IO AVREI DIRITTO AL REDDITO DI CITTADINANSIA

Mio parere personale. E' stato maniacale. Il decreto anticorruzione - anche per piccoli importi -
ha bloccato notevoli progetti nei comuni. Costretti ad imbandire gare assurde.
Vinte poi da imprese che nulla avevano a che fare con il contesto locale.
Con ribassi di gara spropositati e lavori abbandonati in corso di esecuzione.
Ed è giusto riscrivere il codice degli appalti, almeno per le opere locali.

«mi sono sentito sopportato e siccome non sono uomo per tutte le stagioni ho meditato a lungo e poi ho capito che era arrivato il momento di tornare a fare il mio mestiere».
Magistrato: questo faceva Cantone e questo vuole tornare a fare, a capo di una Procura.
Nella richiesta già presentata al Csm ha indicato tre uffici «piccoli» come Perugia, Torre Annunziata e Frosinone.

Più volte nelle ultime settimane Cantone si è sfogato per provvedimenti che «mi preoccupano»
come la norma del ddl anticorruzione che «ha alzato a 150 mila euro il tetto per gli appalti con procedura diretta»
oppure per le «uscite» di Matteo Salvini che voleva «strappare e riscrivere il codice per gli appalti».
 
È significativo che anche quest'ultimo anniversario legato al nome di Carlo Cattaneo - che morì 150 anni fa, a Lugano, in un esilio volontario - sia destinato a passare sotto silenzio.


L'Italia non ha mai gradito l'intellettuale lombardo, e non soltanto perché è nata monarchica e non repubblicana.
In fondo, Giuseppe Mazzini è stato facilmente adottato dalla nuova Italia e, anzi, è stato subito inserito nel Pantheon dei padri fondatori.
Un analogo destino non è toccato invece a Cattaneo, che ancora oggi rimane scomodo da vari punti di vista.

Trent'anni fa ci fu un momento in cui sembrò che egli potesse diventare un punto di riferimento nel dibattito politico.
Quando, intorno alla metà degli anni Ottanta, le «leghe regionali del Nord», perché allora erano chiamate così,
iniziarono a raccogliere consensi, la più agguerrita e capace di attrarre voti (quella lombarda)
scelse d'individuare nel fondatore del Politecnico il proprio riferimento ideologico.
Sotto vari punti di vista, la scelta era azzeccata.

Cattaneo era stata una delle figure cruciali dell'età risorgimentale, dato che nel marzo del 1848
era stato presidente del Consiglio di Guerra durante le Cinque Giornate di Milano.

Non soltanto, però, avversava ogni soluzione monarchica, ma immaginava anche un'Italia federale
in cui ogni comunità potesse governarsi da sé, e per di più riteneva assai arretrato il Regno di Sardegna retto da Casa Savoia.

Per questo motivo Umberto Bossi provò a utilizzare il repubblicanesimo democratico del filosofo lombardo allo scopo di dare un profilo alto al suo disegno.
La Lega lombarda voleva mettere in discussione l'assetto giacobino della Costituzione del 1947
(si pensi all'articolo 5, dove si parla dell'Italia come «una e indivisibile») e grazie a questo padre nobile
il progetto poteva essere letto in continuità con una parte significativa della tradizione italiana.

Nei decenni precedenti avevano prestato una qualche attenzione a Cattaneo studiosi di varia estrazione: prevalentemente di scuola democratica e progressista.
Un testo su Cattaneo, ad esempio, si deve a un anarchico di valore come Camillo Berneri,
che sarà ucciso dai comunisti nel 1937 a Barcellona e che, un anno prima di morire, proprio al pensatore lombardo aveva dedicato pagine interessanti.
Ma a Cattaneo hanno guardato pure Gaetano Salvemini, Piero Gobetti, Norberto Bobbio e - la cosa non può sorprendere - lo stesso Gianfranco Miglio.

