LASSU'

Bidet, che pover'uomo che sei.

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Ministro degli Esteri.....ahahahahahahahahahah


Nei momenti cruciali della storia si può assistere a discorsi che ne cambiano il corso,

come quelli di Churchill, oppure a a sermoni autoassolutori e falsi, come quello di Biden.


Intervenuto in TV per spiegare le immagini disastrose che gli americani vedono trasmesse da Kabul Biden ha:



  • Affermato di non pentirsi della decisione del ritiro;

  • Affermato che “La nostra missione in Afghanistan non è mai stata la costruzione di una nazione”,
  • contraddicendo quanto detto da tutti i presidenti a partire da Bush
  • con “promozione della democrazia” e “portare i diritti delle donne in Afghanistan “ecc ecc..

  • Dato la colpa di quanto accade a tutti, dai suoi predecessori agli afgani ai talebani.
  • A tutti , tranne che aallasua amministrazione;

  • Ammettere che tutto si è svolto più rapidamente di quanto si aspettasse,
  • ignorando quindi quanto i capi militari gli avessero detto da tempo e non ammettendo di non averli coinvolti.

Un pessimo discorso, imbarazzante, e senza domande o repliche ulteriori.

Qualcosa che forse era da evitare completamente.




La migliore risposta gliela data Matt Zeller,
veterano dell’Afghanistan e fondatore dell’associazione “None left behind”, nome che ora appare ironico:


This Afghanistan vet just blew up MSNBC’s entire Biden-simping Afghanistan narrative LIVE ON AIR.
What a glorious takedown. Watch this. pic.twitter.com/6mR2RlPN7I
— Benny (@bennyjohnson) August 17, 2021




Riassumendo:


– l’amministrazione Biden era stata avvisata;


– c’erano i mezzi per una evacuazione ordinata;


– i collaboratori da evacuare sono 86 mila, non 2 mila come vuol far credere Biden;


– i militari afgani hanno subito ogni anno perdite pari a quelle degli USA nei 20 anni di permanenza,
come si può pretendere che combattano senza paga e rifornimenti regolari?


– gli USA avevano preso degli impegni chiari con i militari e la popolazione afgana e li hanno tradito.


Come si può pensare che ora qualcuno gli creda ancora?


Perché proprio questo è il danno maggiore compiuto dall’amministrazione Biden:

come si può credere che si impegnerà seriamente nella difesa di Taiwan,

quando non è stata in grado neppure di lasciare 10 mila uomini a garanzia di Kabul?


Come si può pensare che gli impegni presi siano seri?


Anche in ambito NATO, quanto può essere seria la garanzia posta per gli alleati esterni come Ucraina e Georgia,
o anche interni come i paesi baltici, quando non si è lasciato neanche un minimo contingente di garanzia
che ultimamente aveva meno perdite dei morti in una media città usa per incidenti stradali?


In Vietnam il ritiro non coinvolse tutta la NATO, qui si è invece distrutta la credibilità di tutto il mondo occidentale,
fatto gravissimo, per chi ne comprende gli effetti.


L’impero americano ha visto la sua Manzikert, da ora sarà solo una lunga , sanguinosa, decadenza.


Intento in Italia…


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I cinque stelle hanno già iniziato a valutare una possibilità di futuro governo insieme ai talebani, per garantirsi una poltrona?
 
Diverse medicine tradizionali, che escono dal cammino di quella occidentale, hanno proposto le loro terapie contro il covid.

In India la medicina ayurvedica, ad esempio, ha predisposto non una, ma diverse terapie tradizionali.


La medicina ayurvedica viene definita una pseudoscienza dai medici moderni,
ma le sue terapie si sono evolute nel corso di più di due millenni.

Queste includono farmaci, diete speciali, meditazione, yoga, massaggi, lassativi, clisteri e oli medicinali.

Le medicine sono tipicamente basate su composti vegetali complessi, minerali e sostanze metalliche ,
probabilmente per l’influenza dell’antica alchimia indiana o rasa shastra.

Gli antichi testi ayurvedici insegnavano anche tecniche chirurgiche, tra cui rinoplastica,
estrazioni di calcoli renali, suture e l’estrazione di oggetti estranei.



Questa medicina non riconosciuta e non ufficiale ha comunque approvato circa 14 farmaci ayurvedici
e sono state fornite raccomandazioni da utilizzare come farmaci migliorare la risposta immunitaria contro il COVID-19,
secondo il commissario ayurvedico Dr. Dhammika Abeygunawardana, tra cui il “Suwa Dharani”.


“Successivamente, ci sono state indirizzate 100 ricette ayurvediche e alla fine è stato deciso di approvare 14 di questi farmaci
che sono efficaci per aumentare l’immunità contro il virus COVID”, ha affermato.


“Questi sono tutti medicinali naturali e nessuno soffrirebbe di effetti collaterali

e chiunque può usarli senza alcun timore o dubbio”, ha sottolineato.




Ovviamente sono cure non approvate, neanche lontanamente, da nessun ente occidentale,

ma in paesi poveri spesso sono l’unica forma di terapia disponibile.
 
E' veramente difficile scegliere la miglior buffonata messa in campo in questi 18 mesi.

Questa contende il primato, con quella delle finestre aperte.......



