PREFERIREI MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA.

Notare bene il dato.

Su quelli che loro continuano a chiamare "nuovi contagi" ( ma non è vero) 1585, perchè la maggior parte sono asintomatici

i ricoveri sono aumentati di 5 CINQUE Unità.
 
Hanno preso un binario e continuano imperterriti su quella strada........morta.
Queste sono le modalità attuate dal governo per la "ripresa" .......del put.


Con i treni ad Alta velocità sottoposti ad un riempimento fino al 50 per cento, Italo rischia in due mesi di chiudere.

La società privata, che dal 2012 fa concorrenza a Trenitalia, lancia l’allarme sulla propria sopravvivenza,
ma anche sulle ripercussioni per l’occupazione (in ballo ci sono 1.500 famiglie, 5mila contando l’indotto),
oltre all’impatto sul libero mercato, tornando in pressing perché si modifichino le attuali misure anti-Covid,
che per l’Av sono più restrittive rispetto a tutti gli altri mezzi di trasporto.


Il Comitato tecnico-scientifico ha infatti deciso, nella riunione di martedì, di non cambiare le regole per l’occupazione dei posti sui treni ad alta velocità.

Con il risultato che ora abbiamo

“una norma Arlecchino. Gli aerei sono al 100 per cento da settimane,

il trasporto pubblico locale e i treni regionali vanno all’80 per cento.

Mentre per l’alta velocità resta il tetto del 50 per cento”



evidenzia l’a.d. Gianbattista La Rocca in un’intervista a la Repubblica.

Questa situazione però rende ancora più difficile ora per Italo garantire l’offerta,
che è già stata ridotta in questi mesi per la situazione sanitaria e conta oggi 87 treni al giorno rispetto ai 112 del periodo pre-Covid.


Lavoriamo in condizioni insostenibili per un’azienda: oggi non copriamo nemmeno i costi operativi”,

sottolinea La Rocca, ricordando che in 9 anni la società ha acquistato 51 treni “che vanno pagati”.

“La situazione è ingestibile” e “con questo livello di ricavi l’azienda non ce la fa a stare in piedi”, avverte il manager,
evidenziando che se la situazione resta questa, dal primo ottobre i servizi verranno ridotti da 87 a 60 e
“nel giro di due mesi ci fermeremo con gravi ripercussioni sull’occupazione”.


Eppure Italo ha adottato 14 misure di sicurezza “in linea se non migliori rispetto ad altre tipologie di spostamenti”, spiega La Rocca,

che dietro alla “chiusura” del Cts sospetta che ci siano “motivazioni squisitamente politiche”.



Questa situazione, inoltre, penalizza più Italo che il competitor Trenitalia, osserva La Rocca:

loro operano anche gli Intercity e i regionali, che sono tratte sussidiate, mentre “noi - puntualizza - andiamo avanti con le nostre forze”.

Italo aveva archiviato il 2019 con un utile netto di 151,42 milioni, in aumento dai 92,9 milioni del 2018.

Poi però proprio per l’arrivo del Covid si è deciso di non distribuire il dividendo e decurtare i compensi dei manager per garantire la liquidità.

È da mesi che la società mette in guardia dai rischi derivanti da questa situazione:
già a maggio Flavio Cattaneo avvertiva che “viaggiando al 50% della capienza i treni non arrivano al break even e noi dovremo tenerli nei depositi”;
ad agosto La Rocca lamentava il fatto che i treni venissero penalizzati rispetto agli aerei e quantificava che per Italo i costi della pandemia “superano i 200 milioni di euro”.
 
Qualsiasi passo sarà lecito per mandarli a casa.
Iniziamo noi dalle votazioni di domenica.


A una settimana dai dati Istat che segnalavano una perdita di 841mila posti nel secondo trimestre 2020,
l’Inps conferma il quadro preoccupante dello stato occupazionale dei salariati nel settore privato durante l’emergenza sanitaria.


