Un'abilità che, in parte, gli viene dalle antiche guerre intellettuali dei Gruppi universitari fascisti,
i cui più abili campioni come Pietro Ingrao - passarono poi armi e bagagli nel Pci di Palmiro Togliatti,
e poi, naturalmente, dalla doppiezza staliniana, togliattiana e di tutto l'apparato
di cui è stato un leader particolarmente eminente perché considerato elegante
e con una infarinatura di inglese quando i comunisti studiavano il russo e i più pessimisti il cinese.
Con Palmiro Togliatti, detto non a caso il Migliore,
Napolitano commise delitti riconosciuti con elegante disincanto,
per poi fondare molti anni dopo la morte di Togliatti la corrente interna dei «miglioristi»,
come dire degli allievi più scaltri del vecchio capo.
L'ha fatto sempre colpendo e poi scappando a gambe levate,
ma con un'espressione timidamente dubbiosa, come a dire «Chi? Io?».
Negare e minimizzare sono stati raffinati al livello di arti marziali,
per quel tipo di intellettualità del vecchio Pci.
Nel 1956, quando il Partito comunista italiano era una potenza ideologica,
Togliatti, spalleggiato da Napolitano e dal cinese Mao Zedong,
costrinse la riluttante Unione Sovietica a schiacciare con le divisioni corazzate
gli inermi insorti di Budapest che manifestavano contro il Partito comunista chiedendo libertà e democrazia.
Napolitano ha preteso di far credere che l'operazione militare neocoloniale franco-inglese
scatenata sotto le intrepide bandiere dell'Onu contro la Libia di Muammar Gheddafi nel 2011
fu una nobilissima guerra perché combattuta in nome della stessa libertà e democrazia
contro cui aveva chiesto l'intervento dei carri armati russi a Budapest.
Naturalmente gli ungheresi fatti uccidere da Napolitano, Togliatti, Mao Zedong e Nikita Krusciov
sapevano che cosa fossero libertà e democrazia, mentre i libici, così come i siriani, gli egiziani, i libanesi
e gli arabi musulmani in genere, non ne avevano mai avuto idea politica e pratica.
Napolitano sapeva che Gheddafi era un dittatore come tutti gli altri nell'area,
ma era diventato uno strumento importante e funzionale della politica estera italiana di Berlusconi,
il quale era riuscito ad ottenere il controllo navale delle coste libiche
e il blocco dei flussi migratori oggi incontrollabili.
Gheddafi era un elemento di successo personale di Berlusconi
e anche per questo era, per tutto il fronte nazionale e internazionale che ne voleva la fine politica,
l'uomo da abbattere e far abbattere, anche per procura.
Nessuna traccia di tutto ciò nella smemorata e autorevole intervista.
Napolitano sapeva bene che quando Gheddafi fu prima violentato dal suo carnefice
e poi macellato come una bestia, in Italia si assisté a un'ondata razzista.
Fu, quello, uno dei momenti più sudici della nostra storia.
Ma, mentre i fatti accadevano, Napolitano ritirava la mano e si mostrava indaffarato e formale,
uno che ha bisogno delle carte geografiche e dei verbali per ricordare.
Dal 1956 Napolitano è un esperto del giusto rapporto che corre fra libertà, democrazia e interventi militari.
Del resto, dopo essere stato uno dei raffinati stalinisti, fuggì a destra nel Pci,
formando una corrente filoamericana apprezzata dal segretario di Stato statunitense Henry Kissinger,
detta dei «miglioristi», un aggettivo togliattiano, presentata allora come creatura specialista nel colpire, negare e fuggire.
Per poi auto-assolversi.
L'ex presidente della Repubblica con eterno piglio giovanile si nascondeva dietro le verità a geometria variabile
quando simulava di aver preso le distanze dalla «decisione unilaterale» del francese Nicolas Sarkozy
quando attaccò la Libia per sottrarla all'influenza italiana e lanciare un siluro contro Berlusconi,
che era riuscito a sigillare le coste e impedire che l'intera Africa cominciasse il suo sbarco a puntate sulle coste italiane.
Sarkò attaccò con rabbia napoleonica e per odio trasparente verso il presidente del Consiglio italiano,
l'ultimo eletto, come dimostrano le famose foto sghignazzanti nei confronti del primo ministro italiano.
Del resto, la chiarissima operazione per liquidare per via antiparlamentare Berlusconi
- un vero colpo di Stato - contemplava la necessità di una coalizione interna,
di una coalizione estera e un'operazione militare brigantesca
che si concludesse con il sacrificio umano del dittatore libico,
colpevole di essere uno strumento vincente di Berlusconi che, grazie a lui,
aveva sigillato le coste libiche agli scafisti e ai trafficanti di uomini.
Napolitano si adoperò in tutti i modi, molto discutibili se non illeciti,
per abbattere l'ultimo capo del governo che gli italiani abbiano potuto eleggere a Palazzo Chigi.