Insieme sulla stessa volante, per fare servizio, o negli uffici.

Quando però scatta il fatidico momento, quello della mensa,
poliziotti e carabinieri si trovano di colpo divisi in due categorie, con diritti molto differenti:

chi ha il green pass può entrare in mensa e consumare regolarmente il suo pasto,

gli altri no, fuori, costretti ad arrangiarsi.


Con tanto di foto choc che hanno già iniziato a fare il giro dei social, tra l’indignazione e la sorpresa degli utenti italiani.




[IMG alt="Green pass obbligatorio in mensa: poliziotti e carabinieri costretti a mangiare sul marciapiede
"]https://www.ilparagone.it/wp-content/uploads/2021/08/asa1-4-1024x538.jpg[/IMG]


Tutta colpa di una circolare del Dipartimento di Pubblica Sicurezza che ha di fatto sconfessato tutti i provvedimenti precedenti,

introducendo con decorrenza immediata l’obbligo della certificazione verde anche all’interno delle mense di servizio obbligatorie delle forze dell’ordine.


Un drastico cambio di rotta rispetto a tutte le precedenti indicazioni,

con il ministero della Salute che ha deciso di non esentare nessuno dall’obbligo di green pass per avere accesso al servizio mensa.

Nemmeno chi lavora per proteggere i cittadini.




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Una notizia che ha ovviamente scatenato la rabbia e la protesta degli agenti e dei sindacati che li tutelano,

mentre in tutta Italia iniziavano a comparire i primi scatti di poliziotti e carabinieri costretti a mangiare da soli all’aperto, sotto il sole, con un panino in mano.


La testata Monza Today ha ospitato, per esempio, lo sfogo di Alessandro Griesi,
agente brianzolo e segretario provinciale di Milano della Federazione Sindacale della Polizia di Stato,
accompagnato da scatti che immortalano alcuni tutori della legge seduti sul marciapiede, costretti a consumare così il loro pasto.

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Una decisione arrivata nonostante all’interno delle mense fossero state adottate tutte le misure necessarie a contenere il contagio:

gel per sanificare le mani,

distanziamento dei tavoli,

mascherine per tutti.


Con Cgil e Cisl all’attacco:

“Non ha senso separare gli agenti in mensa dopo che sono stati insieme anche otto ore, nel corso della giornata”.

Niente da fare.


Alla fine si è optato per l’ennesima discriminazione,

ennesimo passo verso una società in cui chi non si piega alla dittatura sanitaria

è sempre più considerato un cittadino di serie b, senza gli stessi diritti degli altri.
 
C’è un governo, quello italiano, che continua a insistere sulla necessità di vaccinare tutto e tutti,

compresi i più giovani, sostenendo che non esista altro modo per uscire dall’incubo Covid-19.


E ci sono invece numeri, puntualmente ignorati da Draghi & co, che raccontano una storia molto, molto diversa.


Sono quelli che arrivano da Israele, Paese che per primo si è lanciato in una massiccia campagna

per somministrare i farmaci alla stragrande maggioranza della popolazione.



E che è però ancora lungi dal cantare vittoria.


Nelle scorse ore, stando ai dati rilasciati dal ministero della salute,
i nuovi casi accertati in Israele sono stati infatti 5.755.

La conferma di come non sia sufficiente affidarsi ai farmaci attualmente sul mercato,
pagati a peso d’oro dai governi di tutto il mondo, per vincere la sfida contro il virus.


Tra i contagiati, il 43% non aveva ancora completato il ciclo di vaccinazione,

mentre oltre il 55% aveva già ricevuto entrambe le dosi.



Dando un’occhiata ai dati sui positivi, 400 persone si trovano in gravi condizioni di salute,

un numero in crescita rispetto alle ore precedenti, il più alto dall’inizio di marzo,

con 87 pazienti catalogati addirittura come “critici”.


Tra questi, il 35% non aveva completato il ciclo di vaccinazione,

mentre addirittura il 61% aveva già ricevuto sia la prima che la seconda dose.


Complessivamente, il numero di persone non vaccinate e ricoverate in gravi condizioni a causa della positività al Covid-19 è addirittura in calo,

mentre è in crescita quello di chi, nonostante le due dosi, ha visto di colpo precipitare la propria situazione.


Numeri che sconsigliano, ancora una volta, di trattare i farmaci attualmente disponibili come panacee in grado di risolvere, da sole, ogni problema.


E che rendono ancora più insensati provvedimenti come il green pass.
 
Giorgio Battisti è un generale dell’Esercito che l’ha vista tutta, brutta,
sporca, cattiva, piena di eroismi che non fanno notizia ma restano nel cuore.

È stato il primo comandante del contingente italiano in Afghanistan,
ha sulle spalle tante missioni, molti anni della sua vita in prima linea,
la mente sempre rivolta ai compagni che con lui hanno combattuto la battaglia più difficile, quella per la pace.

Kabul, Herat, qui i suoi soldati hanno lavorato per la ricostruzione dell’Afghanistan,
quello che la diplomazia chiama “nation building” e si traduce nel lavoro più difficile e pericoloso che esista sulla faccia della Terra.

