Gramellescion

IL LAVORO (DURO) DA FARE IN CASA



L’Italia ha bisogno di un governo che liberi il Paese dal ricatto della burocrazia e incida pesantemente sulla spesa pubblica corrente (improduttiva) a partire dalle disfunzioni (gravi) delle Regioni. Non esistono altre vie a costo zero per restituire certezze (vere) agli investitori e reperire le risorse necessarie per ridurre gli abnormi prelievi fiscali e contributivi che gravano su imprese e famiglie. Il capitale della fiducia (indispensabile) per tornare a scommettere su di noi non si ricostituisce con la mera stabilità politica: questa deve essere capace di incidere nella carne viva dello Stato e di prendere quelle decisioni coraggiose senza le quali nulla cambia. Non ha senso fare un governo e poi non farlo governare. Non ha senso fare un governo e non sostenerlo in Parlamento. O il governo Letta è messo nelle condizioni di governare a pieno titolo o si dimostri che ne è possibile un altro per fare le stesse cose di cui abbiamo (vitale) bisogno.
Di certo il Paese non può più attendere e, tanto meno, dividersi in sterili strumentalizzazioni del voto tedesco: è utile per noi che la Merkel guidi la Germania con una grandecoalizione? Questala renderà o no più disponibile a una politica menorigorista? Ègiusto interrogarsi sul futuro della Germania, ma per salvarsi davvero l’Italia deve fare il suo, e lo deve fare con (grande) convinzione, a testa alta. Non è vero che il governo Letta non ha fatto niente per sostenere la crescita (vedi decreto del fare), mapuò e (assolutamente) deve riuscire a fare molto di più. Non può essere il "governo del Consiglio di Stato" dove ogni decisione si ferma o richiede tempi biblici mentre l’economia e la società soffrono come non mai. Si rimbocchino tutti le maniche e si occupino dei problemi del Paese. Non ne possiamo più di aut aut su Imu e Iva (vero onorevole Brunetta?) senza mai affrontare il tema (urgente) che è sotto gli occhi di tutti: evitare che imprese e famiglie, lo stato di salute e il lavoro delle persone, finiscano in untunnel dal quale non si può tornare a vedere la luce. Non so quanti hanno davvero seguito i lavori dell’assemblea nazionale del Partito democratico e si appassionino al balletto quotidiano di polemiche Renzi-Cuperlo, Renzi-Letta, Renzi-Epifani, e così via. Questi comportamenti dimostrano (solo) che non c’è consapevolezza dello stato effettivo del Paese e chi li attua perde titoli per aspirare a governarlo. Prima che sia troppo tardi qualcuno si prenda cura delle "derive illusionistiche" di Renzi e aiuti lui e gli altri a studiare (con cognizione di causa) i problemi reali, ne trarranno giovamento tutti. Questa povera Italia di salvatori della Patria e di imbonitori ne ha avuti già troppi, non potrebbe sopportare il peso di un’altra generazione nuova di zecca.

Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha ragione di sostenere che gli italiani meritano di sapere la verità sui conti, ma la smetta di indossare abiti rinunciatari o vittimistici (non si governa così il Paese) e sporchi le mani sue e dei suoi collaboratori per fare quello che nessuno finora si è azzardato a fare. Cominci dalle cose più semplici: un decreto che permetta alle banche italiane di dedurre fiscalmente le perdite sui crediti alle aziende in un anno e non in diciotto (tocca a lui) può contribuire a salvare l’economia reale di questo Paese molto più di quello che si immagini (così come accadrebbe se si fermassero gli eccessi imposti sulle classificazioni dei crediti deteriorati, ma qui la responsabilità non è sua). Prosegua privatizzando tutto quello che è privatizzabile, soprattutto a livello locale e nell’immobiliare, faccia gli esami alle Regioni (una a una) smontando pezzo pezzo il ricatto delle mille burocrazie che bloccano (da sempre) il Paese, passi al setaccio tutte le Amministrazioni pubbliche centrali e tagli dove c’è da tagliare senza riguardi per nessuno abbattendo la conservazione e avendo cura di preservare il patrimonio di esperienze e di competenze. Nelle pieghe del bilancio pubblico, con un lavoro certosino e pluriennale, si possono trovare le risorse per abbassare davvero le tasse e individuare, altresì, i meccanismi giusti per alleggerire il peso (burocratico) della macchina pubblica che da troppo tempo paralizza gli investimenti in infrastrutture, schiaccia lo spirito di intrapresa degli italiani e, da ultimo, rischia di mettere in difficoltà anche pezzi (pregiati) del nostro made in Italy.
Questa è la (dura) fatica che serve all’Italia, non riguarda solo il Governo e il suo ministro dell’Economia, guai se imprese e sindacati non saranno all’altezza della sfida alla voce fatti, ma l’esempio può e deve venire da lì. In Europa - quale che sia il tipo di governo guidato dalla Merkel - ci potremo stare e contribuire a cambiare se legittimati dai risultati di quella (dura) fatica che ci permetta di chiudere i conti con vent’anni di distorsioni e di conflitti tra poteri e interessi mai affrontati e mai risolti. Prima si esce da questa stagione, meglio è.







non è Gram ...


e riprende i punti ancora non realizzati della lettera della BCE

che è due anni che ripropongo, per i lettori meno attenti
 
Il Paese senza Scilipoten



massimo gramellini



Viste da qui, le elezioni tedesche sono state un fenomeno paranormale. Alle sei le urne erano chiuse, alle sei e un quarto si sapeva già chi aveva vinto, alle sei e mezza Merkel si concedeva un colpo di vita e stiracchiava le labbra in un sorriso, alle sette meno un quarto il suo rivale socialdemocratico riconosceva la sconfitta e alle sette tutti andavano a cena perché si era fatta una cert’ora.

Qualsiasi paragone con le drammatiche veglie elettorali di casa nostra – gli exit poll bugiardi, le famigerate «forchette», le dirette televisive spalancate sul nulla, le vittorie contestate o millantate e la cronica, desolante assenza di sconfitti – sarebbe persino crudele.

La diversità germanica rifulge ancora di più il giorno dopo. Pur stravincendo, Merkel ha mancato la maggioranza assoluta per una manciata di seggi. Eppure non invoca premi di maggioranza o altre manipolazioni del responso elettorale e si prepara serenamente ad aprire le porte del potere a uno dei partiti perdenti: socialdemocratici o Verdi. I cittadini tedeschi, di destra e di sinistra, paiono accogliere questa eventualità senza emozioni particolari. Nessun giornalista «moderato» grida al golpe. Nessun intellettuale «progressista» raccoglie firme per intimare ai propri rappresentanti di non scendere a patti con il nemico. Nessun Scilipoten eletto con l’opposizione si accinge a fondare un partito lillipuziano per balzare in soccorso della vincitrice. Né alla Merkel passa per l’anticamera del cervello e il risvolto del portafogli di trasformare il Parlamento in un mercato, agevolando il passaggio nelle proprie file dei pochi deputati che le basterebbero per governare da sola.

Nelle prossime settimane, con la dovuta calma, i due schieramenti si incontreranno. Ci sarà una discussione serrata sulle «cose» e si troverà un compromesso nell’interesse del Paese. Nel frattempo il capo sconfitto della Spd avrà già cambiato mestiere, anziché rimanere nei paraggi per fare lo sgambetto al suo successore. E alla scadenza regolare della legislatura si tornerà al voto su fronti contrapposti (e con due ottime candidate donne, probabilmente: la democristiana Ursula von der Leyen e la socialdemocratica Hannelore Kraft).

