l rialzo ha tre cause. La prima è l’accumulazione di scorte strategiche da parte della Cina, ben consapevole che da qui a 5 anni si apprezzerà di più il greggio del dollaro. La seconda è un imprevisto miglioramento nella domanda di benzina (quella industriale di distillati continua a scendere). La terza è l’autocontrollo dell’offerta, un fenomeno nuovo rispetto al passato, dovuto al fatto che i produttori hanno accumulato negli anni scorsi ricchezze finanziarie tali da permettere loro, oggi, di non dovere produrre a tutti i costi.
L’autocontrollo dell’offerta non è limitato ai produttori di petrolio, ma è ben visibile anche tra le società private del carbone, del gas naturale e dei fertilizzanti.
Il petrolio raddoppiato di prezzo toglie naturalmente spazio agli altri consumi, ma il fenomeno, per il momento, non è ancora preoccupante. Quanto all’impatto sull’inflazione, nei prossimi sei-nove mesi lo vedremo comunque poco. L’inflazione, infatti, da qui a fine anno (e oltre) continuerà a scendere.
I bond governativi lunghi americani e il dollaro guardano però già fin da ora oltre questa fase di discesa preannunciata dell’inflazione e vedono aprirsi scenari inquietanti. Su questo tema, che sarà al centro del dibattito dei prossimi anni, riassumiamo le posizioni esistenti. A un estremo troviamo gli iperinflazionisti di scuola austriaca per i quali, come ha ribadito oggi Marc Faber, l’inflazione americana si avvicinerà ai livelli di quella dello Zimbabwe.
A un livello meno esasperato, ma forse ancora più inquietante, troviamo i teorici di Pimco. Non basta, hanno detto nel loro recente seminario di Secular Outlook, guardare compiaciuti alla debolezza della domanda e concludere che un mondo che pensa solo a risparmiare e con un enorme output gap non può conoscere l’inflazione. Bisogna anche guardare, dicono, alla distruzione dell’offerta dovuta all’inefficienza che segue l’espandersi dell’intervento pubblico, alla deglobalizzazione e alla riregolamentazione. Questa volta, concludono, l’inflazione rischia di ripartire molto prima del solito. Si noti, in questo ragionamento, l’assenza del tema che inquieta i mercati, l’esplosione del debito pubblico, che va visto in effetti, a nostro parere, come l’altra faccia dell’implosione di quello privato.
L’idea di Pimco è inquietante non perché sia iperinflazionista (non lo è) ma perché è strategicamente stagflazionista. Una breve ripresa seguita da un’inflazione a una cifra ma esuberante e accompagnata da crescita bassa non è certo la migliore delle prospettive.
Scendendo ancora di livello troviamo i teorici dell’inflazione moderata per un lungo periodo, come Goldman Sachs. La base del loro ragionamento è il persistere per tutti gli anni Dieci di un’ampia base di risorse inutilizzate, l’output gap.
Alla fine del giro troviamo i deflazionisti, i teorici del Giappone mondiale. Da questi si è di recente defilato Roubini, ora su posizioni più stagflazioniste. Volendo aggiungere qualche osservazione, la fortissima volontà politica americana (condivisa da Congresso, amministrazione, Fed e accademia) di non cadere in deflazione ci porta ad escludere questo scenario. Le probabilità stanno a nostro avviso tra Pimco e Goldman Sachs. La distruzione di offerta è un rischio, ma bisogna riconoscere che finora i bassi istinti statalisti e protezionisti sono stati tenuti abbastanza sotto controllo. Non è detto quindi che la stagflazione da offerta sia un esito scontato. Quanto alla reflazione monetaria, la sfida per la Fed è straordinariamente difficile (togliere delicatamente il piede dall’acceleratore e frenare dolcemente al momento giusto, legandosi all’albero della nave come Ulisse per non farsi sviare dalle sirene politiche) ma non si vede motivo per dare già adesso per scontato che la sfida venga persa.
Operativamente rimaniamo dell’idea di comprare azioni e rischio su debolezza senza farsi spaventare dai teorici del test dei minimi. I governativi americani lunghi sono ipervenduti ma vanno comprati solo per trading. Il dollaro, come dice Goldman Sachs, è in fase di debolezza ciclica, non strutturale come negli anni scorsi. Sempre debolezza è, tuttavia. Il petrolio ci lascia qualche dubbio di breve che ci fa preferire i petroliferi (medi e piccoli). Gli emergenti si sono ripresi tutti ma non sono tutti uguali. La Cina è il più solido, Sri Lanka (per una volta siamo d’accordo con Jim Rogers) è un turnaround, ora che è finita la terribile guerra civile, estremamente interessante. L’est europeo si è giustamente ripreso grazie al forte supporto del Fondo Monetario, ma ha comunque davanti due anni molto impegnativi. Stesso discorso per la Russia, che finora si è aiutata da sola. Non si parla più del default dell’Ucraina.
http://www.trend-online.com/?stran=izbira&p=prp&id=220607&nopag=1