Vent’anni dopo il ritiro delle truppe, l’Occidente volta le spalle al popolo afghano,
la decisione del Presidente Joe Biden di lasciare l’Afghanistan al suo tragico destino si sta compiendo in queste ore cariche di morte.


L’ammaina bandiera a Herat, ripiegato il tricolore, anche noi a casa, come tutti, in silenzio,
solo un mese dopo quel rito senza gioia, quasi un presentimento, arriva la notizia, poche ore fa,
la caduta della città in mano ai Talebani, le cronache dell’orrore.


Il generale Battisti oggi è in pensione, ma non si è mai ritirato,
è il punto di riferimento di centinaia di soldati italiani che hanno condiviso con lui il sudore, le lacrime,
la divisa che è un destino comune, un uomo di grande cultura, uno stratega, per molti, un padre.

È lui il testimone del tempo che mi conduce in questo viaggio tra il presente e la memoria.

Andiamo in Afghanistan, il teatro della lunga guerra.


Generale Giorgio Battisti, Herat, che fu la base dei militari italiani, è caduta. Cosa prova?

Sono arrivato in Afghanistan a dicembre del 2001, con il primo nucleo di italiani che, insieme all’ambasciatore,
doveva aprire l’ambasciata e creare le basi per l’arrivo del primo contingente.
Provo una grandissima tristezza, perché in 20 anni di nostra presenza – e anche di mia presenza personale –
ho avuto modo di conoscere quello splendido popolo, quell’affascinante società.
Abbandonare così, vedere come finisce questo lungo periodo di nostra presenza e di nostro sacrificio,
mi crea una grande tristezza, soprattutto per le popolazioni che torneranno sotto questo buio e orribile regime dei talebani.


Le nostre truppe hanno ammainato la bandiera l’8 giugno, il 12 luglio hanno lasciato Herat, un mese dopo, la caduta. É sorpreso dalla rapidità del collasso afghano?


Sono sorpreso.
Ma bisogna fare una premessa: già due anni fa, i principali vertici militari americani che si erano succeduti al comando della missione
avevano preannunciato che le forze di sicurezza afghane non erano capaci di sostenere da sole l’eventuale offensiva talebana.
Questo è stato detto due anni fa, ripetuto l’anno scorso ed è stato detto anche pochi mesi fa
da quelli che erano fino a pochi giorni fa in carica al comando della missione.

Quindi era una cosa prevedibile, previdibilissima.

I tempi in cui i Talebani sono riusciti a occupare più della metà dell’Afghanistan, sono invece stati sottovalutati,
perché si pensava che le forze di sicurezza, il governo afghano, potessero tenere almeno per qualche altro mese.


Invece c’è stato un rapido deterioramento.

Sì, un effetto domino, ne ho parlato anche con alcuni colleghi afghani, si è creato questo spirito della sconfitta,
questa idea che ormai c’è poco da fare, per cui i militari preferiscono arrendersi, sono convinti che l’onda talebana sia irreversibile.


Gli inglesi, il ministro della Difesa, Ben Wallace, dicono che l’Afghanistan è ormai dentro la spirale di uno Stato fallito. Quali possono essere le conseguenze?

L’Afghanistan è una terra di mezzo.
Crea un vuoto di potere nel quale potranno svilupparsi, riprendere fiato, le formazioni terroristiche storiche:
Al Qaeda, l’Isis che si è impiantato in Afghanistan dopo la cacciata dall’Iraq e dalla Siria, con l’intento di creare il Califfato.

C’è la possibilità che queste formazioni terroristiche, che sono circa venti, tra i vari gruppi, sulla base etnica,
possano svilupparsi ed esportare il terrorismo anche nei paesi limitrofi: verso i paesi dell’ex Unione Sovietica, Tagikistan, Kazakistan,
verso la Cina, dove ci sono gli Uiguri che sono i cinesi musulmani, alimentare ancora di più il Pakistan…


È un effetto domino.

E può creare questa espansione.
Senza dimenticarsi – e sfugge a molti – che l’Afghanistan oggi è il principale produttore di droga.


Il più grande esportatore di oppio del mondo.


Arriva dall’Afghanistan.
E ci sarà un’ulteriore esportazione, un ulteriore flusso di droga,
i Talebani e le altre formazioni terroristiche si finanziano con la droga.


Come può sopportare l’Occidente il peso di una simile scelta, della ritirata?


Il problema è che l’Occidente è andato in Afghanistan perché ha seguito gli Stati Uniti.
Che sono l’unica potenza in grado d’intervenire a così grandi distanze,
con uno strumento militare elevato, di grande potenza e capacità tecnologica.
Parlo di trasporti aerei strategici, dell’intelligence, del supporto di fuoco aereo.
Chiaro che l’Occidente sull’onda dell’attentato alle Due Torri ha seguito gli Stati Uniti,
che avevano invocato l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato Nato
che prevede l’aiuto di tutti gli altri membri a un paese sotto attacco.

Gli americani già un anno fa, con la presidenza Trump, avevano detto che si sarebbero ritirati,
scelta confermata da Biden, però senza imporre condizioni.

Nell’accordo di Doha del febbraio dell’anno scorso c’erano chiare condizioni:

il cessate il fuoco,

interrompere i contatti con Al Qaeda e gli altri gruppi terroristici,

avviare i colloqui inter-afghani, tra i Talebani e il governo afghano,

tutti fatti che non si sono verificati.