La saggezza popolare sostiene che i tedeschi amano gli italiani ma non li stimano, mentre gli italiani stimano i tedeschi ma non li amano. Ci deve essere del vero. Ma ieri, oltre a stimarli, li abbiamo invidiati un po’. Qualcuno dirà: troppo facile, loro possono coalizzarsi in santa pace perché nel principale partito del centrodestra hanno una Merkel, mica un Berlusconi, e in quello del centrosinistra gli ex comunisti sono spariti da un pezzo, a differenza dei presunti smacchiatori di giaguari. Anche in questa obiezione c’è del vero. Infatti è sbagliato dire che li invidiamo un po’. Li invidiamo tantissimo.
 
La linea dell’arabesco



massimo gramellini



Quando Dio o chi per lui cucì le teste degli italiani, gli si deve essere aggrovigliato il filo. Complicato immaginare una legge più semplice di quella che persegue certi reati abietti contro le donne. Sembra fatta apposta per mettere tutti d’accordo, dal momento che neanche il maschilista più bitorzoluto avrebbe il coraggio di votare contro. La conversione del decreto entro sessanta giorni si presentava dunque come una passeggiata e tale sarebbe stata in qualunque parlamento che non annoverasse le nostre crape giulive. Cosa è successo, invece? Che i deputati dei vari gruppi hanno inzeppato il testo di emendamenti.



Quattrocentoquattordici.







Vi starete chiedendo come un gruppo di adulti - si presume - normodotati possa complicare la cosa più semplice del mondo. Semplicissimo: basta sentirsi molto furbi. E approfittare di una legge circonfusa di santità per infilare tra le sue pieghe qualsiasi faccenda che altrimenti non si riuscirebbe a far passare. E così al decreto sulle donne sono spuntate le protesi: il codicillo sulle province, il comma sulla protezione civile, la parentesi sui vigili del fuoco.



Aveva ragione Flaiano quando scriveva che in Italia la linea più breve fra due punti è l’arabesco.
 
Strano che non ci abbiano infilato un emendamento che decreti l'inapplicabilita' della legge Severino agli individui maschi di statura inferiore al metro e settanta, o un articoletto che vieti di candidarsi alle segreterie di partito a tutti coloro che abbiano difficolta' a pronunciare correttamente le consonanti gutturali occlusive sorde...
 
Ultima modifica:
28/09/2013
Singhiozzi d’Italia



massimo gramellini



Alla tribù dei cuori teneri che guarda i telegiornali è rimasto impresso quel signore anziano a cui si spezza per due volte la voce mentre commemora un caro amico che non c’è più. Tutte le famiglie ospitano qualcuno molto avanti con gli anni a cui si spezza la voce ogni volta che si abbandona ai ricordi. Ci si sente dei sopravvissuti, gli ultimi testimoni di un mondo che ha cessato di esistere e che sembra inevitabilmente migliore, anche se era solo diverso. Ma quel signore è il Presidente della Repubblica e così la sua commozione in memoria di un galantuomo come Luigi Spaventa (l’economista di fama internazionale che Berlusconi considerava inferiore a lui perché non aveva vinto neanche una Coppa dei Campioni) assume una valenza pubblica persino drammatica.

Napolitano è il superstite di una classe politica, ma anche di una certa classe nel fare politica, che appare perduta. Nei giorni in cui l’ennesimo Ventennio della storia italiana precipita in un cupio dissolvi che non lascia spazio a manifestazioni di umanità e nemmeno di decenza, quelle lacrime trattenute a stento sembrano indirizzate ai morti, ma soprattutto ai vivi. Ci meritiamo la malattia che dagli Anni Ottanta, e forse prima, sta fiaccando la Repubblica.
 
Strano che non ci abbiano infilato un emendamento che decreti l'inapplicabilita' della legge Severino agli individui maschi di statura inferiore al metro e settanta, o un articoletto che vieti di candidarsi alle segreterie di partito a tutti coloro che abbiano difficolta' a pronunciare correttamente le consonanti gutturali occlusive sorde...


