Telecom Italia (TIT) Speciale Telecom Italia

TRONCHETTI: NESSUNA OFFERTA PER NOSTRI BUSINESS

Roma, 19:48
TRONCHETTI: NESSUNA OFFERTA PER NOSTRI BUSINESS

"Le uniche offerte che conosciamo sono quelle di cui leggiamo sui giornali". Cosi' Marco Tronchetti Provera ha smentito di aver ricevuto offerte per i vari business del gruppo.
 
Re: Telecom, S&P mette rating in creditwatch negativo

Mister Red ha scritto:
Telecom, S&P mette rating in creditwatch negativo
lunedì, 11 settembre 2006

Traduzione:

dovete vendercene ancora un pò prima che facciamo schizzare all'insù le quotazioni....

solita storia di sempre...
 
Telecom Italia: precisazioni su riorganizzazione societaria

Telecom Italia: precisazioni su riorganizzazione societaria

Telecom Italia precisa che nessuna decisione è stata ancora presa in merito alla struttura finanziaria delle società all'interno delle quali saranno conferiti, come comunicato ieri al mercato, il business mobile e quello della rete d'accesso fissa.
Per quanto riguarda le attività del business mobile, italiano ed estero (Brasile), la Società ribadisce di non aver affidato nessun mandato per la cessione, né tanto meno di aver ricevuto alcuna offerta.
Come comunicato ieri al mercato, il Consiglio d'Amministrazione di Telecom Italia si è riservato di esaminare le opportunità di valorizzazione delle attività di rete e del business di comunicazione mobile che si dovessero presentare, nonché ogni ulteriore o diversa iniziativa in funzione delle esigenze operative e di sviluppo sostenibile dell'impresa.
 
RiassettoTelecom: verso due società per rete e telefonia mob

da www.ilsole24ore.com

RiassettoTelecom: verso due società per rete e telefonia mobile
di Orazio Carabini

Riorganizzazione delle attività del gruppo e non cessione; è la parola magica scelta da Marco Tronchetti Provera davanti al Consiglio di amministrazione del gruppo Telecom per illustrare il piano di scorporo della rete di telefonia fissa e di Tim.

La soluzione per risolvere, in un sol colpo, i problemi finanziari di Pirelli e azzerare l’indebitamento di oltre 40 miliardi di euro. Nella sede di Telecom, con il presidente Marco Tronchetti Provera e Riccardo Ruggero sono stati visti entrare, tra i 20 consiglieri d’amministrazione, Vittorio Merloni, Diana Bracco, Gilberto Benetton assieme a Paolo Baratta. Seguiti da Luigi Roth, dal condirettore generale di Mediobanca Renato Pagliaro, da Massimo Moratti e Carlo Puri Negri. Dopo circa tre ore il cda, all'unanimità, ha approvato il piano di riorganizzazione.

Il vicepresidente Gilberto Benetton, uscendo dall'assemblea, ha detto che si va verso la creazione di due società distinte per la gestione della telefonia fissa e della telefonia mobile.

Su Tim «non è stata presa nessuna decisione» ha spiegato Benetton. «È stata solo approvata una riorganizzazione. La parola che è stata usata oggi - ha ribadito, incalzato dai giornalisti, Benetton - è riorganizzazione». Il clima era «molto buono» ha concluso prima di salire in auto.

«Il Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia, dopo aver condiviso e fatta propria l'opzione strategica di accentuazione della focalizzazione del Gruppo sul business dei servizi broadband e media in Italia e nel resto d'Europa, ha esaminato e approvato un percorso di riorganizzazione del Gruppo Telecom Italia».
Così la nota diffusa dal gruppo a conclusione del cda in cui si precisa che la riorganizzazione passerà attraverso «la separazione da Telecom Italia del business di comunicazione mobile nazionale, mediante conferimento del corrispondente complesso aziendale in una società controllata, anche di nuova costituzione, La separazione da Telecom Italia della rete d'accesso locale wired mediante conferimento del corrispondente complesso aziendale in una società controllata, anche di nuova costituzione, con mandato al presidente di individuare le eventuali ulteriori attività idonee a integrare il suddetto complesso aziendale».
Il Cda, aggiunge la nota, «si è riservato di esaminare le opportunità di valorizzazione delle attività di rete e del business di comunicazione mobile che si presenteranno nonchè ogni ulteriore o diversa iniziativa, in funzione delle esigenze operative e di sviluppo sostenibile dell'impresa».

Preoccupati i sindacati che hanno annunciato una giornata di sciopero. Per Nicoletta Rocchi della Cgil «Tronchetti Provera non ce la fa più. L’elevato indebitamento del gruppo ne sta condizionando le sorti. Non riesce a fronteggiare l’uscita in massa di Hopa, Unicredit e Intesa. Noi l’abbiamo sempre detto che il debito era troppo elevato rispetto a quello degli altri grandi gruppi di Tcl». Siamo pronti a proclamare immediatamente uno sciopero di tutto il gruppo», gli ha fatto eco il segretario della Fistel Cisl, Armando Giacomassi. «Se - conclude - la soluzione per ripianare il debito sarà quella di fare di Telecom uno spezzatino, l’azienda deve sapere che avrà il sindacato contro». Bruno di Cola, segretario generale Uil-comunicazione ha detto che il Cda di Telecom «ha deciso la costituzione di una grande Fastweb. E questo rappresenta indubbiamente il fallimento delle politiche industriali del gruppo. Vendere Tim, la gallina dalle uova d’oro, e puntare su una Media company può rappresentare una opportunità ma anche un rischio». Il sindacalista ricorda inoltre come, ironia della sorte, «nel 1997, Romano Prodi, poi nel 1999 Massimo D’Alema, tenevano a battesimo la privatizzazione della Telecom». «Oggi Prodi e D'Alema con la loro neutralità assistono alla messa in liquidazione del gruppo».
I sindacati di categoria delle telecomunicazioni sono stati convocati per mercoledì prossimo alle 10 nella sede di milanese di Telecom per un incontro con gli amministratori delegati Riccardo Ruggero e Carlo Buora.