Aggiungo un altro aspetto.


Quale?

Tradizionalmente il periodo estivo – da aprile fino a ottobre – è quello della stagione dei combattimenti.
Si scioglie la neve sui passi che collegano Afghanistan e Pakistan,
possono così riprendere i collegamenti per il rifornimento di munizioni e il movimento di uomini e così via.

Sarebbe bastato dire ci ritiriamo a ottobre, a novembre, quando i movimenti sono più difficili,

invece la decisione è giunta nel pieno della stagione dei combattimenti.


La scelta della data del ritiro ha favorito l’avanzata.


Sì, anche perché inizialmente l’ultimo soldato americano avrebbe dovuto ritirarsi l’11 settembre,
quindi sarebbe stata un’ulteriore beffa, la seconda sconfitta dopo l’attentato alle Due Torri,
forse si sono accorti dell’errore e hanno anticipato a fine agosto.


Il commissario europeo Paolo Gentiloni ieri ha commentato: “Anni di impegno italiano cancellati. Si discuterà a lungo su questa guerra e sul suo epilogo”.
Ecco, discutiamo. Lei condivide?


Ritengo che sia una povera considerazione.
Noi in questi 20 anni abbiamo dato un’impulso alla società afghana che era chiusa nel grigiore del regime talebano,
abbiamo fatto vedere ai giovani stili di vita – che poi possono essere seguiti o meno – diversi da quelli che gli hanno imposto i Talebani.

Oggi i giovani conoscono il mondo, hanno accesso a Internet, parlano sui social,
quindi penso e spero che sia difficile che i Talebani comunque riescano a imporre quel loro regime che era così chiuso come 20 anni fa.

Anche se dubito, alcune cronache di stampa dicono che nelle città che hanno occupato hanno reimposto il burqa, la sharia, chiuso le stazioni radio.

I primi segnali non sono positivi.

Indubbiamente c’è il rischio che si torni a vent’anni fa.

Nel massimo distacco di tutto il mondo e soprattutto della comunità occidentale.


Chi si fiderà mai più di una coalizione occidentale in un teatro di guerra?

Avvenne così anche nel 1975 con il Vietnam del Sud.

Solo che allora c’era Kissinger, l’incaricato speciale per i rapporti con il Vietnam del Nord,
e negli accordi di Parigi del 1973 aveva chiesto al Vietnam del Nord un decente intervallo prima di occupare il Vietnam del Sud.

Sono stati due anni.

Alla fine il Vietnam del Sud è caduto.

E tutti noi abbiamo in mente gli elicotteri che abbandonavano l’ambasciata americana di Saigon con le persone appese ai “pattini”.

È difficile fidarsi al 100%, abbiamo avuto altri esempi, è successo di recente con i curdi, che sono stati abbandonati.

E c’è sempre Taiwan, se io fossi un governante di Taiwan, comincerei a dubitare dell’appoggio completo da parte degli Stati Uniti.


Di ritiro si discuteva da anni, da Obama in poi, fino a Trump che lo mise come obiettivo della sua campagna elettorale del 2020.
Ma nella exit strategy di Biden appaiono degli errori di valutazione della situazione sul terreno enormi.
Com’è stato possibile?


Errori dell’intelligence no. Sono usciti diversi “anonimi” sulla stampa statunitense,
ma anche dei generali ancora in servizio, che avevano – in modo un po’ light – comunque delineato questa possibile soluzione.
Hanno prevalso valutazioni di carattere politico su quelle del terreno.
Ancora adesso il Presidente Biden dice che non si è pentito di aver chiuso la missione ad agosto.


Il presidente Biden dice: “Gli afghani devono combattere”.
Per ora le notizie sono quelle di una carneficina e di una resa totale di fronte all’avanzata dei Talebani.
Lei è un generale, ha operato sul campo, le chiedo… come possono combattere?


Un altro errore, che avevo già verificato, è che abbiamo cercato di plasmare le forze armate afghane secondo i nostri modelli occidentali,
dimenticando che un esercito è espressione della storia, della cultura, delle tradizioni e dell’ordine politico del proprio paese.
Abbiamo cercato di imporre il nostro modello occidentale su dei guerrieri che hanno sempre fatto della guerriglia il loro modo di combattere.
Non un sistema di combattimento convenzionale.


Erano abituati a fare la guerra asimmetrica.

Sì, la guerriglia. I Talebani fanno la guerriglia.

Tanto è vero che gli unici che combattono bene in questo momento sono i “commandos” afghani,
che purtroppo sono pochi, circa ventimila, perche’ combattono con gli stessi sistemi della guerriglia talebana,
cioé il loro innato modo di combattere.

Del resto, la fama degli afghani era quella di essere i piu’ temibili guerrieri di tutta l’Asia Centrale.


Anni fa, il generale David Petraeus, mi spiegò come funzionava la strategia “Anaconda” in Afghanistan e in Iraq.
Era una questione di coinvolgimento delle parti in gioco sul terreno (a cominciare dalla politica, ovviamente),
di combattimento della coalizione e addestramento dell’esercito afghano. Petraeus comprava tempo.
Ma l’amministrazione Obama cominciò a demolire questa strategia, fin dalle operazioni di combattimento,
il ministro della Difesa, Leon Panetta disse che entro la fine del 2013 sarebbero terminate.
Il declino della missione comincia da qua?