Cattaneo attraeva soprattutto per la sua teoria federale, che lo porterà a vedere negli Stati Uniti e nella Svizzera due modelli istituzionali esemplari.
Ed è certo vero che egli unisce il repubblicanesimo democratico a una visione liberale della società e dell'economia, che esalta l'apertura delle frontiere e la concorrenza.
Per questo oggi Cattaneo si trova ai margini del dibattito, così che questa ricorrenza non suscita entusiasmi neppure nella sua Lombardia.

Che cos'è cambiato, da quegli anni Ottanta?
Il primo dato da rilevare è che il federalismo non è più all'ordine del giorno.
Al massimo, si parla talvolta di concedere forme di limitata autonomia ad alcune regioni un po' irrequiete:
sempre però a condizione che non venga meno quella redistribuzione assistenzialista delle risorse che, con un vero federalismo, ha poco a che fare.

Oltre a ciò, Cattaneo è tornato a essere «fuori moda» perché, quando trionfano i populismi,
è più agevole ipotizzare una ripresa della retorica di Mazzini che una valorizzazione delle pagine assai terse scritte dal fondatore del Politecnico,
ed è più facile vedere frotte di post-marxisti esaltare la Patria e l'Interesse Nazionale che non comprendere le buone ragioni delle analisi di Cattaneo.
La stessa unificazione ottocentesca promossa dal Romanticismo politico in Germania e in Italia
muoveva da una sacralizzazione del politico che nulla ha a che fare con Cattaneo.

Egli era autenticamente refrattario alle mitologie collettive, così come lo sarà Vilfredo Pareto.
E quindi non soltanto Cattaneo non collegherà Trono e Altare, ma rifiuterà anche ogni riproposizione popolare della religione civile e dell'ideologia della sovranità.

Nazionalismo e statalismo non sono in alcun modo conciliabili con la sua filosofia politica.

Per lui, soprattutto, un ordine di libertà esigeva che la proprietà fosse rispettata.
Ed è interessante rilevare come questo l'abbia portato a pensare in modo originale proprio il rapporto tra l'individuo, la proprietà e la dimensione comunitaria.
Al punto che quando nel 1977 lo storico del diritto Paolo Grossi pubblicò un volume sulle proprietà condivise,
nel titolo egli abbia citato una formula dello studioso milanese («un altro modo di possedere»).
Chiamato a esaminare la forma giuridica di alcuni usi civici del Ticino, nella piana di Magadino,
Cattaneo aveva infatti mostrato grande interesse per questa istituzione.

Egli aveva chiaro, in effetti, che ogni ordine istituzionale che localizza il potere e riconosce la proprietà in ogni sua forma finisce per favorire la migliore tutela della libertà.

Anche per questo, di lui, oggi si parla così poco.
 
Ahi ahi ahi ahi

Stiamo spendendo 300 mila euro per stabilire quanto costa la Tav e a stabilirlo sono sei esperti apertamente No Tav.

Sono i componenti della commissione costi-benefici, una cellula di specialisti, architetti e professori, nominata dal ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli,
con l'intenzione di bocciare l'opera, di piegare i numeri, di trasformare in scienza i pensieri anti treno del M5s.

Studio che Toninelli ha appena consegnato all'ambasciatore francese in Italia.
Scelti senza un bando pubblico, selezionati a discrezione del referente della commissione,
il professore di Economia Applicata Marco Ponti, che ne ha indicato 4 su 6,
gli esperti sono guidati proprio da questo super tecnico che si definisce un «conta fagioli»
e che per gonfiare i costi sta ultimamente inserendo di tutto, perfino le accise del carburante risparmiato.

Nominati con dei decreti ministeriali, i componenti sono (oltre Ponti) Paolo Beria, Riccardo Parolin, Francesco Ramella Pezza, Alfredo Drufuca e Pierluigi Coppola.