Sulla vicenda Telecom i commissari dell’Autorità per le Comunicazioni hanno chiesto al presidente Calabrò di promuovere in tempi brevi l’audizione dei vertici di Telecom Italia. L’iniziativa si accompagna alla convocazione, per giovedì mattina, del consiglio della stessa Authority che si occuperà dei nuovi assetti della società telefonica.«Le due iniziative, riunione del consiglio e audizione - commenta il commissario Michele Lauria - al momento sono a scopo informativo, al fine di valutare gli effetti che eventuali nuovi assetti potrebbero avere sui profili regolatori e di vigilanza di competenza di questa Autorità».


I conti del semestre
Il gruppo Telecom Italia ha chiuso il primo semestre dell'anno con un utile netto in calo del 15,7% annuo, a 1,49 miliardi di euro. Il primo semestre del 2005, precisa una nota, beneficiava della plusvalenza della cessione di Tim Hellas e di altri proventi. I ricavi sono stati pari a 15,335 miliardi di euro in crescita del 5,6% rispetto al primo semestre 2005 con una crescita (escludendo l'effetto positivo della variazione dei cambi e del perimetro di consolidamento) del 2,6 per cento. L'Ebitda è salito di uno 0,5% a 6,518 milioni di euro rispetto ai primi sei mesi del 2005 (+0,3% crescita organica). In calo del 4,5% annuo l'Ebit a 3,801 miliardi di euro (-6,1% variazione organica). L'indebitamento finanziario netto al 30 giugno 2006 ammonta a 41,315 miliardi di euro. Escludendo il pagamento dei dividendi, per circa 3 miliardi di euro, risulta in calo di oltre 700 milioni di euro rispetto al 31 marzo 2006.
 
La cautela del governo: valuteremo con attenzione

da www.corriere.it

La cautela del governo: valuteremo con attenzione
Vertice Prodi-Gentiloni. Bersani: scelte da conoscere meglio
Lusetti (Margherita): no Tim agli stranieri.
I sindacati: sciopero

ROMA — «Una vicenda che merita grande attenzione». Così il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani definisce il riassetto di Telecom Italia.E non meno prudente si mostra il vice-presidente del Consiglio Francesco Rutelli, che al seminario dell’Ulivo a Frascati taglia corto: «Non si fanno commenti almeno per ora. Li faremo a tempo debito». Al ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, invece, non si cava niente di più che una sola parola: «Vedremo». Anche se in realtà il governo sta già cercando di vederci un po’ meglio.
Il presidente del Consiglio Romano Prodi e Gentiloni sono stati in contatto telefonico tutta la giornata di ieri, e nel pomeriggio il ministro delle Comunicazioni è andato a Palazzo Chigi. Proprio per discutere con il premier del caso Telecom Italia. L’eventualità che Tim possa finire in mani straniere, preoccupa il governo: sarebbe il terzo gestore di telefonini a subire questa sorte, dopo Omnitel e Wind. Con il risultato che in Italia non ci sarebbe più un operatore nazionale nella telefonia mobile. Poi c’è il problema della rete, che dovrebbe confluire in una società apposita. E l’eventualità che questa possa essere alienata è per Palazzo Chigi fonte di preoccupazioni ancora maggiori. Non a caso nelle scorse settimane, quando era stata ventilata l’idea di un accordo non solo commerciale con l’editore sudafricano Rupert Murdoch, qualcuno negli ambienti governativi aveva avanzato l’ipotesi di una possibile discesa in campo della Cassa depositi e prestiti. Ipotesi che non viene tuttavia allo stato attuale considerata praticabile. Ma il segnale che arriva da Palazzo Chigi è che l’esecutivo non starà a guardare.
Negli ambienti governativi si fa rilevare come un’operazione di questa portata dovrebbe avere comunque il via libera del governo. Il quale continua sempre a essere titolare di una golden share, cioè di poteri speciali che gli consentono di bloccare le decisioni strategiche, pur non avendo più un suo rappresentante nel consiglio di amministrazione: l’ultimo è stato Roberto Ulissi, subentrato nel 2001 a Domenico Siniscalco. Prodi ha quindi ancora margini di manovra.
Certamente la faccenda non mancherà di avere delle ripercussioni. Se per Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo al Senato, «è improprio che i politici si dichiarino a favore o contro l’eventuale passaggio di Tim in mani straniere», perché «l’importante è che vengano rispettate le regole», Gianfranco Morgando crede che la separazione della rete possa avere anche riflessi positivi «sulla concorrenza», sostenendo però che «va evitata» la cessione dei telefonini a operatori esteri. Un timore che il responsabile economico della Margherita condivide con il suo collega di partito Renzo Lusetti, il quale si augura però che «lo Stato non intervenga», e con Raffaele Bonanni.
Il segretario generale della Cisl si dice preoccupato «per gli interessi nazionali» e chiede di aprire la discussione «su un servizio strategico pubblico venduto e comprato più volte in una sequenza non sempre chiara». L’ex ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri lancia direttamente un appello agli imprenditori italiani perché siano loro a comprare Tim. Mentre il sottosegretario all’Economia Alfiero Grandi ironizza sul fatto che, dopo l’offensiva di Abertis su Autostrade, fra i possibili pretendenti ai cellulari italiani ci sia ora anche la spagnola Telefonica: «Un Paese di 58 milioni di abitanti si fa portare via le cose da uno che ne ha 36. Ma cosa avranno questi spagnoli?». A ogni buon conto i sindacati sono già sul piede di guerra: hanno deciso di proclamare una giornata di sciopero da fare entro il mese di settembre e hanno già annunciato di voler chiedere un incontro al governo. Commenta Nicoletta Rocchi, segretario confederale della Cgil: «L’elevato indebitamento del gruppo ne sta condizionando le sorti. L’abbiamo sempre detto che il debito era troppo rispetto a quello degli altri grandi gruppi di telecomunicazioni ».

