Obbligazioni MPS (2 lettori)

Jackrussel

Forumer storico
Onestamente se prendiamo per vero ciò che dice la reuters e non inventiamo nulla, questo c'è scritto.

Sicuro non avrò capito nulla e domani le sub apriranno a 50.

Vero.
Come farà , ammesso che sia veramente così, a non essere considerato aiuto di stato sarà molto interessante.
A me sembra un tentativo palese, anche maldestro, di aggiramento delle norme...nulla di più.

Oppure pensano veramente di agire senza tenere volutamente conto delle regole, nazionalizzare in qualche forma più o meno mascherata, andare in procedura d' infrazione e infischiarsene. Tanto la cosa verrà discussa tra due anni...

NB : questa roba non la dico io: l'ha sostenuta e perorata il solone Giavazzi in persona al Tg di stasera. E non solo per mps: mettere in sicurezza tutto il sistema bancario intervenendo con 50 miliardi. Questo ha detto.

Beh , è una possibilità anche questa...senza governo...vale tutto :cool:
Voglio proprio vedere...
 

MATHEUS

Nuovo forumer
Il piano A non è tramontato,
se domani Senato approva legge stabilità, Renzi si dimette e Mattarella dà incarico velocemente a personalità che garantisca continuità, possibilmente entro fine settimana, es. Padoan, la Qia potrebbe rientrare. Gli stessi partiti sembrano orientati a ritardare elezioni. Anche la reazione oggi della borsa su tutti i bancari europei, con gli italiani in particolare evidenza testimoniano un rerating. Un rinnovato interesse per il settore potrebbe invogliare potenziali investitori.
Di contro sembra che la BCE non voglia concedere proroghe oltre 31/12.
 

darkog

In Hoc Signo Vince..
Paradossalmente se comprassero tutte le UT2 a 50 (anche meno ) risparmierebbero un bel miliardo (cioè 2,1 miliardi al 50 %); non male come strategia (se avessero i soldi per farlo ).
Vero?
Falsissimo.
A loro non interessa "guadagnare soldi", ma interessa fare capitale, dato che hanno mancanza.
Se loro convertono 2,1 mld di bond in capitale si trovano 2,1 mld di capitale.
 

Fabrib

Forumer storico
Il Montepaschi si salva solo con l'intervento dello Stato

Lo Stato pronto a entrare in Mps, Renzi costretto a metterci la faccia
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TIZIANA FABI/AFP/Getty Images
A luglio scorso Matteo Renzi non aveva voluto intervenire per risolvere la crisi del Monte dei Paschi di Siena pensando alle ricadute politiche negative in vista del referendum costituzionale. Ma le sue previsioni si sono rivelate errate visto che la crisi del sistema bancario si è accentuata a causa di quel mancato intervento, intaccando anche la sua immagine, e tutto ciò ha influenzato anche l’esito del referendum. Ora è in qualche modo “costretto” a intervenire, probabilmente spinto anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che l’ha invitato ad approvare la Legge di Bilancio prima di dimettersi e a disinnescare la mina Mps. Non è chiaro a questo punto se lo farà con il suo governo in ordinaria amministrazione o se lo farà un nuovo governo che cercherà la fiducia in parlamento dopo le necessarie consultazioni.


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GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images

La soluzione tutta “privata”, infatti, non riesce a procedere visto che il Qatar e altri grandi fondi non vogliono mettere altri soldi nella banca senese in mancanza di un governo stabile in Italia che assicuri sul proseguimento di un percorso di riforme. Il consorzio di garanzia guidato da JP Morgan e Mediobanca ha cercato di prendere un po’ di tempo in più, ma da Francoforte sembra siano stati inflessibili. Mps deve essere ricapitalizzato entro la fine dell’anno, hanno detto i funzionari Bce a Marco Morelli, ad del Monte, che martedì ha chiesto udienza. Quindi la convocazione del cda per mercoledì, per prendere le decisioni finali.