Fanno tutti parte della nuova struttura tecnica di missione varata dal ministro e che ha compiti di indirizzo strategico e sviluppo delle infrastrutture.
Insieme a Coppola, unico già in carica nella vecchia struttura, i cinque componenti sono stati contrattualizzati per un anno.

Per produrre la relazione, il cui esito è già scontato e anticipato da fonti del ministero che hanno fatto trapelare l'esito
(«Emerge un saldo negativo»), a tutti e cinque è stato accordato un compenso di 50 mila euro a eccezione di Ponti che, in quanto pensionato, non può percepirlo.

Gli incarichi sono stati conferiti il 15 ottobre 2018.
Per tutti e cinque si tratta di una «collaborazione coordinata e continuativa» che scade il 15 ottobre del 2019.
In realtà, secondo le dichiarazioni di Ponti, gli esperti sarebbero a lavoro già da luglio ma delle loro fatiche
se ne ha avuta notizia solo il 28 novembre 2018 quando è stato lo stesso ministro a rassicurare sulla loro «indipendenza e imparzialità»
e dopo la promessa, ancora di Toninelli, di non dare «mai mandato a una struttura, a un supertecnico,
o a un superconsulente e di fare un'analisi scientifica sulla base di un indirizzo politico».

E invece non solo i componenti hanno un chiaro indirizzo politico ma sono perfino soci.
Come ha documentato in un dossier il deputato piemontese del Pd, Davide Gariglio,
4 dei sei componenti sono stati soci, membri di cda o consulenti della Trt Trasporti e Territorio srl.
È una società specializzata in economia e pianificazione nel settore dei trasporti che è stata fondata da Ponti, presieduta da Ponti, codiretta da Ponti.
Tra i soci fondatori della Trt figura Riccardo Parolin che, come detto, siede oggi in commissione insieme ad Alfredo Drufuca.
Anche Drufuca ha fatto parte della Trt e nel suo consiglio di amministrazione.
Altro esperto è Paolo Beria, professore associato in Economia Applicata presso il Politecnico di Milano.
Prima di essere chiamato a pronunciarsi sulla Tav aveva espresso la sua opinione: «La Torino-Lione è una linea su cui non si dovrebbe investire».
Beria dirige anche il Traspol, un laboratorio di politiche dei trasporti sempre del Politecnico.
Prima di lui, a dirigerlo, c'era lo stesso professore che lo ha chiamato alla commissione costi benefici Tav. Vale a dire Ponti.
Ma ha collaborato al Traspol, e dunque sia con Ponti che con Beria, anche Ramella Pezza, oggi docente presso l'università di Torino.
Nel movimento No Tav i suoi studi sono letture consigliatissime. Uno su tutti è «Le ragioni liberali del No», un paper che porta la firma di Ramella e ancora di Ponti.

Per Gariglio «tutto quello che si può dire è che siamo di fronte a una commissione scelta senza chiamata pubblica,
composta quasi interamente da chi nutre un pregiudizio e in conflitto di interesse. Mi sembra palese che l'unica utilità
di questa commissione è stata quella di dare 50 mila euro ai componenti».

Insomma, è così che si sta giocando la partita della Tav.
 
Ein explosiver Urteil. Una notizia esplosiva. Ha titolato così Die Welt quando, cinque giorni fa,
è riuscito a ricostruire quanto avvenuto la scorsa primavera a Dresda:
il brutale stupro di un'assistente sociale e la successiva assoluzione del siriano che, dopo averla pestata a sangue, l'ha violentata senza alcuna pietà.

Il pubblico ministero, spiega ItaliaOggi che ha ripresa la notizia in Italia, ha chiesto e ottenuto che il profugo non finisse in carcere perhé non è

"in grado di capire che nella nostra società i rapporti tra uomo e donna non sono basati sulla forza".
"C'è un bonus alla violenza sessuale per gli immigrati?", si chiede ora il redattore di Die Welt.