Il primo errore è stato commesso dal Presidente Bush nel 2003,
quando ha distolto buona parte delle risorse militari dall’Afghanistan per attaccare l’Iraq.
Perché nel 2003 i Talebani erano sotto pressione, erano stati dispersi,
c’erano pochissime sacche ancora di resistenza che potevano essere eliminate,
e quindi poi si poteva pretendere un accordo politico con questa fazione.


Il secondo più grave errore è stato fatto dal Presidente Obama,
quando su insistenza dei propri generali aveva concesso il rinforzo di oltre 30 mila uomini nel 2010,
quello che è stato chiamato poi “surge”, ma precisando che sarebbero stati distaccati solo a tempo determinato,
quindi iniziando il ritiro a fine 2011.


I Talebani, che non sono fessi, hanno aspettato che questi rinforzi si ritirassero, in attesa di riprendere poi l’offensiva.


È da fine 2011 che il contingente internazionale – che era arrivato fino a 140 mila uomini – ha iniziato a ritirarsi.

È come se il presidente Roosevelt, dopo lo sbarco in Normandia, avesse detto:

“Una volta che abbiamo occupato la Francia, ci ritiriamo”.


Il terzo errore è stato di Biden che non ha posto condizioni serie nei confronti dei Talebani.



Biden dice che non ha rimpianti. Lei ne ha?


Sì. Io ne ho molti. Ho conosciuto tantissime brave persone, il popolo afghano è fantastico,
affascinante, ha sempre sofferto il transito di eserciti e devastazioni, fin dai tempi dell’invasione di Alessandro Magno.
Sono miei amici, sono miei fratelli e temo di vedere ora quello che succedeva quando qualche filmato trapelava nei periodi del regime talebano.


Il nostro Stato Maggiore della Difesa secondo lei aveva elementi sufficienti da parte americana per valutare questo scenario disastroso?

Non voglio fare la difesa di parte, ma ritengo che il nostro Stato Maggiore abbia operato bene,
d’intesa con tutti gli altri partner della coalizione presenti.
Ci siamo ritirati con tutti gli altri, senza andarcene via prima.
Non si poteva fare diversamente, perché comunque bisogna ricordare che il “grande fratello” statunitense
è quello che fornisce l’intelligence, il supporto aereo di fuoco, il trasporto strategico, è quello che delinea gli indirizzi da seguire.


Guardiamo la mappa militare aggiornata. Con la caduta di Herat i Talebani controllano tutto l’Afghanistan occidentale.
Mi pare ci sia una strategia per circondare Kabul. È così?


Ritengo di sì, prima hanno cercato di isolare il Paese occupando tutti i valichi di frontiera, sia al Nord, verso il Pakistan e verso l’Iran.


Così bloccano i rifornimenti.

Esatto. Hanno interrotto tutte le rotabili, tutti i collegamenti stradali.
Poi hanno iniziato anche a bombardare gli aeroporti, un po’ alla volta stanno strozzando tutta l’organizzazione difensiva del governo.


Una sorta di guerra d’attrito. Stanno cingendo d’assedio Kabul fino a farla implodere.

C’è questo rischio. Penso che sia difficile occupare Kabul combattendo casa per casa, quartiere per quartiere.
Kabul è difesa da decine di migliaia di uomini, è una città molto grande.
È più facile, come è accaduto a Ghazni, a Herat, in altre città, che ci sia l’implosione del governo centrale
e i militari poi cedono perché non hanno direttive e supporto morale.


I Talebani sanno combattere. Hanno una strategia.

Hanno un’esperienza di vent’anni di combattimento, sicuramente sono supportati da professionisti stranieri,
leggevo che tra loro ci sono militari pakistani, hanno potuto vedere come ha combattuto l’Isis in Siria,
hanno preso un po’ da loro, ammesso che non ci siano combattenti dell’Isis nelle loro fila.
E in più questi vent’anni hanno copiato il modo di combattere degli occidentali.

I Talebani hanno delle forze speciali, che si chiamano “Red Team”, che sono equipaggiate e hanno le stesse tecniche delle forze speciali occidentali.


E in più, ogni volta che conquistano una città, si impossessano dell’arsenale e dei materiali dell’esercito.

Come è successo in Iraq a Mosul nel 2014.

Una grandissima quantità di materiale altamente tecnologico e efficiente che è caduto nelle mani dei Talebani.

Si vedono gli equipaggiamenti che hanno, sembrano quelli di un esercito occidentale.


Qual è la lezione ?


La lezione è che bisogna impegnarsi fino in fondo, senza indicazioni di carattere politico,
nell’utilizzo delle forze armate, nel rispetto dei nostri principi comportamentali dettati dalla democrazia,
nel rispetto delle regole di ingaggio.

Impegnarci quando siamo sicuri che possiamo ottenere qualcosa.

Chiaro, dirlo adesso è molto facile.

Vent’anni fa, quando siamo arrivati a Kabul, sembrava di poter aprire una nuova finestra, una nuova pagina di vita per questo paese.