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Marco Morelli, ad di Monte dei Paschi di Siena
In pratica sta per scattare il Piano B, quello di cui il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha sempre negato l’esistenza. E invece ora si scopre che a Palazzo Chigi è già pronta la bozza di un decreto legge che permetterebbe allo Stato di intervenire nel salvataggio della più antica banca italiana. La conferma è arrivata a metà di martedì pomeriggio e i titoli del Monte in Borsa hanno prontamente invertito la rotta andando in territorio positivo: “L’Italia ha già preso misure per fronteggiare il caso dei ‘non performing loans’, attualmente siamo in contatto con le autorità italiane che sono preparate a intervenire se e dove necessario”, ha detto il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis.

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Il Commissario Ue Valdis Dombrovskis parla con il ministro Pier Carlo Padoan. Thierry Monasse/AFP/Getty Images
Le manovre possibili sono diverse ma la strada da percorrere dovrebbe essere la seguente: la direttiva Brrd permette un percorso più soft rispetto al “bail in”, cioè nel caso di potenziale crisi sistemica una ricapitalizzazione con l’aiuto dello Stato ma anche con il “burden sharing”, cioè il coinvolgimento dei privati. E allora il Mef (Ministero dell’economia e delle finanze), d’intesa con la Banca d’Italia potrebbe proporre la conversione forzata dei bond subordinati e il successivo intervento diretto dello Stato nell’aumento di capitale. Il nodo da sciogliere, come a luglio scorso, è quello dei piccoli risparmiatori a cui nel 2008 sono state vendute 2,1 miliardi di obbligazioni subordinate per finanziare l’acquisto di Antonveneta. Bond in tagli da mille euro che sono finiti nelle loro tasche anche se il profilo di rischio non era quello corretto. Ora questi obbligazionisti non hanno convertito volontariamente i loro titoli in azioni e il governo potrebbe proporre di acquistarglieli direttamente evitando qualsiasi perdita. Poi sarà lo Stato a convertirle in azioni salendo così nel capitale del Monte dove oggi è già presente con il 4%.

Gli altri bond subordinati ancora nelle mani degli investitori istituzionali, invece, verranno forzosamente convertiti in modo da portare a 4,2 miliardi la copertura del buco da 5 miliardi che il cda del Monte ha dichiarato nel luglio scorso quando ha lanciato l’operazione di rafforzamento patrimoniale. Resterebbe meno di un miliardo da trovare e questo potrebbe arrivare o dai fondi sovrani rassicurati dalla importante presenza dello Stato nel capitale Mps, oppure dal mercato grazie all’attivazione del consorzio di garanzia. Oppure ancora dallo Stato attraverso un altro strumento di capitale, un subordinato o un convertendo.


La messa in sicurezza di Mps e il conseguente rialzo dei titoli bancari, che si è già visto in parte negli ultimi due giorni, spianerebbe poi la strada all’aumento di capitale di Unicredit tra 8 e 13 miliardi da realizzare tra febbraio e marzo. E per completare il quadro il fondo Atlante, finanziato da banche e assicurazioni, dovrebbe sobbarcarsi l’onere di ricapitalizzare definitivamente Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Le quattro banche andate in risoluzione nel novembre 2015, invece, dovrebbero essere acquisite da Ubi Banca attraverso un aumento di capitale da circa 500 milioni.

Se il governo Renzi avesse preso queste decisioni a luglio l’Italia e le banche avrebbero evitato di perdere miliardi di capitalizzazione a Piazza Affari dovuta alla pioggia di vendite arrivate dagli investitori esteri e che ha investito tutti i titoli bancari, anche quelli sani come Intesa Sanpaolo
 

no perpetual no party

Forumer storico
Padoan chiederà all’Ue un prestito per salvare Mps e gli altri istituti

alessandro barbera
roma
«Fino al referendum solo buone notizie...». La battuta raccolta quest’estate nei corridoi di via XX settembre spiegava bene perché il 4 dicembre sarebbe stato uno spartiacque. Il piano B del Tesoro per risolvere drasticamente il problema banche è sui tavoli della Commissione europea da mesi, ma finora era prevalsa la ragion politica. Il caso Etruria, le pesanti conseguenze sui soci della trasformazione delle due popolari venete in società per azioni, il timore di dover rispondere all’opinione pubblica del salvataggio di una banca toscana.

