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Anche per il bollo i titoli devono valer zero
Per i dissesti non deve prevalere la logica del costo o del nominale
Anche l’imposta di bollo (che è, di fatto un’imposta sul patrimonio) potrebbe aggravare la posizione dei portatori di azioni e titoli subordinati delle banche in crisi. L’articolo 3 del Dm 24 maggio 2012 regola l’applicazione dell’imposta di bollo (attualmente del 2 per mille) sulle comunicazioni periodiche inviate alle clientela relative ai dossier contenenti prodotti finanziari. In particolare deve essere assunto il valore rilevato dagli intermediari, in applicazione di disposizioni di legge, al termine del periodo rendicontato.
Lo stesso decreto precisa che l’imposta si applica sul valore di mercato o, in mancanza, sul valore nominale o di rimborso dei prodotti finanziari, calcolato al termine del periodo rendicontato ovvero al 31 dicembre di ciascun anno In mancanza dei predetti valori, si assume il costo di acquisto come desumibile dalle evidenze dell’intermediario.
Nella prassi,per i titoli sospesi dalle negoziazioni nei mercati regolamentati vengono utilizzate le quotazioni Otc (over the counter) rilevate dai provider specializzati; in assenza vengono anche utilizzati valori determinati dalle banche sulla base di sistemi di pricing interni, facendo anche riferimento ai prezzi rilevati per titoli similari che si trovino nelle medesime condizioni (si veda ad esempio quanto riferisce la circolare n. 2 del 20 febbraio 2013 della Tfa (Associazione per la tutela dei portatori dei titoli argentini). Si deve infatti evitare, per i titoli in default, che prevalga la logica del “valore nominale” o del “costo” che rappresenterebbe una palese violazione del principio di ragionevolezza oltre che di capacità contributiva.
È certo che la mancanza di specifiche indicazioni ufficiali sul comportamenti da seguire comporta da un lato il rischio di comportamenti disomogenei fra gli intermediari e dall’altro l’effetto di scaricare sugli stessi responsabilità che non dovrebbero competere loro (vedi articolo di Plus24 del 5 gennaio 2013, dal titolo “Il bollo tassa anche la carta straccia”).
Anche per l’imposta di bollo come in quello delle imposte sui redditi (vedi articolo in alto) particolarmente delicato è il caso dei titoli per i quali la Banca d’Italia ha emesso provvedimenti di riduzione integrale delle azioni e dei titoli subordinati. A maggior ragione, in assenza di prezzi negoziati, non si può che affermare che il valore di mercato sia pari a zero.
[Plus24]
Per i dissesti non deve prevalere la logica del costo o del nominale
Anche l’imposta di bollo (che è, di fatto un’imposta sul patrimonio) potrebbe aggravare la posizione dei portatori di azioni e titoli subordinati delle banche in crisi. L’articolo 3 del Dm 24 maggio 2012 regola l’applicazione dell’imposta di bollo (attualmente del 2 per mille) sulle comunicazioni periodiche inviate alle clientela relative ai dossier contenenti prodotti finanziari. In particolare deve essere assunto il valore rilevato dagli intermediari, in applicazione di disposizioni di legge, al termine del periodo rendicontato.
Lo stesso decreto precisa che l’imposta si applica sul valore di mercato o, in mancanza, sul valore nominale o di rimborso dei prodotti finanziari, calcolato al termine del periodo rendicontato ovvero al 31 dicembre di ciascun anno In mancanza dei predetti valori, si assume il costo di acquisto come desumibile dalle evidenze dell’intermediario.
Nella prassi,per i titoli sospesi dalle negoziazioni nei mercati regolamentati vengono utilizzate le quotazioni Otc (over the counter) rilevate dai provider specializzati; in assenza vengono anche utilizzati valori determinati dalle banche sulla base di sistemi di pricing interni, facendo anche riferimento ai prezzi rilevati per titoli similari che si trovino nelle medesime condizioni (si veda ad esempio quanto riferisce la circolare n. 2 del 20 febbraio 2013 della Tfa (Associazione per la tutela dei portatori dei titoli argentini). Si deve infatti evitare, per i titoli in default, che prevalga la logica del “valore nominale” o del “costo” che rappresenterebbe una palese violazione del principio di ragionevolezza oltre che di capacità contributiva.
È certo che la mancanza di specifiche indicazioni ufficiali sul comportamenti da seguire comporta da un lato il rischio di comportamenti disomogenei fra gli intermediari e dall’altro l’effetto di scaricare sugli stessi responsabilità che non dovrebbero competere loro (vedi articolo di Plus24 del 5 gennaio 2013, dal titolo “Il bollo tassa anche la carta straccia”).
Anche per l’imposta di bollo come in quello delle imposte sui redditi (vedi articolo in alto) particolarmente delicato è il caso dei titoli per i quali la Banca d’Italia ha emesso provvedimenti di riduzione integrale delle azioni e dei titoli subordinati. A maggior ragione, in assenza di prezzi negoziati, non si può che affermare che il valore di mercato sia pari a zero.
[Plus24]