Le assunzioni - rileva l’osservatorio sul precariato dell’Inps - sono crollate dell’83 per cento (il dato peggiore) ad aprile

del 56 per cento a maggio

e del 40 per cento a giugno

per un crollo medio del 42% nel primo semestre del 2020.



“Siamo sotto di circa 1,7 milioni di rapporti di lavoro attivati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno,

con una caduta massiccia di nuove assunzioni e rinnovi di contratti a tempo determinato (circa 740mila in meno)

e assistiamo a un vero e proprio crollo dei contratti stagionali, a chiamata e in somministrazione”,



commenta la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese.


L’Osservatorio Inps evidenzia a giugno un saldo negativo, fra contratti di lavoro cessati e nuove assunzioni, di 818mila posti.


A farne le spese sono le posizioni contrattuali più fragili.

Innanzitutto i contratti a termine, che a giugno perdono 582mila unità.

Schiacciati dal peso dell’emergenza Covid anche

i lavoratori intermittenti (-103.000),

i somministrati (-156.000)

e gli stagionali (-232.000).

Resta invece positivo, pur continuando a ridursi, il saldo cessazioni/assunzioni nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato che a fine semestre è di + 232.000 posizioni.

Positivo anche l’apprendistato con un saldo di +23mila unità.

Sulla tenuta dei contratti a tempo indeterminato incide in maniera sostanziale l’effetto del divieto di licenziamento per ragioni economiche,

divieto che è entrato in vigore a marzo con il decreto “Cura Italia” e poi riconfermato dal Dl “Rilancio”.


Infatti, evidenzia l’Inps, “nel quadrimestre marzo-giugno” la diminuzione delle cessazioni dei rapporti di lavoro “è stata particolarmente accentuata”,
ovvero -44 per cento e i licenziamenti per ragioni economiche sono diminuiti del 72 per cento.


Ma cosa accadrà quando verrà meno il blocco dei licenziamenti ?


O il Paese sarà pronto per la ripresa oppure dovremo fare i conti con un problema sociale senza precedenti”, dice Veronese.


La crisi economica prima e l’emergenza sanitaria dopo hanno influito negativamente
anche sulle trasformazioni dei contratti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato,
che nel periodo gennaio-giugno 2020 sono risultate in flessione rispetto al 2019 (-32%; -42% per il mese di giugno).
 
Il discorso è sempre quello. Il "certo", per "l'incerto".

Con il "certo" siamo andati nella merda ed ormai ce l'abbiamo a livello del naso.
Morire è dietro l'angolo.

Io sono per "l'incerto", per avere una speranza di vita.

USCIRE DALL'EURO.


A differenza di quello che si possa pensare, l’euro non è una moneta affidabile, ed il motivo è presto detto: ne sono stati stampati troppi.

E con tutti questi soldi stampati “dal nulla”, con un semplice click sulla tastiera di un computer,
le banche europee hanno fatto il gioco di chi speculava di più. E questo non è buono.

Ora ci troviamo con un livello di indebitamento delle banche del vecchio continente preoccupante, molto preoccupante.


Le banche spagnole, francesi ed italiane sono indebitate per oltre 100 miliardi di dollari con le banche turche,
tanto che il portale di finanza internazionale Bloomberg ha riportato la notizia (link qui) che alla borsa di Wall Street
stanno scommettendo al ribasso sui titoli di stato di Spagna, Francia e Italia
perché nel giro di qualche mese saranno pressati dalla crisi turca che si sommerà a quella indotta dal covid19.


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La Germania, che sul problema “turco” sembra navigare in acque molto più tranquille, si trova invece in casa problemi molto più gravi.

La Deutsche Bank infatti, il più importante istituto di credito tedesco, avrebbe in pancia titoli ad alto rischio,
cioè vicini all’essere definiti “spazzatura”, per oltre 70 miliardi di euro (link qui),
una cifra che essendo in mano ad una sola banca costituisce un problema enorme.



L’euro, inoltre, soffre di problemi strutturali dovuti alla mancanza di un sistema per equilibrare gli sbilanciamenti tra le nazioni,
come ad esempio i capitali che si spostano dall’Italia alla Germania per l’acquisto di beni o servizi.


