dalla suizzera

Bruxelles chiude le porte a Berna

Sull'introduzione di contingenti l'Unione europea non intende discutere - DÌ LA TUA
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BERUXELLES/BERNA - L'Unione europea non è intenzionata a discutere con la Svizzera di contingentamento di stranieri. La Commissione UE reagisce così alla richiesta elvetica presentata oggi di modificare l'Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC). In una breve presa di posizione l'UE ribadisce che non accetterà l'introduzione di limiti alla presenza di cittadini stranieri e che le trattative non rappresentano un'opzione. Queste le parole dell'Alto rappresentante Ue Catherine Ashton, affidate alla sua portavoce: la Commissione "esaminerà la richiesta" ricevuta dalle autorità svizzere, di revisione dell'accordo, ma "non ha intenzione di rinegoziarlo con l'obiettivo di introdurre quote e preferenze nazionali". "Come già ripetuto nei mesi scorsi, le quote sono contrarie ai Trattati" e "negoziarle non è un'opzione per la Commissione".
 
C’è un Eldorado
oltre confine,
basta sfruttarlo
Un nuovo equilibrio fra banche
svizzere e imprese italiane, in
particolare insubriche. Obiettivo:
l’integrazione economico-finanziaria
in uno spazio transfrontaliero.
Se ne discute a fasi alterne,
ma lo studio “La banca ticinese e
l’impresa del Nord Italia. Opportunità
d’integrazione transfrontaliera”
di René Chopard, direttore
del centro studi bancari, e del
professore Gioacchino Garofoli,
rappresenta un salto di qualità e
offre un importante contributo
operativo. Già altri economisti,
come Remigio Ratti e Alberto
Bramanti, si sono domandati se
non sia giunto il momento di ragionare
su una strategia di collaborazione
strutturata tra piazza
bancaria ticinese e imprese insubriche.
L’adesione alle norme Ocse
sulla trasparenza bancaria, la
posizione della Finma (Autorità
federale di vigilanza sui mercati
finanziari) sul rispetto delle norme
fiscali straniere e la sottoscrizione
di nuovi accordi sullo
scambio di dati sui
conti bancari, provocheranno
cambiamenti
epocali
nelle relazioni finanziarie
e bancarie tra
Svizzere e resto del
mondo.
“Da una gestione
meramente finanziaria
offshore si
passa a una gestione
cross-border, che
tiene conto sia della variabile fiscale
che delle normative dei
Paesi di provenienza dei clienti -
spiega Gioacchino Garofoli, docente
dell’Università dell’Insubria
-. Attraversiamo un momento
di forte discontinuità e il sistema
bancario è costretto a evolve-
Oggi fa affari con le banche ticinesi
solo il 5% delle imprese insubriche
 
Ticino, mercato del lavoro deteriorato

Rapporto SECO: 624.000 impieghi in più dal 2002 in Svizzera grazie alla libera circolazione
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BERNA - La libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea ha ampiamente contribuito alla forte crescita degli impieghi nella Confederazione. Dal 2002, il numero di persone attive professionalmente è progredito di 624.000 unità. Circa la metà erano immigrati e frontalieri. Il loro arrivo non ha avuto ripercussioni negative sulla disoccupazione. È quanto sostiene la Segreteria di Stato dell'economia (SECO), che ha pubblicato oggi un rapporto al riguardo, nel quale ammette che in Ticino "la situazione del mercato del lavoro potrebbe essersi maggiormente deteriorata rispetto alla Svizzera tedesca".
Nel 2013, l'immigrazione dai Paesi membri dell'Ue è fortemente aumentata in Svizzera, con un saldo netto di 66.200 persone, una cifra mai raggiunta dall'introduzione della libera circolazione nel 2002. Oltre il 60% degli immigrati sono venuti nella Confederazione per lavorare. Si tratta essenzialmente di una manodopera specializzata, poiché nel secondo trimestre 2013 il 58% di tutte le persone attive professionalmente in provenienza dalla zona Ue disponeva di un titolo universitario, di un diploma SUP o di una formazione professionale superiore. Soltanto il 14% non aveva seguito una formazione scolastica post obbligatoria. A titolo di paragone, il 48% delle persone attive in Svizzera di età compresa tra i 30 e i 39 anni aveva una formazione superiore e il 9% non disponeva di alcun diploma post obbligatorio. Gli immigrati europei erano quindi sovrarappresentati rispetto alla popolazione svizzera, sia nelle qualifiche più elevate che in quelle più basse.
Nonostante la forte immigrazione dei lavoratori nel corso degli ultimi dodici anni, le statistiche indicano che la disoccupazione non è praticamente mutata rispetto agli anni Novanta. Tra sviluppo e crisi, secondo gli autori l'economia svizzera ha assorbito bene la libera circolazione, approfittando soprattutto dell'arrivo di personale qualificato. Per quanto riguarda il Ticino, nel rapporto si rileva che sebbene l'impiego dei frontalieri sia fortemente cresciuto tra il 2002 e il 2013 (+5,7% all'anno), l'aumento relativo del tasso di disoccupazione è stato in confronto "moderato".
In Svizzera, i salari reali sono aumentati dello 0,7% nel corso degli undici anni che hanno seguito l'introduzione dell'accordo, contro lo 0,2% negli anni Novanta, stando ai dati dell'Ufficio federale di statistica (UST). L'insieme della scala dei salari ne ha approfittato. I lavoratori qualificati hanno beneficiato leggermente meno della crescita. I bassi salari non hanno invece subito un'erosione grazie alle misure di accompagnamento, precisa il rapporto.

