baleng
Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
CAPITOLO 19 La Pop Art
Poiché l’Espressionismo Astratto aveva egregiamente aperto la strada, gli Stati Uniti decisero di prendere definitivamente l’Europa per i fondelli e nel 1964 sbarcarono a Venezia con la Pop Art. Essa consisteva nel proporre all’incredulo pubblico quanto di peggio l’America avesse prodotto nella sua storia: bandiere USA in più copie, tanto per far capire chi comandava, insulsi fumetti ingranditi come se davvero meritassero di essere visti, hamburger che già nella realtà facevano schifo, figuriamoci riprodotti in cartapesta in scala x 50 eccetera eccetera. I nomi degli autori erano naturalmente fittizi, tutto proveniva dai segreti laboratori della CIA, pertanto qui se ne tratta solo per stare allo scherzo.
Candy Wajol , come dice il nome, fu un artista tanto zuccheroso quanto pestifero. Il suo lavoro più riuscito fu la parrucca bionda (era calvo come una patata lessa) con cui tentava di farsi passare per artista. Per succhiare più soldi, invece di dipingere ritratti a mano riproduceva fotograficamente, numerosi e a gran velocità, i volti di alcuni personaggi noti, e precisamente quelli che la CIA gli indicava attirare maggiormente l’interesse del parco buoi. In particolare produsse milioni di copie del ritratto di Marilyn Monroe perché, secondo lui, la ben nota dottrina di Monroe invitava l’America a limitare il proprio interesse a quanto fosse compreso nel suo seno. Si intendeva con ciò “nel proprio ambito”, ma vinse l’interpretazione più interessante.
Quanto a Roy Liccenstain, non aveva nemmeno il problema di scegliere il soggetto. Gli bastava ingrandire i peggiori fumetti in circolazione facendo intendere che sotto ci fosse chissà quale operazione culturale. Il tutto scoppiò come un soufflé quando fu stampato il suo primo catalogo, dove le foto dei quadri, di necessità riportate alle piccole dimensioni, erano proprio identiche ai fumetti originari. Si disse allora che Roy non valeva nulla, ma sul mercato ormai valeva moltissimo e nessuno voleva rimetterci i quattrini: fu mantenuto tra i grandi nonostante da allora nessuno abbia più comprato un suo quadro. Il nome di Pop Art deriva appunto dal suono di questo scoppio, tipo soufflé, sul mercato dell’arte.
In Italia il fenomeno fu spudoratamente copiato da migliaia di imbrattatele: l’aquila del dollaro USA si vedeva ovunque in tutte le mostre, di stelle e strisce fu invaso qualunque piccolo borgo, e in ogni casa le massaie esponevano pubblicamente zuppe in barattolo e scatole di detersivo: in tal modo si sentivano tutte grandi artiste come Wajol, e magari, se trovavano il pollo, riuscivano pure vendergli questa roba a prezzi d’affezione.
Poiché l’Espressionismo Astratto aveva egregiamente aperto la strada, gli Stati Uniti decisero di prendere definitivamente l’Europa per i fondelli e nel 1964 sbarcarono a Venezia con la Pop Art. Essa consisteva nel proporre all’incredulo pubblico quanto di peggio l’America avesse prodotto nella sua storia: bandiere USA in più copie, tanto per far capire chi comandava, insulsi fumetti ingranditi come se davvero meritassero di essere visti, hamburger che già nella realtà facevano schifo, figuriamoci riprodotti in cartapesta in scala x 50 eccetera eccetera. I nomi degli autori erano naturalmente fittizi, tutto proveniva dai segreti laboratori della CIA, pertanto qui se ne tratta solo per stare allo scherzo.
Candy Wajol , come dice il nome, fu un artista tanto zuccheroso quanto pestifero. Il suo lavoro più riuscito fu la parrucca bionda (era calvo come una patata lessa) con cui tentava di farsi passare per artista. Per succhiare più soldi, invece di dipingere ritratti a mano riproduceva fotograficamente, numerosi e a gran velocità, i volti di alcuni personaggi noti, e precisamente quelli che la CIA gli indicava attirare maggiormente l’interesse del parco buoi. In particolare produsse milioni di copie del ritratto di Marilyn Monroe perché, secondo lui, la ben nota dottrina di Monroe invitava l’America a limitare il proprio interesse a quanto fosse compreso nel suo seno. Si intendeva con ciò “nel proprio ambito”, ma vinse l’interpretazione più interessante.
Quanto a Roy Liccenstain, non aveva nemmeno il problema di scegliere il soggetto. Gli bastava ingrandire i peggiori fumetti in circolazione facendo intendere che sotto ci fosse chissà quale operazione culturale. Il tutto scoppiò come un soufflé quando fu stampato il suo primo catalogo, dove le foto dei quadri, di necessità riportate alle piccole dimensioni, erano proprio identiche ai fumetti originari. Si disse allora che Roy non valeva nulla, ma sul mercato ormai valeva moltissimo e nessuno voleva rimetterci i quattrini: fu mantenuto tra i grandi nonostante da allora nessuno abbia più comprato un suo quadro. Il nome di Pop Art deriva appunto dal suono di questo scoppio, tipo soufflé, sul mercato dell’arte.
In Italia il fenomeno fu spudoratamente copiato da migliaia di imbrattatele: l’aquila del dollaro USA si vedeva ovunque in tutte le mostre, di stelle e strisce fu invaso qualunque piccolo borgo, e in ogni casa le massaie esponevano pubblicamente zuppe in barattolo e scatole di detersivo: in tal modo si sentivano tutte grandi artiste come Wajol, e magari, se trovavano il pollo, riuscivano pure vendergli questa roba a prezzi d’affezione.
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