Non è facile fare questi apprezzamenti adesso, ma dobbiamo tenerne conto per il nostro impegno, sempre più serio, nel Sahel.
 
BUFFONI.

Gli Stati Uniti hanno “perso un certo quantitativo di materiale” nel corso della precipitosa evacuazione da Kabul.

Lo ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan.

“materiale sofisticato” abbandonato e finito in mano ai Talebani.
 
BUFFONI DUE


L’amministrazione Biden si è affrettata a privare i talebani di finanziamenti stanziati per il governo afgano,
congelando le riserve del governo detenute nei conti bancari statunitensi e impedendo ai talebani
di accedere a miliardi di dollari detenuti nelle istituzioni finanziarie, secondo il Washington Post,
citando due persone che hanno familiarità con la questione.

Il tutto una settimana dopo che il Congresso aveva confermato gli aiuti al governo Ghani.


La decisione è stata presa dal segretario al Tesoro Janet Yellen e dai funzionari dell’Ufficio per il controllo dei beni esteri del Tesoro.

Anche il Dipartimento di Stato è stato coinvolto nelle discussioni questo fine settimana,
con funzionari della Casa Bianca che hanno monitorato gli sviluppi.

Un funzionario dell’amministrazione ha dichiarato:
“Qualsiasi attività della banca centrale che il governo afghano ha negli Stati Uniti non sarà messa a disposizione dei talebani”.


Ad aprile, secondo il Fondo monetario internazionale, la banca centrale afghana deteneva attività di riserva per $ 9,4 miliardi, circa un terzo del PIL del paese.


Secondo il rapporto, il congelamento è entrato in vigore domenica.

Mentre la situazione si stava rapidamente deteriorando durante il fine settimana,
il governatore della Banca centrale afgana Ajmal Ahmady ha twittato
che gli era stato detto che non avrebbero ricevuto più spedizioni di dollari.



Nel frattempo, gli Stati Uniti inviano circa 3 miliardi di dollari all’anno a sostegno dell’esercito afghano,
che possono essere inviati solo se il Segretario alla Difesa “certifica al Congresso
che le forze afgane sono controllate da un governo civile e rappresentativo impegnato nella protezione dei diritti umani”.

Ovviamente, in questo momento, questa possibilità non esiste.


Circa l’80% delle risorse finanziare dell’Afghanistan provengono da donazioni internazionali,
prima di tutto dagli USA, ma anche dall’Unione Europea e da paesi islamici filo americani.

Secondo le agenzie ONU un afgano su due ha fatto ricorso all’aiuto internazionale per far fronte alle proprie necessità.


A questo punto si aprono una serie di scenari e di prospettive molto complesse.

Esaurito il poco a disposizione bisognerà vedere che cosa succederà a livello internazionale e come se la giocherà il nuovo governo:

  • la Cina difficilmente sostituirà a livello finanziario gli USA.
  • Anche Belt and Road ha mostrato più che una generosità di Pechino, l’uso spregiudicato dell’arma del debito;

  • la UE si piegherà a 90 gradi, come fa con praticamente tutti, ma finanziariamente non sarà la parte prevalente per gli impegni verso l’Africa;

  • Gli USA potrebbero ottenere concessioni con l’uso dell’arma finanziaria e di questi miliardi già in possesso della Banca centrale, ma ora bloccati.

  • I talebani, privati di risorse finanziarie, potrebbero dedicarsi su larga scale
  • ad attività criminali legate alla produzione degli stupefacenti, cosa che già facevano.

  • A questo punto la popolazione civile diventerà uno strumento di ricatto verso i paesi occidentali.
 
Sei in quarantena perché hai contratto l’infezione da Sars-CoV-2,

meglio nota al mondo come Coronavirus o Covid-19.

Cosa puoi fare e, soprattutto, cosa non puoi fare?

Corri dei particolari rischi?

Ormai da mesi combattiamo contro una pandemia che non dà tregua.

Sebbene le regole da rispettare vengano ripetute quotidianamente, è facile perdersi,
visti i tanti cambiamenti che hanno stravolto la nostra esistenza.

In questo approfondimento ci proponiamo di riepilogare tutto ciò che riguarda la violazione della quarantena,
in termini di obblighi da rispettare e sanzioni per chi sceglie di contravvenire alle regole.

Lo facciamo perché pensiamo che repetita iuvant.

E soprattutto riteniamo che sia utile tornare anche su argomenti apparentemente sviscerati fino alla nausea
per spiegarli con un linguaggio semplice e vicino al lettore.

Modalità che ha sempre fatto parte integrante della filosofia di questo portale.

Andiamo al sodo.


Che cos’è la quarantena?
È bene premettere che quando parliamo di quarantena, usiamo questo termine indiscriminatamente,
per riferirci ai giorni di convalescenza da trascorrere in casa.

Ma esistono due diversi tipi di quello che, in linguaggio più tecnico, è definito isolamento domiciliare:

l’isolamento domiciliare obbligatorio

e l’isolamento domiciliare fiduciario.

Vediamoli entrambi nel dettaglio.


