viene vista nel settore come un duro colpo per qualsiasi possibilità di mantenere l'attuale status delle banche nel Paese. Anche alla luce delle bellicose affermazioni di alcuni leader d'oltremanica.

I cosiddetti 'diritti di passaporto' per i membri del mercato unico permettono alle banche basate nel Regno Unito di offrire servizi finanziari a società e persone nell'intera Ue senza alcun ostacolo. Tuttavia, il presidente francese François Hollande è tra coloro che nelle ultime settimane hanno insistito nel dire che la 'hard Brexit' significherà per il Regno un "duro negoziato" e che il Paese dovrà "pagare il prezzo" dell'uscita dall'Unione europea.
 
BERNA - Per ora si profila un "sì" all'iniziativa dei Verdi "per un abbandono pianificato dell'energia nucleare". Lo afferma il primo sondaggio svolto per conto della SSR dall'istituto gfs.bern in vista dell'appuntamento con le urne del 27 novembre. Un'analoga ricerca demoscopica di Tamedia giunge alle stesse conclusioni.

Se si fosse votato nelle scorse settimane, secondo gfs.bern, gli elettori si sarebbero pronunciati a favore dell'iniziativa nella misura del 57%, mentre il 36% si sarebbe detto contrario. Il restante 7%, al momento dell'inchiesta, era ancora indeciso.

Allo stato attuale il fronte del "sì" è quindi in vantaggio di 21 punti percentuali e l'iniziativa ecologista, perlomeno da un punto di vista potenziale, appare quindi in grado di raccogliere una maggioranza di consensi. Ma la campagna in vista della votazione è solo agli inizi e gli equilibri potrebbero di conseguenza cambiare.

Prendendo in considerazione gli schieramenti politici il "sì" più convinto giunge dall'elettorato verde (95%), e anche tra i sostenitori del partito socialista la percentuale dei favorevoli è molto alta (80%). Più tiepidi (58%) i consensi tra i simpatizzanti del PPD, mentre sul fronte opposto si schierano gli elettori del PLR (i "sì si fermano al 46%) e dell'UDC (38%).

Le opinioni sono differenziate in funzione del sesso (le donne sono favorevoli nella misura del 63% e gli uomini del 50%) e delle regioni linguistiche: l'iniziativa gode delle maggiori simpatie nella Svizzera romanda (64%), seguita dalla Svizzera italiana (57%) e tedesca (55%).

Stando all'inchiesta - in totale sono state intervistate, tra il 3 e il 14 ottobre, 1200 persone aventi di diritto di voto - l'argomento principale a favore dell'iniziativa è che la svolta energetica è possibile solo con un'uscita pianificata dal nucleare, giudicata realistica. Tra i contrari prevale invece il timore di una penuria energetica, per cui sarà necessario importare dall'estero elettricità prodotta con centrali a gas o a carbone.

Tra gli intervistati la percentuale di coloro che parteciperanno sicuramente al voto si è attestata al 43%. Questo campione ritiene peraltro che l'iniziativa verrà respinta di stretta misura.

A conclusioni simili rispetto all'inchiesta di gfs.bern giunge un secondo sondaggio svolto da Tamedia, che stima i favorevoli all'iniziativa al 55%, mentre il campo dei tendenzialmente contrari viene valutato al 43%. Gli indecisi sarebbero quindi pari al 2% soltanto. Gli argomenti più citati in favore dell'uscita dall'atomo sono risultati il timore di un possibile incidente nucleare e la questione legata allo smaltimento delle scorie. Per i contrari invece l'iniziativa andrebbe a minacciare l'approvvigionamento energetico del paese.
 

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