Sergio Rizzo

12 settembre 2006
 
Una sfida e alcuni interrogativi

da www.ilsole24ore.com

Una sfida e alcuni interrogativi
di Orazio Carabini

Gli azionisti di riferimento di Telecom Italia hanno fatto una scelta che potrebbe rivelarsi positiva per i soci e che, a prima vista, rischia di non essere positiva per il sistema industriale italiano.
L’attività del gruppo sarà concentrata sui servizi di media e larga banda non solo in Italia, ma anche in Europa. Saranno scorporate la telefonia mobile, cioè la vecchia Tim da poco fusa in Telecom Italia, e la rete fissa, ovvero il complesso di cavi e centrali su cui corrono voce e dati. L’obiettivo è di «esaminare le opportunità di valorizzazione» per queste due società. In altre parole vendere la telefonia mobile e trovare dei partner per la rete.
Per i soci della Pirelli, che controlla Telecom Italia, e sperabilmente anche per quelli della stessa Telecom Italia è una buona notizia. I conti del gruppo sono sempre più traballanti. Ripagare l’enorme debito accumulato con le scalate senza capitali diventa difficile soprattutto in un periodo di tassi crescenti e di margini costantemente erosi da un’esasperata concorrenza.
La decisione di ieri potrebbe far entrare nelle casse della società decine di miliardi di euro: la sola Tim ne vale 35-40. Inoltre incombe il rischio del consolidamento in Pirelli del debito di Telecom Italia: con l’acquisto delle quote di Emilio Gnutti e delle banche in Olimpia, la holding che ha in portafoglio il pacchetto di controllo di Telecom Italia, Pirelli e Benetton avranno presto il 100% di Olimpia e la Consob è pronta a tornare all’attacco per imporre il consolidamento del debito in capo alla Pirelli. Con tutto quello che ne consegue.
Insomma Marco Tronchetti Provera ha reagito con coraggio di fronte a una situazione che si andava ingarbugliando pericolosamente.
Ora per Telecom Italia comincia dunque l’era della media company. Il modello di business su cui il management ha deciso di puntare piace al mercato e ha un futuro in un mondo in cui tutto passa per internet. Eppure per l’economia italiana è una brutta notizia. E non solo per l’irritazione che trapelava ieri sera dalle stanze del Governo.
Al di là del minuetto estivo sull’accordo con Rupert Murdoch e della mancata informazione sul progetto di doppio scorporo, i motivi di nervosismo del Governo sono tanti.
Una volta ceduta Tim, Telecom Italia rischia di perdere il ruolo di grande impresa. In un Paese in cui le grandi imprese si contano ormai sulle dita di una mano.
La telefonia mobile made in Italy è stata il fiore all’occhiello del gruppo. Per anni è rimasta all’avanguardia in Europa e nel mondo sia per le capacità tecnologiche sia per la genialità di alcune soluzioni di marketing.
Separare Tim da Telecom Italia è una scelta puramente finanziaria, non industriale. Che oltretutto ribalta la strategia della convergenza fisso-mobile su cui Tronchetti Provera sembrava deciso a puntare quando aveva annunciato la fusione Telecom Italia-Tim con precise valutazioni industriali.
Anche se, proprio ieri, Vodafone, il più grosso operatore mobile al mondo, ha annunciato un’intesa con British Telecom per offrire ai suoi clienti servizi in banda larga su rete fissa (si veda a pag. 5). Un modello che potrebbe essere replicato in altri Paesi.
È vero che per ora nessuna cessione è stata decisa, ma il Governo già intravede due grossi problemi.
Il primo riguarda l’assetto azionario di Tim. Nessun imprenditore italiano è in grado di acquisire la società dei telefonini. Le cordate e i noccioli duri sono passati di moda. Di conseguenza Tim è destinata a finire in mani straniere.
Il risultato probabile è che tutta la telefonia mobile italiana sarà sotto il controllo esterno: inglese con Vodafone, egiziano con Wind, cinese con 3. Non c’è da strapparsi i capelli per questo. Con un po’ di understatement si potrebbe dire solo che è un peccato, soprattutto se si pensa che Vodafone ha rilevato via Mannesmann una Omnitel, tutta italiana, che andava a gonfie vele. E che è stata venduta proprio per finanziare la scalata a Telecom Italia.
Il secondo problema riguarda la rete fissa. Che cosa significa in questo caso «opportunità di valorizzazione»? Poiché è impensabile che il controllo passi a operatori stranieri viene subito in mente il "soccorso pubblico" che fungerebbe anche da garanzia di neutralità della rete nei confronti dei concorrenti di Telecom Italia sulla telefonia fissa. Ma si può ipotizzare che lo Stato, con un bilancio pubblico nelle condizioni attuali, investa miliardi per riacquistare la rete di Telecom Italia?
Sembra difficile. Eppure il problema è sul tappeto, a meno che non ci pensino le solite fondazioni a togliere le castagne dal fuoco.
Sono passati quasi 10 anni dalla privatizzazione di Telecom Italia. Tre gruppi di controllo si sono avvicendati. Il "nocciolino duro" costituito dalla crema del "salotto buono" non ha lasciato tracce: si è ritirato rapidamente, e senza combattere, di fronte all’avanzata di Roberto Colaninno e degli altri campioni della razza padana. Che hanno zavorrato il gruppo con i debiti accesi per finanziare la scalata e per concludere operazioni discutibili.
Poi sono arrivati Tronchetti Provera e i Benetton, pochi giorni prima di quell’11 settembre 2001 che ha cambiato la storia del mondo.
Lo "spezzatino" deciso ieri non è il migliore epilogo che si potesse immaginare per la storia della privatizzazione di Telecom Italia. È però un episodio emblematico dello stato di salute del capitalismo italiano, troppo schiavo dei debiti per vincere le partite che contano.
 