è già prevista una amnistia - indulto

io personalmente da oggi sto cercando un emendamento che mi permetta di diventare apolide
 
Roberto Napole tano

DIGNITÀ


Il comportamento di Silvio Berlusconi non è dignitoso e suggella un’esperienza politica che si chiude sotto il segno di un permanente conflitto di interessi. Invece di occuparsi di cose serie (il lavoro che non c’è e il risparmio da proteggere) chiede al "suo" partito di spendersi in toto per occuparsi dei problemi giudiziari di una persona (cioè lui) che ha avuto tre gradi di giudizio per difendersi e rifiuta il verdetto finale ponendo se stesso (grave) e l’Italia (gravissimo) fuori dalle regole dello stato di diritto. Questa è la realtà. Sbaglia Berlusconi (molto) e sbaglia (soprattutto) chi nel suo partito lo incoraggia o gli va dietro voltando le spalle al Paese e confermando l’impronta padronale di una forza politica che rischia di congelare sotto una cappa nefasta la rappresentanza di istanze di centro e di centrodestra attente alle vere emergenze degli italiani e ancora molto diffuse nel corpo vivo del Paese.
 
Un miliardo bloccato nei cassetti


Sardegna: al palo quattro centrali di Archimede Solar Energy con cinquemila potenziali posti di lavoro

L’INNOVAZIONE Avviata dal Nobel Rubbia, è una tecnologia competitiva: i giapponesi di Chiyoda partner finanziari esteri pronti da tempo alla sfida
Il nostroPaese puòpermettersi di dimenticare in un cassetto un miliardo di euro di investimenti e 5mila posti di lavoro? Per di più in Sardegna, l’isola meno felice per il lavoro? La logica vuole che la risposta sia senza alcun dubbio no. L’ArchimedeSolar Energy (Ase) sta però dimostrando che in Italia potrebbe accadere anche questo. Ase (lo chiameremo così per brevità) è una società italiana che producetubi ricevitori per centrali solari termodinamiche a concentrazione ed èil soggetto di questa storia di malaburocrazia.
 
SENZA ALIBI


R Napoletano



L’ultima giravolta di Silvio Berlusconi con l’annuncio a sorpresa di votare sì alla fiducia sul governo Letta vuole coprire una bruciante sconfitta politica (la prima, vera in casa sua) e finisce con il metterla a nudo plasticamente. A noi, però, piacerebbe che questa sconfitta segnasse la fine della farsa (molto) italiana di chi interpreta la politica andando a chiedere alla gente che cosa vuole e promettendo che lo darà ben sapendo di non poterlo fare. La politica è vedere oltre e offrire alla gente una prospettiva realistica, invece di chiederla, fatta di cose concrete, che si possono toccare. La politica è interpretare i bisogni e fare capire ai cittadini che la via individuata è quella capace di soddisfarli. Come dire: sappiamo ciò che volete, ma perché accada bisogna andare in questa direzione e dovete avere fiducia in noi. Questa è la politica di cui l’Italia ha bisogno.






Per Enrico Letta il difficile inizia adesso.

Si riprenda piuttosto il cammino dal decreto del fare (è vero che contiene di più di quello che si vuol far credere) e ci si sporchi le mani per affrontare, alla voce fatti, senza far crescere il debito pubblico, le due questioni fondamentali: la riforma fiscale e il taglio della spesa statale e locale improduttiva. Presidente Letta, ora sulla partita grossa non ha più alibi, faccia quello che ha detto. Riduca i prelievi sui lavoratori e sui datori di lavoro in modo significativo e lo faccia senza aprire voragini nei conti pubblici con la fatica della buona amministrazione in casa e la forza da spendere in Europa derivante dalla credibilità di quella fatica. Chi, dentro Pdl-Forza Italia, ha scelto la stabilità non si fermi qui e dimostri, nei comportamenti, sia di avere chiuso con la stagione degli estremismi, delle demagogie sull’euro e di molto altro, sia di essere capace di misurarsi con la complessità dei problemi italiani.
 

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