Il problema è talmente grave che il britannico Alasdair Macleod ha recentemente scritto un articolo con un titolo molto eloquente,

La disintegrazione finanziaria dell’Eurozona, che sottolinea tutti i limiti della moneta unica europea.


In Germania c’è addirittura una università che ha creato il sito “Euro Crisis Monitor” (link qui)
che aggiorna mensilmente il grafico degli sbilanciamenti del sistema Euro (denominato Target2)
dal quale si vede in tutta evidenza l’enorme afflusso di capitali da Italia e Spagna verso la stessa Germania.


É sorprendente come questo problema venga tenuto sotto il tappeto da tutta la politica europea,

nonostante costituisca una bomba pronta a deflagrare contro tutti gli stati dell’Unione.




Cosa ci riserva il futuro

Il responsabile della ricerca strategica di Deutsche Bank, Jim Reid, ha recentemente dichiarato che le valute fiduciarie
come l’euro o il dollaro stanno terminando il loro ciclo di vita, come un prodotto che ha esaurito la sua funzione, sono sul viale del tramonto.

Ora siamo in un momento delicato perché nessuno sta preparando la loro sostituzione.

Lo standard aureo, infatti, l’unica alternativa che gli economisti hanno tra le loro cartucce,
è di difficile se non impossibile attuazione, perché sconvolgerebbe gli equilibri geopolitici mondiali.

Le riserve d’oro nelle banche centrali, infatti, sono totalmente diverse dalla forza industriale, commerciale e finanziaria dei vari paesi del mondo,
pertanto chi le ha esaurite (vedi Inghilterra e Stati Uniti), finirebbe nelle ultimissime posizioni,
mentre chi le ha accumulate in questi anni (Cina e Russia), balzerebbero ai primi posti, assieme all’Italia !



Non sappiamo quindi con cosa verranno sostituiti gli attuali sistemi valutari,
oro, argento, Bitcoin o altre criptovalute o sistemi misti, ma una cosa è certa:

una fase storica dell’economia sta concludendo e dovrà essere sostituita con qualcosa di nuovo.


Qualcosa che nei libri di economia non è ancora stato scritto.
 
Un referendum è, lo dice la parola stessa, una prova di forza democratica con vincitori e vinti,

facendo tuttavia presente che questo del 20 e 21 settembre si svolge in un quadro generale contraddistinto dalla vicenda del virus, cioè dalla paura.


Resta tuttavia da segnalare, in questa vigilia, qualche differenza nel senso che un simile appello al popolo
si richiama ad un tema assai popolare come la riduzione, sic et simpliciter, dei parlamentari
che pare addirittura scontato nel responso favorevole al ma che, al tempo stesso,
ha suscitato via via riflessioni in senso contrario da parte di un ceto medio (politico) riflessivo orientato nei confronti del no.


Il che la dice lunga non tanto e non soltanto sulla demagogia e sul populismo
che contraddistinguono la vera ragion d’essere della proposta del Movimento 5 Stelle
ma, al tempo stesso, svelano un’analoga componente proprio in quei tanti partiti che, vuoi per convinzione atavica,
vuoi per la faciloneria di partecipare al sì per timore di essere tacciati di difensori del vecchio,
hanno chiamato gli italiani ad un referendum il cui risultato era ed è, molto probabilmente,
scontato ma a favore dei pentastellati. E di Matteo Salvini, si capisce, ma questo è un altro discorso.


Ma per i pentastellati è un vero e proprio regalo.


Il fatto, ed è un fatto non un’opinione, è che se esce dalle urne un consenso più o meno ampio,
questo va a vantaggio di un M5S che versa in una crisi grave, anche e soprattutto interna,
ma che la non improbabile vittoria metterà a tacere favorendo loro la permanenza al governo
e la spartizione del potere con quel Partito Democratico con cui aveva costruito un’alleanza per tagliare la strada a Salvini.