La notizia è stata oscurata per mesi.
I fatti risalgono, infatti, alla fine del 2017 e l'assoluzione ad aprile del 2018. Quasi un anno fa. Un anno di silenzi.
Solo i quotidiani locali di Dresda si sono occupati della vicienda giudiziaria.

Fino a qualche giorno fa, quando Di Welt ha preso in mano il caso e ci è andato a fondo.
Ha parlato con Gesa Israel, l'avvocato dell'assistente sociale che è stata violentata dal siriano.

È stata lei a consigliare alla vittima "di essere molto prudente nel rilasciare dichiarazioni che potrebbero venire manipolate e sfruttate in chiave politica".

Perché tutto questo silenzio? Impossibile a dirsi, anche perché la sentenza è eclatante.
Non è la prima volta che in Germania certe notizie passano sotto traccia.
Basta pensare a quanto ci era voluto perché venissero alla luce gli abusi e le violenze perpetrate da alcuni immigrati la notte di capodanno in piazza a Colonia.

Lo stupro, come ricostruito dal quotidiano tedesco, è avvenuto nell'appartamento dell'immigrato ventenne.
Non appena l'assistente sociale ha capito le intenzioni del giovane, ha provato a repingerlo spiegandogli che di non voler, in alcun modo, avere un rapporto sessuale con lui.
Il siriano ha dato in escandescenze l'ha pestata. Dopo la prima raffica di botte, la donna in lacrime non ha più opposto resistenza per non finire massacrata dall'aggressore.

Durante il processo che si è tenuto la scorsa primavera, il pubblico ministero ha chiesto alla vittima se lo stupratore potesse non aver capito che lo stava rifiutando.
"Potrebbe essere possibile...", ha risposto dando così l'assist al giudice che ha, quindi, assolto il siriano.

Una storia drammatica, appunto, perché, come rileva Die Welt lo straniero l'ha fatta franca perché, a detta del magistrato,
non avrebbe inteso che in Occidente (e auspicabilmente in tutto il modo) i rapporti tra uomo e donna non sono mai contro la volontà di uno dei due partner.

Un'ovvietà che per alcune persone non è poi così ovvia.
 
Chiunque abbia un minimo di stima di Aurelio De Laurentiis non avrebbe mai pensato che ci sarebbe cascato anche lui.
E invece stava per cascarci pure lui.

Pensava di aver venduto Marek Hamsik ai cinesi del Dalian Yifang alle sue condizioni:
20 milioni al Napoli e tanti saluti ad uno dei suoi paladini.

E quelli, invece, cosa hanno combinato?

Glielo hanno fatto credere fino all'ultimo, poi hanno tirato fuori l'idea, l'inghippo, il cavillo per pagare certo, ma a condizioni più vantaggiose.

E allora ecco il comunicato del club che rimette tutto a posto e niente in ordine:
«Il calcio Napoli ha deciso di soprassedere alla cessione di Marek Hamsik ai cinesi poiché le modalità di pagamento
della cifra pattuita non collimano con gli accordi precedentemente raggiunti»

Come aveva detto De Laurentiis ad inizio settimana: «Pagare moneta, vedere cammello».

In questa frase si è rivisto l'istinto dell'uomo di affari.
 
Ecco il carrozzone ......


File di bellissime ragazze (entrate col pass, subito nascosto all'ingresso in sala)
sono spostate da destra a sinistra e da sopra a sotto: per esigenze di riprese televisive?

In galleria c'è una specie di regista, che distribuisce i posti alle bellissime ragazze in abito da sera e trascina il pubblico negli applausi.

Fatto sta che è un continuo alzarsi, scusi, permesso, dopo non passo più, sedersi.

A ogni pubblicità ripartono gli spostamenti di massa anche in direzione bar.
Dopo quindici canzoni, e ancora nove da ascoltare, in effetti ci vuole qualcosa di forte.
Tipo l'equivalente di una scarica di corrente elettrica.