Telefonia senza pace

Telefonia senza pace
Dal sogno spezzato al patto con i media
I grandi gruppi guardano al modello Bt


Grande meraviglia le telecomunicazioni. Ma che non sarebbero state facili da usare lo si capì subito, nel 1801, quando la prima linea di telegrafo ottico—pannelli montati su torrette—fu tirata tra la Danimarca e la Svezia. Lo scopo era difensivo, nel timore di un attaco della flotta britannica. E, in effetti, quando, il 2 aprile, l’allora vice-ammiraglio Horatio Nelson attaccò il porto di Copenhagen, il primo sistema mondiale di telecom funzionò alla perfezione: gli svedesi ne furono subito informati e risposero di avere ricevuto il messaggio. Solo che non fecero nulla per aiutare gli alleati. Che furono sconfitti.
Nel tempo, le tecnologie sono cambiate. E le aspettative sollevate dagli strumenti per comunicare a distanza qualche volta, come due secoli fa, sono andate deluse, altre volte sono state soddisfatte. Per decenni, ad esempio, il telegrafo è convissuto con il telefono e i due mezzi funzionavano abbastanza bene: era chiaro a cosa servissero rispettivamente, non c’erano invasioni di campo sostanziali, la qualità del servizio (soprattutto telefonico) non era gran che maai gestori delle reti—per lo più monopoli di Stato, qualche volta privati — non c’erano alternative. Basse aspettative, scarse delusioni.
Oggi, però, quando si dice la parola telecom, si aprono mondi immensi. Sotto quel cappello la confusione è enorme: che sarà anche segno di situazione eccellente, avrebbe detto il presidente Mao, ma è di sicuro indice di alti e bassi, di cambiamenti repentini, di successi e insuccessi in tutto il settore. Forse, per capire qualcosa, vale la pena dare un’occhiata al Paese dove questo grande caos è iniziato e alla società che ne è stata vittima e beneficiaria: Gran Bretagna e British Telecom (oggi Bt Group). L’anno di svolta per le società di telecomunicazioni di tutto il mondo è infatti il 1984, quando la signora Margaret Thatcher decide la prima grande privatizzazione, appunto l’inefficiente società dei telefoni, la telecon più vecchia del mondo. In parallelo, avanza una prima timida e poi sempre più accentuata liberalizzazione, con l’arrivo di nuovi concorrenti. Nel frattempo, le tecnologie cambiano, arrivano i telefoni mobili, i personal computer si diffondono, esplode Internet, le reti si modernizzano fino alla banda larga. Bt cambia pelle. Commette errori strategici, i su e giù di una delle industrie più difficili del mondo. Fino a un qualche anno fa, quando al vertice arriva l’uomo che decide di rivoltare di nuovo il gruppo, Ben Varwaayen, un olandese.
È a questo punto che la storia di Bt diventa di nuovo interessante e può raccontare qualcosa anche in Italia. Varwaayen ridefinisce insieme alle autorità (Ofcom) un quadro regolatorio nuovo, si libera della gestione diretta del business di telefonia mobile (O2) e lancia un investimento da dieci miliardi di sterline (quasi 15 miliardi in euro) per trasformare il suo intero network (i fili del telefono britannici) in una rete basata su tecnologia internet. Dal 2009, le isole britanniche saranno a tecnologia del Ventunesimo Secolo e Bt sarà in grado di giocare a tutto campo, prima telecom nazionale del mondo, il triple play, musica di voce, banda larga e televisione. La famosa convergenza. Nel settore più visibile, la tv, Bt ha già firmato accordi con Bbc, Paramount e Warner Music. Ma le potenzialità della nuova strategia, probabilmente, vanno oltre.
Detta diversamente: la new new thing, la novità vera, nel settore, oggi sembra essere la trasformazione da semplice telecom a fornitore di servizi mediatici via Internet. Grandi Fastweb, per semplificare, anche se le tecnologie sono diverse, con l’aggiunta di servizi business-to-business. Il fatto è che all’inizio del decennio il settore mondiale delle telecom ha fatto un bagno senza precedenti. Mentre tutto sommato era chiaro che le entrate da telefonia fissa stavano crollando - per via dell’aumento della concorrenza e per gli effetti delle nuove tecnologie, non ultima la voce pressoché gratuita via Internet - i grandi gruppi internazionali furono abbagliati dalle previsioni sulla crescita del traffico dati.
Gli investimenti furono enormi e molti gruppi, sia di infrastrutture sia di gestione delle reti, che fino a pochi mesi prima della crisi brillavano come stelle, finirono male: Global Crossing, Viatel, WorldCom, 360networks. Nella sola Europa, le telecom spesero 109 miliardi di euro per comprare dagli Stati le licenze per le reti di terza generazione, il famoso Umts che è ancora oggi commercialmente lontano. Un’altra volta, aspettative deluse, sogni spezzati seguiti da anni di difficoltà - ancora non terminati -, debiti da riassorbire e strategie da ridisegnare. Se il modello Bt sia ora quello giusto è difficile da dire. Certo, molti lo stanno seguendo, si tratti di telecom che partono dalla telefonia per arrivare a Internet e alla tv, o operatori di tv via cavo che si espandono verso la telefonia fissa o mobile.
In Europa su strade un po’ diverse da quelle seguite negli Stati Uniti, dove l’acquisizione di BellSouth, annunciata in marzo, da parte di At&t per 67miliardi di dollari è stata guidata dal desiderio di aumentare la quota nella telefonia mobile (Cingular), settore che in America ha ancora spazi di crescita ma in Europa è considerato maturo. Tutto sommato, però, si può dire che ogni telecom del mondo sia alla ricerca di strade nuove, di convergenze, di servizi da introdurre sulla rete per sostituire le entrate calanti del business voce. Nella speranza che dall’altra parte del filo non siano tutti svedesi...e diano retta. o
Danilo Taino
12 settembre 2006 www.corriere.it
 