Già in questa scelta si annidavano i prodromi di un governo a due fondato più su un pretesto che su un programma ai cui propositi,
peraltro, il Covid ha mostrato una presenza frenante, ma che ora, tempo di ricostruzione, ne rivela limiti e incapacità.

Ciò che resta infatti di un’alleanza, per di più di opposti e sbandierata come il nuovo che avanza,
e che governa, è il mantenimento del potere sempre e comunque.


La politica di e per il potere è tanto più vistosa quanto più praticata da un Movimento il cui capo,
più o meno discusso ma sempre decisivo, inneggia alla liberazione della miseria, della povertà,
delle differenze di classe e di ceti senza che gli altri politici rispondano a simili stupidaggini con una sonora pernacchia,
forse per timore di essere di nuovo coperti di ingiurie e di insulti personali coi quali Beppe Grillo e i suoi seguaci,
grazie a molti media compiacenti, hanno proceduto con scarpe ferrate ottenendo successo su successo.


La parola d’ordine è stata l’antipolitica contro i partiti corrotti, al motto di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno,
ritrovandosi ora a presiederlo senza, tuttavia, alcun cenno di pentimento per quei propositi.


Il referendum prossimo è frutto di una ideologia che col pretesto di una riduzione nei numeri senza alcuna correzione e aggiunta di altre riforme,
si inquadra nei propositi di un Casaleggio senior, e pure junior, che ha assai spesso disistimato il Parlamento,
a volte scambiando i pentastellati come portavoce del M5S, cioè di Rousseau,
insultando in tal modo la sede più alta della volontà popolare coi suoi membri come rappresentanti della stessa.


C’è, insomma, un disprezzo per questa istituzione di cui una sua riduzione numerica è una spia preoccupante che,
per taluni, ricorda l’odio nazista che chiese, ottenne e attuò la sua scomparsa in lontani eppure significativi tempi di crisi economica e politica.

Poco o nulla di ciò sembra vedersi e qualcuno, giudiziosamente, ne spiega le ragioni anche nei livelli di intelligenza fra un Hitler e un Grillo.

V O T A

N O
 
Ultima modifica:
Ahahahahah diamogli la spallata giusta.

Le sue Cinque Stelle sono da tempo in caduta libera, precipitate in un buco nero dei consensi da cui è ardua uscire fuori.

La fugace stagione coronata da successi elettorali è ormai un remoto ricordo e i cittadini italiani
si sono ampiamente stufati delle chimere evocate dal suo movimento.

Così a Grillo non resta che scagliarsi contro la scarsa efficienza della democrazia, quella che un tempo voleva rendere ancora più aperta.

Fate capire a questa sinistra che vuole essere progressista che ci sono le idee, che vanno perseguite”,

ha detto oggi il fondatore del M5S.

Quali siano queste idee non è dato sapere, ad occhio e croce sono comunque poche e confuse,
sta di fatto che a Grillo ormai non resta che appoggiarsi alla stampella del Pd.

Prima che gli rosicchi anche gli ultimi voti.

In fondo il tempo corre, sono passati appena sette anni da quando Grillo tuonava indispettito: “Il Movimento 5 Stelle non è di destra, né di sinistra”.
 
Deve essere scattato un vero e proprio amore tra il premier Conte e il supercommissario Arcuri.

Già, perché pare non fermarsi qui la spinta carrieristica che Giuseppi vuole offrire al suo fidato.

Con il ruolo di commissario all’emergenza, Arcuri ha potuto godere di un potere illimitato, e così sta continuando a fare.

Ma una volta che l’emergenza sarà finita, cosa succederà?

Dunque che che alle porte ci sono le nuove nomine da fare in Cassa Depositi e Prestiti,
il settore più strategico in assoluto in questo momento.

Ed è proprio lì che Conte starebbe pensando di piazzare Arcuri.

Al vertice di CdP.

Questa è infatti la partita che deciderà il futuro del Paese.

E Conte intende giocarla da protagonista.




