Tra le banche d’affari che scrivono di Brexit, provo a riassumere quanto ha affermato il team di Morgan Stanley specializzato in subordinati, che mi riesce, di tanto in tanto, di leggere.
Costoro hanno cominciato ad offrire le loro raccomandazioni a metà aprile, quando la campagna era agli inizi.
Pur considerando minoritaria l’ipotesi di Brexit, la loro tesi era, già allora, che la volatilità sarebbe aumentata e che ne avrebbero fatto le spese prima di tutto gli AT1 britannici, e, secondariamente, quelli di Paesi nei quali sono risuonate maggiormente, negli ultimi tempi, le sirene euroscettiche: Spagna (gli spagnoli votano il week-end successivo), Paesi Bassi, Austria e Francia.
La loro raccomandazione era di sfoltire l’esposizione agli AT1 di quei Paesi, sostituendola con i “safe heavens” per eccellenza: Svizzera e Scandinavia.
Non dissimile la loro raccomandazione per i T2.
MS forniva una doppia conclusione, discutibile, anche se non priva di logica: in caso di “Remain” le banche UK sarebbero schizzate verso l’alto. In caso di Brexit le banche di Paesi candidati ad una “exit” dopo gli UK avrebbero potuto cadere anche più delle banche britanniche.
Un’ultima considerazione “sociale” che veniva esposta da MS. La posizione euroscettica sarebbe più diffusa tra le generazioni più anziane, che tendono ad andare più numerose alle urne. Questa sarebbe una delle ragioni per cui, pur considerandolo meno probabile, MS non considera trascurabile il rischio di una sorpresa.