Profitti privati e perdite pubbliche

da www.repubblica.it:

Profitti privati e perdite pubbliche

LO "SPEZZATINO" di Tronchetti Provera non va giù a nessuno. È pesante per i mercati. Insapore per gli analisti finanziari. Addirittura indigesto per la politica. Di fronte all'annunciata "scissione" societaria tra Telecom e Tim, la reazione di Romano Prodi è sorprendentemente severa. Quella di Piero Fassino particolarmente stizzita. Quella dell'ala radicale della maggioranza, da Pecoraro Scanio a Ferrero e a Diliberto, addirittura esagerata. Questa levata di scudi dell'attuale centrosinistra, di fronte a un'operazione finanziaria di un grande gruppo privato, può rinverdire ricordi di un passato nient'affatto edificante. I diktat delle vecchie Partecipazioni Statali degli anni '80, che non a caso proprio il Professore rammenta come il suo Vietnam.

O addirittura la vecchia pretesa dirigistica del centrosinistra dei primi anni '60. Quando Amintore Fanfani rivendicava allo Stato, nel convegno della Dc di San Pellegrino, "il controllo sociale dell'economia", e Riccardo Lombardi al congresso del Psi inneggiava alla "pianificazione collettiva controllata dai pubblici poteri come unico modo di opporsi al neo-capitalismo".

Ma dopo quello che è successo, sarebbe sbagliato e anche pretestuoso leggere le parole del presidente del Consiglio come un goffo tentativo della solita politica di imbrigliare le "mani invisibili" del libero mercato sognato da Adam Smith. Gli ultimi sviluppi della vicenda Telecom lasciano sul campo troppe questioni irrisolte. E le poche notizie fornite dal gruppo in questi giorni non bastano certo a fare chiarezza.

1) C'è un problema di trasparenza dei rapporti, che chiama in causa la politica e dunque lo Stato. Il gruppo Telecom è stato privatizzato (male) ormai quasi dieci anni fa. Oggi non ha bisogno di ottenere via libera dal governo, per varare le riorganizzazioni finanziarie che gli azionisti ritengono necessarie. Ma la telefonia è e resta un business particolare. La rete telefonica equivale alla rete dell'energia elettrica o a quella del gas. Sulla rete telefonica transita un servizio pubblico essenziale che lo Stato affida in gestione a privati, attraverso un contratto di concessione. Sul piano giuridico-economico, le reti telefoniche equivalgono alle frequenze televisive.

Da questa peculiarità societaria derivano, o dovrebbero derivare, alcune conseguenze. Il gestore della telefonia ha qualche dovere di informazione in più, nei confronti dello Stato. E se è vero che dei dettagli della ristrutturazione del gruppo Telecom Tronchetti non aveva fatto alcun cenno al premier, pur avendo avuto con lui un lungo e cordiale colloquio appena una settimana fa, allora oggi lo "sconcerto" di Prodi appare del tutto legittimo. Ed è altrettanto legittimo che questo "sconcerto" venga manifestato pubblicamente. In caso contrario, il silenzio del governo potrebbe essere interpretato come assenso all'operazione. Se non si vuole guardare all'aspetto sostanziale, ci si può fermare al galateo istituzionale.

Ad ogni passaggio cruciale della sua lunghissima epopea industriale, Gianni Agnelli ha sempre avvertito l'esigenza di informare il governo di turno, prima di annunciare pubblicamente le più importanti svolte del gruppo Fiat, dall'ingresso dei libici all'ultimo intervento delle banche. Tronchetti, che dell'Avvocato è stato giustamente considerato l'erede naturale, in questa occasione non ha mostrato la stessa sensibilità.

