OGNI VOLTA CHE SCEGLI, CAMBI IL FUTURO

Ogni giorno ne inventano una più grossa dell'altra.....per chi ?

Per i terremotati ? ............ops

Casette Ikea e campeggi green: l'ultima frontiera dell'accoglienza.
L'idea è venuta alla Croce rossa per ospitare il numero crescente di migranti che stazionano negli hub della penisola,
ossia nei centri di accoglienza temporanei, e ovviare alla penuria di spazi idonei.

Qualche mese fa infatti a Lavagna, in provincia di Genova, l'amministrazione non aveva escluso l'impiego di moduli abitativi per garantire agli immigrati un soggiorno dignitoso.
Così a Pontedera dove la prefettura cercava terreni adatti a sistemare casette prefabbricate per l'accoglienza.
Così a Pisa e a Novara.

La soluzione ora è alla portata di tutti e la Croce Rossa l'ha già testata.
«Per due mesi in primavera nel centro di accoglienza di Settimo Torinese, a Lecce, a Bresso, a Roma e a Lampedusa
abbiamo verificato l'unicità di questo progetto della Better Shelter di Stoccolma che è stato possibile grazie a un finanziamento
della Fondazione Ikea ha spiegato Ignazio Schintu, responsabile nazionale della logistica di Cri - Vengono già usati dall'Unhcr con successo.
Anche noi riteniamo che l'accoglienza non si debba fare nelle tende».

BUFFONI
 
Peccato che per dare una risposta pronta e dignitosa alle migliaia di terremotati del centro Italia che hanno passato l'inverno nei container,
accampati nelle tendopoli e sradicati negli hotel della costa adriatica questa stessa sensibilità e quest'attenzione,
da parte dei diretti responsabili non ci sia stata e continui a non esserci.

Non ci ha pensato il commissario alla ricostruzione Vasco Errani
e non ci ha pensato il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio.

Per Schintu «è la burocrazia molto spesso a frenare gli interventi.
Burocrazia che deve essere ridotta. Invece in Italia si lavora in emergenza e sempre facendo norme post evento».

Altra è la posizione di Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, uno dei comuni del Lazio più colpiti dal sisma di un anno fa, che taglia corto sulle modalità di aiuto:

«Chi ha deciso come affrontare l'emergenza abitativa del terremoto è gente che non ha vissuto nel dolore.
I cittadini che hanno vissuto un anno in hotel senza intimità, parlando sempre delle stesse cose e, parecchi,
senza avere avuto ancora una nuova possibilità lavorativa e quindi la possibilità di reintegrarsi socialmente, rimarranno terremotati a vita.
Il rischio nel prossimo futuro sarà l'assistenza sanitaria di cui necessiteranno anche per via di stati di profonda depressione.

Invece di spendere 3mila euro al mese per pagare l'hotel il governo avrebbe dovuto dare un bonus di 1.500 euro a ciascuna famiglia, risparmiando peraltro,
con la possibilità di affittare una casetta per il tempo necessario alla ricostruzione».

E pensando all'oggi Pirozzi chiude dicendo:
«Piuttosto qualcosa ancora si potrebbe fare. Un provvedimento di sgravio fiscale pluriennale alle aziende che assumeranno i terremotati del nostro centro Italia».

A oggi tuttavia già si è certi che tra il 20 e il 30 per cento degli amatriciani a un anno dal terremoto ancora non avrà la propria casetta provvisoria.

Né di Ikea, né di cartone.
 
Fascismo, antifascismo - e giornalismo - sempre più spesso sono sinonimi di cretinismo.