Sul palco, un cerimoniere Rai è costantemente nel panico e fa il conto alla rovescia.
Mancano tre minuti. Vi prego sedetevi. Mancano due minuti. Rientrare per favore. Manca un minuto. Vi prego sedetevi.
Nel frattempo Bisio offre qualche battuta destinata a restare in teatro.
A un certo punto fa cantare alla platea Fiori di rosa fiori di pesco e poi: «Alle falde del Kilimangiaro! Paraponziponzipò».
Il cerimoniere (mancano trenta secondi) allontana Bisio.

È tutto un brulicare.
Lassù in galleria si scatena l'entusiasmo (a comando).
Uomini col pass fanno partire gli applausi e riempiono i momenti di attesa prolungata con urla.

Brava Giorgia. Brava Patty. Bravo Claudio.
È un «aiutino», nel gergo del linguaggio televisivo.
 
Un po' di politica allieta la mattinata .....

Mentre Matteo Salvini si appresta ad un processo politico per le sue azioni contro l’immigrazione clandestina,
dalle Università italiane sale un fermento che di questo sistema fa l’elogio,
compresi schiavisti e venditori di uomini, trasformandole in santuari dei clandestini.
E il nemico è ovviamente sempre lui, il ministro dell’interno, il principale responsabile di una politica che,
con scarsa fantasia ma con molta ignoranza, viene chiamata «fascista».

Il caso più eclatante è quello del Rettore di Palermo, Fabrizio Micari,
già candidato sfortunatissimo del Pd alle regionali, che ha iscritto nel suo ateneo
un immigrato in attesa del responso della domanda di asilo, quindi irregolare;
decisione ovviamente sbandierata come un gesto di civiltà rispetto all’orribile governo deportazionista.

Sappiamo poi di lezioni trasformate dai docenti in comizi, o per meglio dire, in prediche a senso unico,
seguite da inviti a mobilitarsi, a scendere in piazza, a firmare appelli contro il « razzismo » del governo;
che circolano in alcuni casi anche nelle mailing list di Dipartimento, di solito occupate a render conto di seminari e di convegni.

Ora il professore che diventa agit prop (e questo vale per qualsiasi causa) commette un triplice fallo:
contro l’etica,
contro la scienza e
contro la politica.

Contro l’etica, perché la sua posizione di superiorità rispetto a studenti non interessati alla «battaglia»
oppure proprio ostili, gli consente facilmente di manipolarli.

Contro la scienza, perché, come scriveva nel 1918 Max Weber in una celebre conferenza,
in cui esortava a lasciare la politica fuori dalla cattedra, il compito di un «abile maestro è insegnare ai propri allievi
a rendersi conto dei fatti imbarazzanti per la sua stessa ‘opinione di partito’».
È questo, insomma, lo spirito critico: non inveire contro Salvini o Toninelli.

Ma si fa infine anche un cattivo servizio alla politica, di cui ai giovani si restituisce l’immagine di un’attività ideologizzata,
violenta, in cui chi non la pensa come te è un nemico da abbattere.

Abbiamo visto tante volte nel passato queste scene svolgersi in atenei prestigiosi,
trasformati negli anni Settanta in scuole reclutamento del terrorismo.
Ma questa non è una buona ragione perché ciò accada ancora.
Inoltre allora la protesta nasceva dagli studenti, e solo poi trovava l’appoggio e la condiscendenza (speso vile) di molti docenti.
Qui invece sono questi ultimi che si mobilitano.

Attenzione, non è un retaggio del passato: è un tentativo di portare anche in Italia la guerra identitaria
che sta degradando le facoltà umanistiche e di scienze sociali degli atenei Usa e Uk.