2) C'è un problema di mercato, che riguarda il Sistema-Paese. È chiaro che non spetta al governo decidere le soluzioni più adeguate per risolvere la crisi Telecom. Ma è altrettanto chiaro che di crisi, comunque, si tratta. Non può essere considerato in salute un gruppo che per la terza volta in cinque anni cambia radicalmente strategia, scorporando telefonia fissa e mobile dopo averla accorpata sulla promessa dell'enorme cash flow generato dai cellulari. Non può essere considerato in salute un gruppo che, a dispetto dell'andamento dei concorrenti esteri, denuncia utili semestrali in calo del 15,7% e soprattutto ha sulle spalle un debito colossale, pari a 41,3 miliardi di euro, che secondo alcuni analisti finanziari potrebbero essere anche molti di più. Non può essere considerato in salute un gruppo che, dopo un'infelice privatizzazione che ha visto avvicendarsi prima la famiglia Agnelli con pochi spiccioli e poi Roberto Colaninno travolto con la cordata dei "capitani coraggiosi", oggi si regge ancora sul fragile equilibrio di una poderosa "leva finanziaria", che consente a Tronchetti di controllare l'intera Telecom possedendo poco meno dell'1% del suo capitale.

Sono mali comuni a tanta parte del capitalismo italiano, sempre più asfittico e ripiegato su se stesso. Ma sono pur sempre mali. E allora, alla luce delle tristi esperienze del passato (dallo stesso caso Fiat al gruppo Ferruzzi) non è poi così improprio che il governo abbia qualche voce in capitolo, sui destini di questo importante asset dell'economia nazionale, che vale svariate decine di miliardi di euro e che dà lavoro a quasi 85 mila dipendenti.

3) C'è un problema di regole, che interroga insieme lo Stato e il mercato. A scanso di equivoci, non c'è e non ci può essere spazio per chi da sinistra chiede a Palazzo Chigi di mettere un veto pregiudiziale all'operazione, e al Tesoro di applicare la golden share che tuttora detiene nell'azionariato Telecom. Intanto, perché l'epoca dello Stato Padrone e delle "azioni d'oro" è finita da tempo, come l'Unione Europea ha più volte provato a spiegarci. E poi perché, sia pure nella difficoltà del momento, dalle scelte annunciate da Tronchetti non si profila quel "concreto pregiudizio agli interessi vitali dello Stato", unico presupposto giuridico che consentirebbe l'utilizzo della golden share. Ma tra la tentazione di riesumare uno strumento di governance ormai inservibile e l'illusione di poter assistere agli sviluppi del caso senza muovere un dito, la politica può utilmente studiare qualche passaggio intermedio.

Ha il diritto e forse anche il dovere di farlo. In attesa di avere chiarimenti in più sulle prossime tappe della ristrutturazione Telecom, si formulano solo ipotesi. Al di là delle smentite di rito, l'ipotesi della vendita di Tim resta altamente probabile. L'annunciata scissione della telefonia mobile sembra propedeutica ad una sua successiva cessione. Ma chi comprerebbe? Un gruppo straniero, dopo che abbiamo ceduto Vodafone, Wind e 3? Una cordata italiana? E se sì, quale acquirente potrebbe permettersi un impegno finanziario di quella portata (non meno di 40 miliardi di euro) a parte forse il Cavaliere di Arcore? Al di là delle rassicurazioni di prammatica, l'ipotesi della Media company che dovrebbe restare in pancia al gruppo resta estremamente aleatoria. Portare a casa degli italiani il telefono, internet veloce e la tv, facendo convergere la banda larga di Telecom insieme ai film e allo sport di Murdoch, è un'idea seducente solo sulla carta. Se un gruppo industriale non dispone di contenuti in proprio, finisce per essere solo il "vettore" di chi quei contenuti li ha.

In questa gran confusione, circola persino un'ultima ipotesi, la più estrema e paradossale. Prevederebbe, presto o tardi, una richiesta di intervento della mano pubblica, magari attraverso la Cassa depositi e prestiti, per rilevare anche la telefonia fissa. Se questo è lo Zeitgeist che anima il nostro moderno capitalismo, il governo non ha tutti i torti ad esigere chiarezza, e ad essere preoccupato. Oltre al danno, per il Paese sarebbe una beffa se quel che resta del "Salotto buono" di un tempo ritentasse uno dei suoi colpi più audaci e, purtroppo, collaudati: pubblicizzare le perdite, dopo aver privatizzato i profitti.

13/09/2006
 
Dopo lo schiaffo di Prodi vertice di Tronchetti con Padoa Sc

da www.ilsole24ore.com

Dopo lo schiaffo di Prodi vertice di Tronchetti con Padoa Schioppa


Si fa più aspra la polemica a distanza tra il presidente del Consiglio Romano Prodi e Marco Tronchetti Provera sul riassetto Telecom.


Dopo le prime smentite del presidente del Consiglio, erano girate voci e indiscrezioni di stampa di un colloquio trai due a Cernobbio durante il quale il presidente del gruppo Telecom avrebbe reso partecipe Prodi delle prospettive del gruppo. Non solo: il presidente di Telecom Italia si sarebbe impegnato con vari ministri, da D'Alema (vicepremier) a Paolo Gentiloni (comunicazioni), a non cedere il controllo, ricevendo un sostanziale via libera.
Nel pomeriggio di mercoledì la dura replica ufficiale di palazzo Chigi. Nella tarda serata Tronchetti è stato ricevuto dal ministro dell'Economia, Padoa-Schioppa, mentre da Pesaro, D'Alema ha dichiarato di essere pienamente d'accordo con la nota di Prodi ed ha aggiunto: «È necessario che nelle prossime ore si faccia chiarezza». Secondo indiscrezioni di stampa il presidente del colosso nazionale delle tlc ha espresso ai più stretti collaboratori la sua irritazione per quella che viene considerata una chiara invasione di campo della politica nella vita di una società quotata.