Finché ha potuto, Matteo Renzi ha rinviato il redde rationem sapendo che il costo della decisione sarebbe stato troppo alto, a partire dal taglio delle obbligazioni subordinate come previsto dalle nuove regole Ue. La vittoria del no e le dimissioni hanno fatto piazza pulita delle incertezze. Non c’è solo Mps, distrutta da anni di malgoverno e con il più alto tasso di crediti deteriorati d’Europa. Il tentativo di Jp Morgan di trovare una soluzione di mercato sta naufragando sotto i colpi dell’incertezza politica e la richiesta del numero uno Marco Morelli di avere dalla Banca centrale europea il sì ad una ulteriore dilazione del piano non andrà in porto. Del resto la lista degli istituti in difficoltà è lungo: le già citate Popolare di Vicenza e Veneto Banca, finora tenute in vita dal Fondo Atlante.
E poi Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, di fatto fallite un anno fa e rimaste invendute. E ancora Ubi, con troppi crediti deteriorati per potersi fare carico dell’acquisto delle suddette banche, o il caso Carige. Insomma, un intervento dello Stato per mettere in sicurezza l’intero sistema è inevitabile. Il mercato ci crede, e non a caso ieri la Borsa di Milano e i titoli bancari sono volati.

Ma il solo salvataggio di Siena sarebbe come chiudere una falla in una vasca piena di buchi. Il decreto a cui lavora il Tesoro vale ben di più dei tre-cinque miliardi invocati al mercato per Siena, e al momento non prevede l’intervento diretto dello Stato, bensì quello dell’Europa attraverso il fondo Salva-Stati Esm. La cifra in ballo indicata da due fonti concordanti del Tesoro è di 15 miliardi di euro.

Lo schema è quello applicato dalla Spagna nel 2012 per evitare il crac degli istituti iberici e che il governo Monti rifiutò, preoccupato di non dare fiato alle trombe del grillismo. Allora l’Europa sborsò quaranta miliardi che furono trasferiti a un Fondo nazionale. La richiesta italiana vale meno della metà di quello spagnolo, e di per sé conferma la delicatezza della scelta. I fondi dell’Esm sono formalmente un prestito e per questo comportano la firma di un accordo con l’Europa che impone quelle che nel gergo tecnico si chiamano «condizionalità».

Nel caso della Spagna riguardarono il risanamento e la governance delle banche oltre alle scelte di politica economica: al governo Rajoy fu chiesto di rispettare un obiettivo di deficit per il 2014 del 2,8 per cento. All’Italia, già sotto osservazione per la manovra 2017, potrebbe costare la richiesta di una correzione o quantomeno di una legge di bilancio nel 2018 ben più severa di quella approvata quest’anno. Ecco perché - così si racconta nei palazzi - per dare il senso dell’impegno il decreto dovrebbe essere varato dal nuovo premier e solo dopo il sì al bilancio. O entro il 18 dicembre, data entro cui la Popolare di Bari deve trasformarsi in spa e contro la quale c’è una potente lobby guidata dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia; in ogni caso entro la fine dell’anno, perché dopo di allora la Bce non concederà più dilazioni per Etruria.

Come allora, nel decreto ci dovrebbero essere garanzie per gli obbligazionisti subordinati, che verrebbero almeno in parte rimborsati. Chiudere l’accordo con Bruxelles non sarà facile, anche se la storia spagnola ci racconta una verità meno amara: Rajoy se ne guardò bene dal rispettare le richieste europee e il deficit risultò il doppio di quello promesso.

Twitter@alexbarbera
 

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