Attraverso il culto del migrante e delle frontiere aperte le nuove guardie rosse del multiculturalismo
cercano di abbattere la cultura occidentale, la religione (ovviamente solo quella cristiana ed ebraica),
il passato «colonialistico e imperialistico», il «dominio fallocratico» del maschio, fino alla «dittatura del genere sessuale».

In quei paesi siamo ormai alla caccia alle streghe, cioè a coloro che non condividono o che vogliono studiare in modo critico.
Evitiamo che lo strumentale elogio del «migrante» trasformi anche gli atenei italiani in campi di battaglia e in collezioni di cervelli all’ammasso.
 
"Mentre il Ministro degli Interni gioca a fare il poliziotto di cartone - ha scritto Zucconi,
condividendo un articolo sul ragazzo ferito da uno sparo nella Capitale -
nella Roma senza sindaco nè governo si sparacchia e si stronca la vita di un giovane e di un campione.
Viva il 'Decreto Sicurezza' che facilita l'acquisto di armi".

A dire il vero non si capisce in che modo il dl Salvini faciliti l'acquisto delle armi. Ma tant'è.

Per Zucconi, che già in passato aveva attaccato il ministro dell'Interno per le sue politiche sull'immigrazione,
sembra esserci un collegamento tra le attività di Salvini e la drammatica vicenda di Manuel. Quale? Per ora è un mistero.

"Il 'signor' giornalista radical-chic, che dalla sua bella casa in America mi incolpa di quanto accaduto,
dovrebbe solo vergognarsi. Ma come si fa a scrivere parole del genere? Anche solo per rispetto verso Manuel e la sua famiglia".
 
Un'avventura cominciata male e (quasi) finita ancora peggio.
Lo show di Adriano Celentano con annesso cartone animato Adrian è stato sospeso per due settimane.

Con decisione consensuale del Clan del cantante e di Mediaset.
Ufficialmente la motivazione è «un malanno di stagione», per cui il Molleggiato
«non potrà guidare Aspettando Adrian e la serie annessa per almeno due settimane, così come prescritto dai medici curanti».
 
Si cambia....una volta al potere, ci si adegua.

Volti noti, veri e propri big capilista del M5S alle prossime elezioni europee.
Per loro niente parlamentarie: Luigi Di Maio, capo politico del M5S, gli assegnerà direttamente un posto in cima ai listini.

Cinque, in tutto, quelli previsti per le elezioni europee.
Elezioni dove, comunque, a farla da padrona saranno le preferenze, dunque i ‘capilista’ potranno anche essere superati in corsa.

Sarebbe questa la ‘mediazione’ alla quale si sta giungendo in casa 5 Stelle,
dove i criteri delle candidature, soprattutto dopo la svolta alle scorse elezioni politiche
di aprire alla cosiddetta società civile, stanno generando non poche tensioni.

In particolare, a quanto apprende l’Adnkronos, nelle settimane scorse si era considerata l’ipotesi
di una vera e propria ‘quota’, ben più corposa, decisa da Di Maio, dunque calata dall’alto.

Un sorta di listino nella lista.

Un’ipotesi che aveva mandato in fibrillazione gli europarlamentari uscenti,
timorosi di perdere il seggio per fare spazio al volto noto di turno.

Nelle ultime ore, invece, a Bruxelles sembra tornato il sereno.
L’opzione capilista ad appannaggio di Di Maio, riflettono tra loro gli europarlamentari, graverebbe solo su 5 seggi in tutto:
gli eletti 5 Stelle di casa a Bruxelles sono attualmente 11, visto che sei hanno abbandonato il gruppo in corsa.

E i sondaggi attualmente in mano al Movimento parlano di 22-25 seggi: numeri alla mano, ci sarebbe spazio per tutti.
Ma se i capilista decisi da Di Maio sembrano aver portato un clima di serenità in Europa,
i ‘falchi’ del Movimento guardano col fumo agli occhi anche aquesta opzione.
Una ipotesi che ormai sembrerebbe una decisione già presa.
 

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