Due incontri, il 19 luglio e il 2 settembre.
Nel primo Marco Tronchetti Provera parlò al presidente del Consiglio del progetto per l'ingresso di Rupert Murdoch nel capitale di Telecom Italia attraverso il conferimento di Sky Italia. Nel secondo - come risulta da un comunicato diffuso dall'ufficio stampa di Romano Prodi che rende noti i contenuti dei due colloqui - il presidente del gruppo Telecom aggiornò il presidente del Consiglio, dicendo di disporre di «opzioni strategiche alternative» a Murdoch rappresentate da Time Warner e General Electric. Inoltre Telecom Italia «si sarebbe potuta rafforzare finanziariamente e patrimonialmente attraverso la dismissione della partecipata Telecom Brasile dalla quale avrebbe potuto ottenere risorse finanziarie valutabili nell'ordine di 7-9 miliardi di euro».
Nell'incontro di Cernobbio del 2 settembre, si legge nel comunicato, «il Dott. Tronchetti non ha quindi in alcun momento fatto riferimento al processo di riorganizzazione societaria che il consiglio di amministrazione di Telecom Italia ha approvato lo scorso 11 settembre».
Nel primo incontro avvenuto a Palazzo Chigi il 19 luglio - si legge nella nota - «il dott. Tronchetti ha illustrato al presidente Prodi il progetto di accordo strategico con Rupert Murdoch. Il progetto era finalizzato all'ingresso di Murdoch in Telecom Italia attraverso il conferimento della Società Sky Italia, conferimento per il quale il Gruppo Murdoch avrebbe ottenuto azioni di Telecom Italia.
Dal punto di vista industriale l'accordo si basava sulle sinergie attivabili tra le attività di rete (banda larga) di Telecom Italia e i contenuti multimediali oggetto della attività del Gruppo Murdoch. Il presidente Prodi, nel prendere atto del progetto e della sua impostazione strategica e finanziaria, si è limitato a comunicare al dott. Tronchetti che per il Governo sarebbe stato auspicabile che a seguito dell'operazione il controllo di Telecom Italia fosse rimasto in mano italiana. In aggiunta il presidente Prodi si augurava che grazie alle sinergie attivabili nella partnership, Telecom Italia avrebbe potuto avviare un processo di internazionalizzazione basato sull'esportazione nei mercati esteri del modello tecnologia/contenuti sviluppato in Italia.
Il dott. Tronchetti - si legge ancora nel comunicato - ha rassicurato il presidente Prodi che il controllo italiano rappresentava condizione negoziale irrinunciabile e che essa era stata già comunicata alla controparte. «Quanto poi all'internazionalizzazione di Telecom Italia auspicata dal presidente Prodi», Tronchetti Provera «affermava che oggetto della partnership era proprio la penetrazione dei mercati europei usando la piattaforma tecnologica sviluppata in Italia
Nel corso dell'incontro il dott. Tronchetti ha poi illustrato i tempi dell'operazione annunciando che nei primi giorni di agosto i tecnici delle due parti sarebbero dovuti giungere ad una prima serie di valutazioni ed alla stesura di un memorandum di massima che sarebbe successivamente stato discusso ed approvato dallo stesso dott. Tronchetti e Murdoch in un incontro che si sarebbe dovuto tenere verso la metà di agosto. Qualora in quell'incontro si fosse raggiunto un accordo tra le parti l'operazione sarebbe poi stata portata a compimento entro la fine di agosto.
Durante l'incontro il presidente Prodi ha poi chiesto informazioni riguardo al livello di indebitamento del gruppo Telecom Italia. A tal proposito il dott. Tronchetti ha rassicurato il presidente Prodi - si legge nel comunicato - illustrando che l'esposizione debitoria del Gruppo era in larga parte a lungo termine e a tasso fisso. In aggiunta il dott. Tronchetti metteva in evidenza come le sinergie industriali attivabili dal progetto avrebbero generato un maggiore flusso di cassa che sarebbe stato sufficiente sia per assicurare gli investimenti tecnologici necessari che per il rimborso del debito.
A conclusione del primo incontro si sono poi aggiunte considerazioni su quale sarebbe potuta essere la reazione delle autorità Antitrust in merito alla concentrazione nel mercato televisivo derivante dall'operazione. A tal proposito il dott. Tronchetti affermò che era intenzione di Telecom Italia conservare l'attività di La 7 per poterla potenziare e sviluppare anche grazie ai contenuti messi a disposizione dal gruppo Murdoch».
«Il secondo incontro - prosegue il comunicato dell'ufficio stampa di Prodi - è avvenuto a Villa d'Este il 2 settembre». In quella occasione Tronchetti Provera «ha aggiornato il Presidente Prodi sullo stato di avanzamento della trattativa con il gruppo Murdoch. A tal proposito il dott. Tronchetti, dopo aver informato che i problemi di natura fiscale che nel frattempo erano insorti per la controparte si erano risolti anche grazie all'aiuto messo a disposizione da parte dei fiscalisti di Telecom Italia, ha informato il presidente Prodi che Telecom Italia aveva assunto una posizione negozialmente più forte dato che Telecom Italia disponeva di opzioni strategiche alternative al gruppo Murdoch rappresentate rispettivamente da Time Warner e General Electric.
Di tali alternative il dott. Tronchetti aveva informato Murdoch». In secondo luogo, «Telecom Italia si sarebbe potuta rafforzare finanziariamente e patrimonialmente attraverso la dismissione della partecipata Telecom Brasile dalla quale avrebbe potuto ottenere risorse finanziarie valutabili nell'ordine di 7-9 miliardi di euro. A conclusione del colloquio - si legge ancora nel comunicato - si è fatto notare come, alla luce» dei due punti sottolineati da Tronchetti Provera, «la posizione del gruppo Murdoch fosse più debole in quanto solo la partnership con Telecom Italia rappresentava l'unica possibilità per raggiungere una adeguata massa critica sul mercato italiano.
Infine il dott. Tronchetti informava il Presidente Prodi che avrebbe incontrato Murdoch nel giro di qualche settimana. Nell'incontro di Cernobbio - conclude la nota - il dott.Tronchetti non ha quindi in alcun momento fatto riferimento al processo di riorganizzazione societaria che il consiglio di amministrazione di Telecom Italia ha approvato lo scorso 11 settembre».