Che cos’è l’isolamento domiciliare obbligatorio?
L’isolamento domiciliare obbligatorio è quella forma di quarantena cui è sottoposta la persona che scopre di essere positiva al Coronavirus.
Parliamo quindi di quel tipo di isolamento che riguarda qualcuno che, con certezza, ha contratto il Covid, quindi i soli casi confermati.

Dalla scomparsa dei sintomi devono passare 17 giorni, dopodiché si effettuano due tamponi a distanza di 24 o 48 ore l’uno dall’altro
e se sono entrambi negativi si può tornare a una vita normale.

In genere sono sufficienti 14 giorni, perché la stragrande maggioranza delle persone non ha sintomi.

Durante il periodo di isolamento – e queste sono regole valide per entrambi i tipi di isolamento –
la persona positiva al Covid non può uscire e deve restare in una stanza della propria casa, in cui l’aria dev’essere cambiata spesso.

Vanno limitati al massimo gli spostamenti in altre stanze dove sono presenti altre persone
– se non si può, va usata la mascherina – così come i contatti con i conviventi.

Laddove questo non sia possibile, chi deve accudire un positivo deve rispettare tutte le precauzioni anticontagio
(obbligo di mascherina se è impraticabile il distanziamento, igiene accurata delle mani, divieto di toccare bocca, naso e occhi).

Chi è in isolamento deve dormire in un’apposita camera e usare un bagno a parte.
Se in casa c’è un bagno solo, va pulito accuratamente con detergenti a base di alcol o cloro.

Per lavare gli asciugamani usati da una persona positiva in quarantena è sufficiente il normale sapone da bucato.


Che cos’è l’isolamento domiciliare fiduciario?
L’isolamento domiciliare fiduciario, invece, è quel tipo di isolamento cui si sottopongono casi ancora sospetti,
in genere parenti o contatti di persone che hanno contratto il Covid.

Quando viene rintracciato un positivo, le aziende sanitarie locali si occupano di ricostruire la mappa dei suoi contatti stretti
nelle quarantott’ore precedenti la comparsa dei sintomi o l’esecuzione del test.

Per «contatti stretti» si intende essere stati insieme a qualcuno a distanza ravvicinata per almeno un quarto d’ora.

L’isolamento fiduciario ha una durata di 14 giorni dalla scomparsa dei sintomi o 14 giorni in totale se non si hanno sintomi.
Alla fine si effettua un tampone e, se è negativo, il periodo di isolamento è da intendersi concluso.

Anche in tal caso, chi è sottoposto a isolamento fiduciario non potrà uscire di casa
finché non avrà la prova, attraverso il tampone, di essere negativo al Covid.


Cosa rischia chi vìola le regole?
Intanto, va detto che c’è regola e regola.

Le fonti normative che ci fanno da guida, nel capire quali sono le sanzioni per chi non rispetta le misure di contenimento del virus, sono due:

il decreto 19 e il decreto 33 del 2020, entrambi convertiti in legge.

Il primo è di marzo e stava a regolamentare la cosiddetta Fase 1,
quando in pieno lockdown si poteva essere sanzionati anche per uscite di casa non necessarie.

Tant’è che si poteva essere denunciati per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità [1].


L’altro, invece, è di maggio ed è servito a disciplinare la Fase 2.

Entrambi i provvedimenti sono richiamati dall’ultimo decreto del presidente del Consiglio (dpcm).


Diciamo che c’è regola e regola perché chi non rispetta l’obbligo di quarantena
si macchia di una violazione più grave rispetto a chi commette altri tipi di illeciti.

In poche parole: chi è positivo ed esce di casa quando sa che non dovrebbe, perché si trova in isolamento,
commette un reato, quindi un illecito di natura penale.



Diverso, invece, il caso dell’esercente che viene multato, insieme al cliente o al gruppo di clienti,
perché non fa rispettare la precauzione del distanziamento sociale.

Qui siamo in presenza di un illecito amministrativo che consiste in una sanzione da 400 a 3.000 euro [2]
o nella chiusura del locale per cinque giorni, che possono eventualmente diventare trenta su disposizione del Prefetto [3].


Per quanto riguarda, in particolare, l’argomento di nostro interesse, cioè la violazione della quarantena, è stato previsto una specie di doppio binario.

Vediamo meglio in che senso.

I casi più gravi
La legge prevede la possibilità di contestare reati come epidemia colposa, dolosa, omicidio o lesioni personali.

Accuse pesantissime in alcuni casi, basti pensare che l’epidemia dolosa,
cioè l’atteggiamento di chi volontariamente diffonde germi patogeni provocando un’epidemia,
è punita con l’ergastolo [4] (ne abbiamo parlato in questo articolo: Coronavirus: ergastolo per chi diffonde l’epidemia).

Si tratta di un’ipotesi che è una rarità nell’ambito di questa emergenza, essendo anche difficile da dimostrare.

Al contrario, sono spesso scattate denunce per epidemia colposa, con pene che vanno da uno a cinque anni [5].

Che l’intenzione non sia propriamente quella di mettere le manette ai polsi della gente lo si capisce da come è concepita la norma.
Basta leggerne l’inizio: «Salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del Codice penale (cioè epidemia colposa)
o comunque più grave reato (gli altri che abbiamo elencato prima) la violazione della misura di cui all’articolo 1, comma 6,
è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 [6]».

Cioè nel modo in cui vedremo nel prossimo paragrafo.