La grottesca vicenda del bagnino di Chioggia, diventato il protagonista di una bufera mediatica a causa dei cartelli inneggianti al regime disseminati nel lido di Punta Canna,
la dice lunga sul livello del nostro dibattito culturale.
Fuori c’è un mondo in fiamme, il mondo reale, quella cosa sconosciuta a noi del mestiere, e qui ci si accapiglia su una polemica di sorprendente freschezza:

«Giù le mani dall’eroica pagina della resistenza!», «guai a chi abbassa la guardia!», «il popolo in armi contro i rigurgiti autoritari!»,
«si stava meglio quando si stava peggio!», «quando c’era lui caro lei!», «Mussolini ha due coglioni così!» (citazione di “Amarcord”, ndr), per concludere con l’inarrivabile “aridatece er puzzone!».

Siamo ancora al dopoguerra.
E non può che essere così, visto che il nanismo delle nostre classi dirigenti e l’ideologismo di chi dovrebbe fare informazione
impediscono di uscire dagli schemi consolidati da settant’anni di retorica resistenziale che hanno creato danni culturali che pagheranno i nostri pronipoti.

Ora, l’onorevole Emanuele Fiano è davvero giustificato nella sua indignazione, considerata la tragica storia di una famiglia quasi interamente sterminata nelle camere a gas,
ma la sua proposta di un nuovo articolo del codice penale che prevede fino a due anni di condanna a chiunque propagandi immagini o contenuti del partito fascista o del partito nazista è una mostruosità.
È autoritaria. È illiberale. È liberticida. Processa le idee.
 
Qui invece di dire che il bagnino di Chioggia è un pirla, punto e basta, qui la faccenda diventa una questione di Stato.
Uno scandalo. Un attentato alle istituzioni.

E tutti giù a sbraitare, a sermoneggiare, a catoneggiare, a trombonare sulla democrazia in pericolo e giù fiamme, lava e lapilli di indignazione antifascista.

E intanto, nel disinteresse cosmico di noi intelligentoni dei media - con le eccezioni di Mattia Feltri e Pierluigi Battista -
l’Unesco si è permessa di dichiarare Hebron patrimonio dell’umanità palestinese e soltanto palestinese
benché in quel luogo ci siano le tombe di Abramo, Isacco e Giacobbe, risoluzione che ne segue un’altra, sempre dell’Unesco,
secondo la quale il Muro del Pianto sorge in un’area estranea alla cultura ebraica.

E su questa cosa inaudita - questo sì un vero scandalo, una pulizia etnica degna dell’Isis, dei talebani -
su questa vergogna a cielo aperto firmata dai cialtroni dell’Unesco non sono state dedicate manco dieci righe.

No, tutti troppo impegnati a sdottoreggiare sul duce della spiaggia o a chiedere l’abbattimento dei monumenti costruiti durante il ventennio.

Perché anche questa si è dovuta sentire.

Ma non è un caso. La demonizzazione a tavolino del neofascismo è sempre servita per qualificare il partito comunista con la sinistra in genere come l’unico depositario della democrazia.

Se il fascismo è sempre vivo, ci sarà sempre bisogno di antifascismo e quindi ci sarà sempre bisogno della sinistra,
l’unica antropologicamente superiore al resto del paese e l’unica degna della sua guida.

E quindi tutto il mondo progressista ha occultato per fini politici la verità che il grande storico (liberale) Renzo De Felice aveva già scritto negli anni Sessanta.
Il fascismo è morto nel 1945. Morto e sepolto.
E non può tornare perché non esistono più le condizioni storiche, politiche, sociali ed economiche che hanno prodotto i totalitarismi a cavallo delle due guerre. Punto. Fine.

Il resto è seria ricerca storiografica oppure pelosa demagogia stracciona che continua a far dondolare quello là
appeso su per i piedi a piazzale Loreto un milione di anni fa solo per confermare il feroce aforisma di Flaiano:

«Il fascismo si divide in due parti: il fascismo propriamente detto e l’antifascismo».
 
Ps: Nell’ufficio del direttore, c’è una bottiglia di Sangiovese di Predappio donato da un anziano signore con un Mussolini a cavallo sull’etichetta.

Ogni tanto la guarda e sorride con amarezza riflettendo su che fine ridicola abbiano fatto gli ideali per i quali il suo nonno fascistissimo ha dato la vita
e su che fine ridicola abbiano fatti gli ideali per i quali il suo papà comunistissimo ha contestato suo padre.

