BELLINZONA - Uno studio IRE (l'Istituto di ricerche economiche dell'USI) commissionato dal Cantone e dalla SECO ha concluso, ancora una volta, che il fenomeno del frontalierato non è causa di disoccupazione nativa in Ticino: non c'è nesso fra l'aumento dei senza lavoro residenti e quello dei frontalieri. Il vero problema potrebbe invece risiedere della difficoltà per i residenti di accedere al mondo del lavoro, piuttosto che a un processo di sostituzione che li porta in disoccupazione. I granconsiglieri Sergio Savoia (Verdi) e Marco Chiesa (UDC) hanno già inoltrato un'interrogazione al riguardo.
Lo studio, che si articola su un centinaio di pagine, è basato sull'invio di un questionario a 328 aziende sparse su tutto il territorio cantonale. L'analisi delle risposte mostra che il reclutamento per lo più "casuale" di lavoratori stranieri da parte delle aziende ticinesi è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire. Al secondo posto fra le ragioni più frequentemente citate per l'assunzione di frontalieri la carenze di competenze fra i residenti. Il rapporto salario/prestazioni sembra essere invece per le aziende ticinesi un criterio di importanza secondaria nel processo di reclutamento.
Inoltre, il 75% delle aziende intervistate ha dichiarato che l'assunzione di lavoratori stranieri segue di solito una candidatura spontanea da parte del candidato. Per la Svizzera, le richieste spontanee rivestono invece chiaramente un'importanza subordinata come canale di reclutamento. "Questo risultato - dice lo studio - testimonia l'attrattività del mercato del lavoro ticinese per i lavoratori stranieri e, quindi, illustra infine la competizione tra i candidati nazionali e stranieri nel processo di reclutamento".
Ci sono poi altre due cifre interessanti. Nell'ultimo quinquennio, rispetto al precedente, il tasso di occupazione tra i 15-64 anni in Ticino è aumentato dal 69,5% al 71,2%, in controtendenza rispetto alla Svizzera tutta, dove si è andati dal 78,1% al 79,4%. Il tasso ticinese resta comunque sensibilmente più basso, a segnalare che il problema occupazionale è maggiore: c'è comunque stato un miglioramento, malgrado nello stesso periodo il numero di frontalieri sia raddoppiato.
Inoltre il tasso di disoccupazione ILO ha avuto la tendenza a salire, sia per la Svizzera nel suo complesso che per il Canton Ticino negli anni 2002-2015.
"Il frontalierato non causa disoccupazione"
Secondo uno studio IRE in Ticino non vi è un nesso fra i due fattori - Diverse voci contrarie, e l'IRE risponde: DÌ LA TUA
20 ottobre 2015
L'andamento negli anni seguenti al 2010 suggerisce però che la situazione in Ticino è leggermente peggiorata rispetto a tutta la Svizzera. Si osserva anche un aumento più che proporzionale della disoccupazione giovanile rispetto ad altri gruppi di età, nonché, contrariamente alla media svizzera, un aumento leggermente più forte della disoccupazione di lunga durata in Ticino.
Due le conclusione che lo studio trae: 1) Anche se i risultati indicano che il rischio di disoccupazione indotta in Ticino ha avuto la tendenza a essere leggermente superiore rispetto al resto della Svizzera, non si identifica un effetto reale di sostituzione; 2) La concorrenza è grande per l'eccesso di offerta di lavoratori stranieri nel mercato del lavoro. È quindi del tutto possibile che il vero problema non sia lo spostamento della manodopera attiva in disoccupazione, ma che vi sia un ostacolo nell'entrata nel mercato del lavoro da parte dei residenti.
C'è già un'interrogazione
Non hanno perso tempo, i granconsiglieri Sergio Savoia (Verdi) e Marco Chiesa (UDC) a inoltrare un'interrogazione al Consiglio di Stato riguardo lo studio dell'IRE. I due deputati, in particolare, chiedono al CdS se condividono la metodologia con cui questa è stata svolta e le conclusioni. Nodo della discordia se "una intervista tra coloro che si avvantaggiano economicamente del lavoro frontaliero costituisca una base scientifica sufficiente per avvalorare tesi spericolate". Al Governo vien chiesto inoltre quanto è costato lo studio e perché non si è deciso di valorizzare studi e indagini già svolte dall'USTAT.
Diverse voci contrarie si sono alzate anche via social media, con anche una dura presa di posizione di Daniele Caverzasio (Lega) che ha proposto provocatoriamente di chiudere l'IRE.
La risposta dell'IRE
In serata l'IRE ha difeso il suo operato, affermando in particolare che lo studio si basa su un'analisi quantitativa sui dati della Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera (RIFOS) e della Statistica dei frontalieri (STAF) dell'Ufficio federale di Statistica. Sarebbe quindi sbagliato, come invece implica Savoia, "affermare che le conclusioni riguardanti l'assenza dell'effetto di sostituzione si basino sui risultati dell'inchiesta alle imprese".
Gli autori precisano inoltre che "un effetto statisticamente non significativo non esclude tuttavia la presenza di casi puntuali di sostituzione (sui quali si concentra l'attenzione mediatica e politica) ma segnala che a livello generale non è possibile identificare una relazione causale di sostituzione sistematica".
Viene affermato inoltre che il risultato ticinese "è in contrasto con quanto è possibile osservare nel resto della Svizzera, dove l'aumento della manodopera immigrata provoca una riduzione" nell'occupazione dei residenti.
Conclude la nota dell'USI, per quanto riguarda il dumping: "nonostante fosse tra gli obiettivi iniziali dello studio, l'analisi effettuata non si è occupata di determinare gli effetti dell'immigrazione sui salari, poiché, come concordato col mandante, tale tematica è stata trattata e anticipata nell'11° rapporto dell'Osservatorio federale sull'Accordo sulla libera circolazione tra la Svizzera e l'UE (ALC), pubblicato il 23 giugno 2015".