9.07.2014 - 11:00
 
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Avvistata nel Ceresio la grande balena

La sua coda spunta vicino a Rivetta Tell, l'opera d'arte è in sagex impermeabilizzato
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LUGANO - È stata liberata questa notte nel Ceresio, con l'aiuto di alcuni sommozzatori, la grande balena (probabilmente una balenottera comune). Il cetaceo era stato "curato" per circa tre settimane in un capannone della Stampa dagli artisti Alex Dorici e Stefano Ferretti (in collaborazione con Cesare De Vita) e poi lasciata nuotare liberamente vicino a Rivetta Tell.
Si tratta ovviamente di un'opera d'arte - in sagex impermeabilizzato - dal titolo "Save the whale", apparsa tra l'altro il giorno in cui in Città viene inaugurato LongLake. Un progetto surreale, realizzato in partnership con il Dicastero Giovani e che misura oltre 7 metri d'altezza.
La balena potrebbe nuotare nel lago fino alla fine del Festival o, addirittura, fino alla fine dell'estate.
 
Settore in crescita -


Lugano sfida Zugo e Ginevra


Il canton Ticino punta sul trading di commodity


Nell’area operano già 90 società private

LO SCENARIO In Ticino l’attività è in progresso e copre circa il 2% del Pil, il commercio si concentra su oro, petrolio, acciaio, ferro e carbone
Il Canton Ticino vuole giocare la carta del trading di materie prime. Da sempre centrata soprattutto sul private banking, la piazza ticinese tenta di difendere quest’ultimo (suo core business storico) ma cerca anche nel contempo una maggiore diversificazione. L’associazione Ticino for Finance, che è un’iniziativa congiunta di organizzazioni economiche private e di enti pubblici e che punta alla difesa e allo sviluppo della piazza finanziaria, ha identificato tra gli altri due settori candidati a un potenziamento della presenza nel cantone: trading di materie prime e fondi di investimento.
Per i fondi non mancano alcuni esempi di nuovi insediamenti, ma è soprattutto il trading ad aver dato segnali di maggiore presenza. Negli ultimi due-tre anni circa una ventina di imprese legate al trading di materie prime ha scelto di esser presente in Ticino. Il che, secondo la Lugano commodity trading association (Lcta), ha fatto salire a 80-90 il numero complessivo di società del settore attive nel cantone. I posti di lavoro legati al settore in Ticino hanno superato i 1.000 e sembrano ora poter marciare verso i 1.500, sempre secondo le valutazioni Lcta.
Accanto a presenze tradizionali, tra cui quella del gruppo con radici italiane Duferco, posizionato da tempo nell’acciaio, a Lugano vi sono così ora nuove presenze. Con arrivi tra l’altro da Russia, Gran Bretagna, Ucraina, Balcani, Kazakhstan. Nel complesso, le materie prime su cui più si commercia dal cantone sono acciaio, ferro, carbone, gas, petrolio. Senza dimenticare l’oro, visto che in Ticino ci sono raffinerie di metallo giallo.