Nel caso qualche pm volesse inquisirlo o qualche Ordine dei giornalisti volesse espellerlo per apologia, sappia che la considererà una medaglia al merito.
 
Altro ottimo articolo di Minonzio

Sono passati pochi giorni, ma il concerto di Vasco Rossi viaggia già su questi binari. Ed è così e non c’è verso che non possa che essere così.
Ogni lettura, ogni commento, ogni analisi, ogni retroscena, ogni testimonianza di vita, aneddoto, cameo, pagina di diario vola coesa,
adesa e protesa verso questa lettura, unica interpretazione del pensiero unico dell’unico artista che sappia leggere la realtà fragile e malinconica di questi anni privi di bussola.

Lo sfoglio dei giornali è impressionante. Assoluto. Aprioristico. Totalitario. E Vasco di qua e Vasco di là e mai un happening di queste dimensioni
e mai un’esplosione di colori così condivisa contro la paura e la voglia di stare insieme e guarda queste tre belle generazioni legate a filo doppio dal vero poeta della modernità,
altro che Dylan, e l’onda montante dei ricordi e la nostalgia canaglia e la vita spericolata e le cinque del mattino e l’Albachiara e fai girare la canna e che rock e che accordi e che testi e bla bla bla.
Ogni riga una sbrodolata, ogni frase una colata di retorica, ogni superlativo un giovanilismo.

Ma è così? Ma è davvero è così? Ma dove starebbe tutta questa qualità musicale, tutte queste sferzate urticanti e antisistema del Grande Vate?
E, soprattutto, dove starebbe tutto questo anticonformismo?

Non sono quelli tutti temi già usurati da mezzo secolo e che avevano un senso negli anni Sessanta,
quando la società uscita dalla seconda guerra mondiale e irreggimentata dentro strutture sociali rigidissime e ideologiche
è stata frantumata dalla nuova generazione sull’onda della protesta studentesca e della liberazione sessuale?

Non c’è già tutto nella beat generation? Ma “On the road” non è del 1957, un miliardo di anni fa? Che c’è di nuovo?

E qui scatta la prima obiezione: sai, mi ricorda i miei sedici anni.
D’accordo, le memorie sono sacre, ma non c’è nulla di più risibile che affibbiare un valore musicale altissimo a un soggetto che non ne ha,
solo perché è legato ai propri ricordi adolescenziali. Che ragionamento.

Anche chi scrive questo pezzo, che è stato ragazzo negli anni Ottanta, se sente “Into the groove” gli si attorciglia lo stomaco
perché dai meandri affiorano la Costa Brava, le prime vacanze senza i genitori, gli amici, le biondine tedesche, i riti di passaggio,
timori, tremori, umori, odori, lacrime e fanfaluche, ma di certo non pensa che solo per questo Madonna valga Ella Fitzgerald
e comunque anche a quei tempi ascoltava i Cure, gli Smiths e i Talking Heads. Mica Baglioni.

Eppure, la cosa più grave non è neppure questa. Quanto invece la sparizione del dissenso. Non esiste dissenso su Vasco.
Lui è. Lui incombe. Lui veleggia nell’aere sempiterno, uno e trino, purissimo e immacolato.

De Andrè - che ne vale cento - aveva i suoi detrattori (troppo colto, troppo elitario, troppo intellettuale).
Battisti - che ne vale duecento - aveva i suoi (troppo disimpegnato, troppo pop, troppo di destra).
Anche Springsteen (ed evitiamo paragoni, per cortesia) ha quelli a cui non piace.
Anche quei geni dei Radiohead.
Così come tutti, Beatles e Mozart compresi.