No Ue alla golden share
La Commissione Europea, intanto, ha escluso che il governo possa usare il potere di veto attraverso il ricorso alla golden share nell'operazione di riassetto annunciata lunedì da Telecom Italia, che potrebbe preludere alla cessione della telefonia mobile. «Le golden share in quanto tali non hanno spazio nel mercato interno», ha chiarito il portavoce del commissario Ue al Mercato Interno, Charlie McCreevy. L'ipotesi era stata avanzata da pezzi del governo Prodi (tra i più convinti il verde Pecoraro Scanio), anche se da subito aveva raccolto ben pochi consensi ai vertici dell'esecutivo, a cominciare dal ministro dell'Economia Padoa-Schioppa e dal collega responsabile delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni. «Al momento - ha aggiunto il portavoce - non abbiamo in mano nulla di concreto. Dunque non facciamo commenti su progetti ipotetici». L'uso della golden share era stato invocato da alcuni esponenti politici della maggioranza, tra i quali il segretario del Pdci Oliviero Diliberto e il ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Tuttavia il presidente del Consiglio, Romano Prodi, dalla Cina, ha risposto a chi chiedeva lumi con una battuta: «Chi ha mai parlato di golden share?».
 
Telecom: ecco il piano originario per trovare 3,5 mld

Telecom / Ecco il piano originario
per trovare 3,5 miliardi

Era prevista la vendita del 50 per cento di Tim e della rete Telecom. Telecom, a quel punto, avrebbe distribuito un maxi-dividendo di 20 miliardi di euro. di G.T.
L'Autorithy convoca i vertici.



MILANO - Ormai le polemiche intorno alla vicenda Telecom hanno raggiunto una temperatura tale che è persino difficile capire di che cosa si sta parlando. In realtà i termini del problema sono molto semplici. Proviamo a spiegarci. Per farlo bisogna ricostruire quale era, all’origine, prima dell’attuale bufera mediatica, il piano Olimpia-Telecom.

Nel gruppo Tronchetti c’è un problema, e sta annidato in Olimpia, la società non quotata che ha il 18 per cento di Telecom. Poiché Olimpia ha comprato a suo tempo le azioni Telecom a un prezzo molto più alto di quello attuale, segnato quotidianamente dalla Borsa, in Olimpia c’è uno sbilancio valutabile in circa 3,5 miliardi di euro.

Olimpia, essendo una finanziaria creata per comprare Telecom e che non ha altre risorse e/o proventi se non le azioni Telecom, non ha i mezzi per far fronte a questo sbilancio molto fastidioso. In teoria dovrebbero intervenire la Pirelli, che sta
sopra Olimpia, e i Benetton (che sono gli altri azionisti).

Ma è evidente che tanto la Pirelli quanto i Benetton non hanno voglia di tirare fuori 3,5 miliardi di euro. Allora la soluzione studiata è molto semplice: Telecom deve distribuire un maxi-dividendo, in modo da fornire a Olimpia i soldi per sanare il suo sbilancio. Poiché Olimpia ha bisogno di 3,5 miliardi, il maxi-dividendo deve essere di 20 miliardi di euro.

Ma dove si procura Telecom questi soldi? In un modo molto semplice. Basta vendere il 50 per cento di Tim e il 50 per cento della rete Telecom (tutta, non solo quella dell’accesso). Secondo gli analisti, da questa doppiia vendita Telecom dovrebbe incassare all'incirca 25 miliardi di euro, di cui 20 potrebbero appunto essere destinati a un maxi-dividendo. Questo, si dice negli ambienti finanziari milanesi.

E infatti il consiglio di Telecom ha autorizzato lo scorporo delle due attività (rete e Tim), ha autorizzato cioè la prima parte della complessa operazione. Una volta rese società autonome Tim e la rete, bisognerà andare a vedere se si trovano i partner. In questo modo Telecom continuerebbe a avere il controllo sia di Tim che della rete, ma non ci sarebbe più il fastidioso problema dello sbilancio finanziario in Olimpia.

Una storia tutta a parte, poi, è quella della Telecom Media Company, che in origine avrebbe dovuto nascere con il conferimento a una nuova società (appunto Telecom Media Company) delle attività di Sky Italia e di quelle multimediali di Telecom. Ma, per ora, tutto questo è un po’ per aria a causa della bufera che si è scatenata intorno all’intera vicenda.



(14 settembre 2006) www.letterafinanziaria.it
 

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