Le piazze maggiori di commodity trading in Svizzera sono Zugo e Ginevra. La Confederazione in totale ha sul suo territorio circa 500 società di trading di materie prime, con 10mila addetti nel complesso. Questa attività rappresenta da sola circa il 3,5% del prodotto interno lordo elvetico. I numeri citati di Lugano non raggiungono quelli di Zugo o Ginevra, ma sono in crescita. Il commodity trading già ora fa circa il 2% del pil del Ticino e l’obiettivo a livello cantonale è rafforzare ancor più la terza posizione in Svizzera. La Lugano commodity trading association – nel cui board sono, oltre a Duferco, Petraco, Flame Sa, Novex Trading – indica le potenzialità ulteriori e risponde a critiche e scetticismi.
A chi fa notare le difficoltà nel poter trovare uno spazio sufficiente per il Ticino tra i grandi poli del trading – non solo gli altri due svizzeri, ma anche big come Londra e Singapore – Marco Passalia, segretario della Lcta, risponde sottolineando i risultati già ottenuti in questi anni, sulla base di alcuni fattori oggettivi. Insomma il Ticino è parte del sistema Svizzera con tutte le sue strutture funzionanti, ha una buona qualità di vita, è in uno dei crocevia principali tra Nord e Sud Europa.
Ticino for Finance, dal canto suo, vede bene il commodity trading in una chiave di riequilibrio. Per il presidente di Tff, Franco Citterio, che è anche direttore dell’Associazione bancaria ticinese, è chiaro che il private banking resterà anche in futuro un’attività rilevante per la piazza ticinese, (anche in questo caso Lugano ha il terzo posto in Svizzera, alle spalle di Zurigo e Ginevra), pure se non più ai livelli dei picchi di anni passati. Ma è altrettanto chiaro che un po’ più di diversificazione per i prossimi anni può far bene. È una sfida e nella prossima fase si vedrà quale percorso avrà la scommessa del trading con targa ticinese.
 
C'è chi ha tanta voglia di rivotare

Post 9 febbraio, il PDB vuole tornare alle urne il prima possibile e il PPD studia un'iniziativa
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BERNA - È piccolo, ma non perde occasione per profilarsi sui grandi temi del momento. Dopo essere stato il partito dell'abbandono dell'energia nucleare, e il partito della transizione del segreto bancario allo scambio automatico di informazioni, al PBD piacerebbe diventare il partito che salva le relazioni bilaterali con l'Unione europea.
A palazzo federale, mentre la sessione parlamentare scorre tranquilla da una trattanda all'altra, aleggia lo spirito del 9 febbraio, del sì popolare all'iniziativa contro l'immigrazione di massa. Che fare? I partiti vorrebbero fare qualcosa, ma di fatto la palla in questo momento è nel campo del Consiglio federale: il governo ha chiesto a Bruxelles di rinegoziare l'accordo sulla libera circolazione e ha ricevuto, come previsto, una prima risposta negativa; entro la fine dell'anno presenterà una proposta dettagliata per l'applicazione del testo UDC.
Nel frattempo i parlamentari si spremono le meningi: tra le fila della sinistra si punta a un'applicazione light, «così come è già stato fatto ad esempio per l'iniziativa delle Alpi», nota la presidente dei Verdi Adèle Thorens. Il PLR resta invece fedele al «proprio» ministro degli esteri Didier Burkhalter, invitando a lasciar lavorare il governo. Il PPD riflette a un'iniziativa popolare che ancori gli accordi bilaterali nella costituzione, ma per il momento si è limitato a votare una risoluzione che mira a preservare la relazione con l'UE.
Il PBD vuole mettere tutti d'accordo e ha estratto dal cappello l'idea di un'iniziativa parlamentare per un nuovo articolo costituzionale: se il parlamento approvasse l'iniziativa, spetterebbe alla commissione competente elaborare una base legale che sarebbe poi sottoposta al giudizio popolare. Due le domande cui i cittadini dovrebbero rispondere: se vogliono mantenere gli accordi bilaterali con l'UE; e se vogliono limitare l'immigrazione con un sistema incitativo rivolto all'economia anziché con i contingenti. L'idea è di Hans Grunder, consigliere nazionale ed ex presidente del PBD, che ha trovato l'appoggio di un socialista, Roger Nordmann, il quale si distanza dalla linea del proprio partito. «Un'applicazione parziale dell'iniziativa non farebbe che dare all'UDC l'occasione di gridare allo scandalo», spiega Nordmann.
Ora Grunder e il PBD cercano alleati, e lo sguardo si rivolge innanzitutto al PPD, con cui è già avviata una collaborazione in vari ambiti. Il presidente Christophe Darbellay dice di condividere il punto di vista di Grunder secondo cui l'economia deve metterci del suo per una migliore gestione dell'immigrazione. Tuttavia «non bisogna correggere il voto del 9 febbraio, poiché significherebbe non rispettare la volontà popolare». Il PPD riflette all'eventualità di lanciare un'iniziativa popolare per ancorare gli accordi bilaterali nella Costituzione. I due articoli – quello del 9 febbraio e quello nuovo, se accolto dal popolo – avrebbero così uguale valore.