Vasco no. Non c’è uno spiffero, non si ode un suono, non si sente un refolo.
Una sola soffocante gorgiera di assenso. Odi. Rime. Sonetti. Madrigali. Messe cantate.
E fa impressione vedere queste orde di medici, commercialisti, dirigenti, quadri aziendali trasfigurarsi in un’ordalia maledettista
mentre tutto il loro (e il nostro, ovviamente) percorso esistenziale è segnato dalla sudditanza nei confronti di ferree leggi sociali. Invece no.
Tutti bohémien, tutti ubriaconi, tutti spinellari, tutti tiratardi. Tutti anticonformisti.
Tutti e quanti i duecentoventimila di Modena e tutti gli altri milioni di ultras sparsi per il globo terracqueo. Tutti anticonformisti.

Tutti anticonformisti, quindi tutti conformisti. L’anticonformismo è la nuova frontiera del conformismo,
la trappola con la quale il regime ingloba, rumina, sminuzza, tritura il dissenso e lo vomita bello e pronto per farne il pupazzo frondista della dittatura del politicamente corretto.
Vedi come sono democratico? Permetto anche a te di dire che tu sei diverso, che voi siete diversi, che tutti sono diversi. Tutti diversi, quindi tutti uguali.

Ma poi ribellione di che, anticonformismo di che? Che regole vuoi infrangere se nulla è vietato, se tutto è già permesso?
Questi anni di vaselina hanno sancito la sconfitta della profezia di “1984” e il trionfo di quella del “Il mondo nuovo”.

Il vero regime non è quello che vieta tutto, come nel romanzo di Orwell, perché se tu vieti, la natura umana tende a infrangere il divieto, ma quello che dà tutto, come in quello di Huxley.
Ti sommergo di cose. E tutto è libero. E tutto è gratis. Telefonare, comunicare, condividere, postare, filmare, insultare,
sgorgare qualsiasi pulsione nella cloaca del web, politici maiali, sesso estremo, vacanze intelligenti, gattini&bambini,
macachi sul triciclo, stalker, lancio del nano, eutanasia, premi Nobel in mutande, calciomercato, scambisti, fisica nucleare,
reality, droghe sintetiche, prepensionati dell’Isis, drag queen, torte in faccia.

Ogni cosa è libera, tutto è disponibile, tutto è permesso nel nuovo ordine mondiale.

E allora, se non c’è più niente da infrangere, il vero anticonformismo andrà cercato altrove.
Magari ricordandosi che il più grande anticonformista italiano degli ultimi due secoli andava a dormire con le galline
e non è quasi mai uscito da Recanati. Altro che il Roxy Bar di noi borghesi piccoli piccoli.
 
Vi assicuro che non sarebbe così idilliaco come si potrebbe pensare........ma firmerei una cambiale in bianco.

18 luglio 2017 - Se n’era già parlato tempo addietro, ora un lungo articolo sul futuro della Confederazione
pubblicato dalla testata zurighese Neue Zuercher Zeitung ha riaperto la discussione.

La Svizzera punta ad annettersi la Lombardia?


Non in senso militare, ovviamente, data la storica neutralità degli elvetici. Bensì come approdo finale di una naturale ‘espansione’ politico-economica della Confederazione.

Ricordando come dal Congresso di Vienna del 1815 la nazione di Guglielmo Tell non subisca sostanziali cambi di confine
e tenendo conto dell’equilibrio linguistico, si potrebbe pensare, nei prossimi trent’anni, a un ingrandimento
inglobando regioni tedesche (Baden-Wuerttemberg), francesi (Savoia) e italiane anche in virtù dello sviluppo economico
di tutta l’area che va appunto dalla Lombardia fino alla Germania. Un progetto geopolitico a lungo termine che fissa il 2050 come termine.

Cinque anni fa Ueli Maurer, ministro della Difesa della Confederazione, aveva affermato:

“Annettere la Lombardia non sarebbe un problema: rappresenta circa il 90% del totale di tutti gli scambi commerciali con il nostro Paese”.

Fu un terremoto con tanto di marcia indietro, precisazioni e scuse finali. Ma a favore della proposta avevano comunque firmato 200mila persone.
 
Buongiorno....

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