Questo per dire che le contestazioni più gravi rappresentano una specie di eccezione alla regola.

Vista l’entità delle pene, però, sono anche abbastanza allarmanti.

L’omicidio, ad esempio, con non meno di 21 anni di reclusione,
può essere contestato se si infettano in modo letale persone fragili come anziani o malati cronici,
a causa del proprio rifiuto di sottoporsi a quarantena nel caso in cui si abbiano sintomi evidenti di Covid-19, come tosse o febbre.

Allo stesso modo, in caso di contagio, si può rispondere di lesioni o tentate lesioni.

In diritto è il cosiddetto dolo eventuale: si accetta il rischio di conseguenze negative a partire da un proprio comportamento imprudente.


I casi meno gravi
Nell’ipotesi base di mancato rispetto dell’obbligo di restare a casa, in isolamento, per chi è positivo,
senza arrecare danni ad altre persone, si vìola il regio decreto che citavamo poco fa: il Testo Unico delle leggi sanitarie.

In tal caso è previsto l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5.000 euro.

Arresto e ammenda, così come reclusione e multa, fanno sempre riferimento alla sfera del penale.

L’unica differenza è che, dividendosi i reati in delitti (illeciti più pesanti) e contravvenzioni (più lievi),
arresto e ammenda servono a punire queste ultime in modo meno severo.


Problematiche interpretative diverse
Sappiamo come non siano mancati dubbi e anche forti contestazioni sulla gestione della diffusione del virus nel nostro Paese.
Il punto nodale delle proteste, fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, è stata la questione delle libertà compresse,
con fior di costituzionalisti schierati dall’una o dall’altra parte della barricata,
insieme alla scelta della modalità veloce del dpcm che ha fatto parlare di Parlamento scavalcato.

È un tipico caso di bilanciamento tra due diritti che vanno entrambi garantiti, la libertà di movimento da un lato e la salute pubblica dall’altro.

In tal caso il secondo è stato ritenuto preponderante sul primo, in virtù dell’eccezionalità della situazione.

Ma di sanzioni incostituzionali si è parlato fin dalla prima ora
(ne abbiamo scritto qui: Coronavirus: perché le sanzioni penali sono incostituzionali),
anche semplicemente per un motivo lampante.


È vero che il dpcm non introduce direttamente nuove sanzioni, rimandando alla legge ordinaria
(il nostro ordinamento prevede che la materia penale possa essere regolata soltanto dalla legge e non da atti di rango inferiore),
ma è anche vero che questo viene fatto con un atto amministrativo e non legislativo.

C’è stata anche qualche pronuncia favorevole ai trasgressori,
come il caso di una persona uscita di casa senza giustificato motivo in pieno lockdown e per questo multata, a Frosinone.

Il giudice di pace ha dato ragione al multato, annullando la sanzione a seguito di ricorso,
sul presupposto dell’illegittimità dello stato di emergenza, quindi anche dei dpcm collegati
(se sei interessato ad approfondire, spieghiamo meglio la questione qui: Dpcm incostituzionali secondo il giudice).


Certo: si tratta di un solo caso e di una sentenza non passata per il vaglio della Cassazione.

Ma problematiche interpretative sui reati da Coronavirus si pongono senz’altro,
anche in senso opposto a quello indicato da questa sentenza.

Accanto a chi demolisce le sanzioni, ritenendole illegittime al pari dei dpcm e della stessa emergenza sanitaria,
c’è chi avanza dubbi sulla loro efficacia deterrente.


Lo ha fatto, a esempio, Repubblica con un articolo risalente ad aprile, pochi giorni dopo il varo del decreto 19/2020.

In sostanza chi scriveva criticava proprio la punizione per chi non rispetta la quarantena ritenendola troppo blanda.

Questo proprio in forza del fatto che, in generale, si applica la violazione del Testo Unico delle leggi sanitarie,
quindi si rischia al massimo un anno e mezzo di carcere, molto facilmente evitabile, o una contravvenzione salata.
 
Ahahahahahah 5 giorni che fanno festa ahahahahahah chissà quanti positivi ahahahahah

Lamorgese dove sei?


Continuano le proteste contro il rave party in corso a Valentano,
il comune del Viterbese nei pressi del lago di Mezzano, dove è pure annegato un ragazzo.

Preoccupa la situazione sanitaria e dai partiti politici piovono critiche sulla gestione dell’ordine pubblico.

Il ministro dell'Interno è bersaglio delle critiche anche dal Partito democratico.


«Nonostante un morto, l’appello di sindaco e cittadini e i rischi enormi per la sicurezza e la salute,

da giorni migliaia di persone restano assembrate senza autorizzazione:

è uno schiaffo al buonsenso e agli italiani che rispettano le regole»


«Lamorgese cosa dirà questa volta? Che il dossier è sul tavolo di Draghi o che si aspetta un aiuto dall’Europa?»


Il rave prosegue da 5 giorni
«tra droga, alcol e illegalità. Nonostante sia anche morto un ventiquattrenne nessuno è ancora intervenuto a sgomberare il campo»


«Ma dove sei?».


E poi vengono a rompere i coglioni a me ed a chiedermi il passaporto verde per sedermi a mangiare ?
 

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