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Nei primi mesi del 2021 dovrà essere definita la governane di due società chiamate a colmare
il gap infrastrutturale e di competitività che fa dell’Italia il fanalino di coda in Europa
: la società della Rete unica e, appunto, Cassa Depositi e Prestiti, sua azionista di riferimento.

Come racconta Giovanna Vitale su Repubblica,

“Conte ha in mente uno schema preciso. Incoraggiato da una serie di coincidenze temporali che favorirebbero il suo progetto.
Ad aprile scade infatti il mandato di Fabrizio Palermo alla guida di Cdp, la controllata del Tesoro che gestisce tutte le sfide più delicate:
dalla nazionalizzazione di Autostrade al salvataggio dell’Ilva.
Un mese prima potrebbe vedere la luce AccessCo, il network unico formato da Tim e Open Fiber che dovrà governare la rete in fibra ottica”.



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Ebbene è proprio in questo crocevia di date che Conte vorrebbe infilarsi “per concludere un’operazione
che gli consentirebbe di piazzare al vertice di entrambe le società due manager di assoluta fiducia,
che ormai a lui direttamente rispondono molto più che ai partiti cui pure debbono la nomina.

L’idea dell’inquilino di palazzo Chigi è di dirottare Palermo alla guida di AccessCo e di sistemare Domenico Arcuri alla testa di Cassa”.

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A mettere i bastoni tra le ruote di nomine di Conte, però, potrebbe essere per primo il ministro dell’economia Roberto Gualtieri.

Non è infatti un segreto che l’attuale capo di CdP, Palermo, abbia un filo diretto con lui e aspiri a restare al comando di Cassa.

In questa conferma, Gualtieri e Palermo trovano l’appoggio sia del Pd che dell’ala Cinquestelle che fa capo a Di Maio.

La nomina di Conte, dunque, sarebbe totalmente personale, senza tener conto del volere dei partiti che lo hanno nominato presidente del consiglio.

Ed ecco dunque che si torna a giocare su un tavolo complicato l’ennesima partita tra politica e potere.
 
A L’aria che tira, la nota trasmissione condotta su La7 da Myrta Merlino,

Matteo Bassetti è tornato ad attaccare i media filogovernativi.


Il direttore della Clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, infatti,

ha spiegato chiaro e tondo perché gli italiani hanno un’eccessiva paura del Covid-19:


«Ho passato l’estate intera a spiegare che il terrorismo non portava da nessuna parte,

la gente è terrorizzata dal prendere il Covid perché gli abbiamo spiegato che morivano come se prendevano l’ebola.

Ma non è più così: oggi è una normale infezione trattabile e gestibile»
, ha detto l’infettivologo.



Il video


Bassetti contro il terrorismo mediatico


Per queste sue idee Bassetti è stato addirittura accusato di «negazionismo»,
ma lui non fa marcia indietro e, anzi, contrattacca:

se gli italiani sono terrorizzati, è colpa della disinformazione fatta dei media,
molto più impegnati a sostenere le politiche restrittive del governo che non a fornire indicazioni precise ai cittadini.


Insomma, per l’infettivologo quello che serve è «un’informazione tranquilla, pacata e rassicurante» che illustri quali sono i reali effetti del coronavirus.


Guarda anche: Bassetti: «Positivo non significa malato. E dire questo non è negazionismo» (Video)

Virus meno letale, ridurre la quarantena

Tra l’altro, proprio ieri Bassetti ha spiegato con dovizia di particolari quali sono questi effetti:

diversamente dal periodo marzo-aprile,


«la malattia oggi ha una mortalità decisamente più bassa, 0,4-0,6%, e nel 99,6% dei casi si guarisce».


In altre parole, l’allarmismo diffuso dai media mainstream non ha alcun fondamento.

Anche perché, ha puntualizzato l’infettivologo,

«ora su 40mila contagi solo il 5% ha bisogno di cure.

Nei mesi caldi dell’emergenza avevamo picchi di 25-30% dei positivi che necessitava di cure in terapia intensiva».



Il virus, insomma, non solo ora è conosciuto dai medici, che hanno ben studiato le contromisure da adottare, ma è anche meno letale.

Di qui la proposta di Bassetti di ridurre i giorni di quarantena:

«La Francia ha approvato i 7 giorni. A questo punto anche noi dovremmo adeguarci, magari con una soluzione di compromesso:
10 giorni senza tampone oppure 7 giorni con tampone per poterla finire. Speriamo che il ministero cambi questa regola».
 
Povero povero povero



Anche se si è trattato di un "un mero errore materiale",
come definito successivamente da non specificate fonti vicine al governo
(pure se un errore così marchiano con tutto lo staff dietro a sudare, reperire e correggere i numeri necessari
per permettergli di andare davanti alle telecamere senza essere totalmente sprovveduto, quantomeno in apparenza),

Giuseppe Conte questa volta l'ha sparata davvero grossa.

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A cogliere in fallo l'esecutivo, quando sono stati esplicati dinanzi alle Camere
i punti sui quali dovrebbe articolarsi il cosiddetto Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr),
che segue le linee guida del Recovery fund tracciate da Giuseppe Conte, è Mario Giordano in un articolo pubblicato sul quotidiano "La Verità".


"Se le Camere lo riterranno opportuno, il governo è disponibile a riferire sulle linee essenziali del documento,
sia nelle sedi decentrate delle commissioni sia nella sede plenaria dell'assemblea",

aveva comunicato il premier in una lettera, come riportato da Repubblica.


"In ciascuno dei passaggi, nello spirito di massima collaborazione e sinergia tra governo e Parlamento,
sarà assicurato il pieno coinvolgimento delle Camere al fine di recepire indirizzi, valutazioni e proposte concrete di intervento.
L'attuale fase programmatoria rappresenta uno snodo strategico, una occasione storica irrinunciabile per il successo della azione economica
e per le prospettive di crescita e di modernizzazione dell'Italia", aveva aggiunto ancora.


"Certamente la sfida che ci attende è estremamente complessa e necessita del dispiegamento
delle migliori energie e competenze del Paese nonché del costante dialogo e collaborazione tra le Istituzioni".


Tutto in apparenza normale, almeno fino al momento in cui non si parla di numeri durante l'esposizione degli obiettivi del Pnrr, uno in particolare.

Si prospetta l'intenzione di aumentare gli investimenti portandoli fino al 3% del Pil,
di aumentare il tasso di occupazione di 10 punti percentuali salendo dall'attuale 63% dell'Italia al 73,2% della media dell'Unione Europea.

Si fa anche riferimento all'obiettivo di incrementare le spese per ricerca e sviluppo, per salire dall'1,3% attuale fino al 2,1%.

Ma ecco che, a pagina 11, è possibile notare lo strafalcione, quando si parla del proposito di raddoppiare il tasso di crescita dell'economia italiana:

da un + 0,8% medio registrato negli ultimi 10 anni l'obiettivo è farlo salire alla media europea del + 1,6%.

Un errore da nulla? Non proprio, dato che i numeri parlano di uno 0,2%, una cifra di ben 4 volte inferiore a quella presentata nel documento.

Una differenza non da poco, e l'ennesima figura barbina che viene sottolineata anche dall'economista Carlo Cottarelli sul suo profilo twitter.


"Il documento del NextgenITA mandato oggi in Parlamento da Conte contiene un grave errore (p.11).

Si dice che il tasso di crescita annuo dell’economia italiana nell'ultimo decennio è stato 0,8%; quello EU 1,6%.

Il dato corretto per l’Italia è però 0,2%. Ma che figura ci facciamo?".



La replica, come riferisce "La Verità", è arrivata da non ben definite "fonti del governo": nella nota si parla di un "mero errore materiale".

Dopotutto è "universalmente noto che la crescita del Pil italiano nell'ultimo decennio è stato dello 0,2 per cento".

Universalmente non proprio, altrimenti non ci sarebbe stato l'errore, specie con un divario così ampio rispetto a quelle che sono invece le cifre reali.
 

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