11.09.2014 - 06:00
 
Meet The Mysterious Firm That Is About To Leave Blythe Masters Without A Job



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It was about a month ago when it was revealed that the infamous JPMorgan physical commodities group, plagued by both perpetual accusations of precious metal manipulation and legal charges most recently with FERC for $410 million that it had manipulated electricity markets, was in exclusive talks to be sold to Geneva-based Marcuria Group. It was also revealed that Blythe Masters, JPMorgan’s commodities chief, "probably won’t join Mercuria as part of the deal." Of course, we all learned the very next day that Ms. Masters - an affirmed commodities market manipulator - and soon to be out of a job, had shockingly intended to join the CFTC trading commission as an advisor, a decisions which was promptly reversed following an epic outcry on the internet. This is all great news, but one thing remained unclear: just who is this mysterious Swiss-based company that is about to leave Blythe without a job?
Today, courtesy of Bloomberg we have the answer: Mercuria is a massive independent trading behemoth, with revenue surpassing a stunning $100 billion last year, which was started less than ten years ago by Marco Dunand and Daniel Jaeggi, who each own 15% of the firm's equity. And it probably should come as no surprise that the company where the two traders honed their trading skill is, drumroll, Goldman Sachs.


Dunand and Jaeggi first met studying economics at the University of Geneva in the late 1970s. Their friendship was galvanized a few years later working for grain trader Cargill Inc. and sharing an apartment while on a training course in Minneapolis. Mercuria’s corporate strategy and culture have reflected the professional paths of its founders, who spent the bulk of their early careers at investment banks.

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They left Cargill in 1987 for Goldman Sachs’s J. Aron unit in London. They stayed until 1994, then joined Phibro for a five-year stint when it was controlled by Salomon Brothers.

That experience defined the trading strategies of Dunand and Jaeggi who moved from Phibro to start Sempra’s European and Asian trading business in 1999 before founding Mercuria in 2004.

Without a commanding position in any region or commodity, the firm has sought out bottlenecks and imbalances in niche markets and positioned itself to make money trading derivatives using insights gained from its physical trading. In its early days it profited by opening a trade route shipping Russian crude to China from Gdansk, Poland.

Mercuria also differs in tone. At its headquarters on Geneva’s poshest shopping street, traders and executives wear open-collared shirts, sweaters and jeans, a sharp contrast to the shirt-and-tie policies at more established firms.
Not surprisingly, some of the key hires in the past couple of years as the firm expanded at a breakneck pace and added some 570 people, bringing its total headcount to 1,200, were from Goldman: "The hires include Houston-based Shameek Konar, a former managing director with Goldman Sachs Group Inc. who is chief investment officer overseeing Mercuria’s corporate development, including the JPMorgan negotiations. Victoria Attwood Scott, Mercuria’s head of compliance, also joined from Goldman Sachs." We find it not at all surprising that the Goldman diaspora is once again showing JPMorgan just how it's done.
So just how big is Mercuria now? Well, it is almost one of the biggest independent commodities traders in the world:


Mercuria traded 182 million metric tons of oil or oil equivalent in 2012, according to its website. Vitol, the largest independent oil trader, handled 261 million and Trafigura traded 102.8 million tons of oil and petroleum products. Brent crude rose 3.5 percent that year in a fourth annual advance. It slipped 0.3 percent in 2013 and is down 2.6 percent this year at about $108 a barrel.

With more trading companies trying to gain an edge by owning businesses that produce, store or process commodities, Mercuria followed suit. It now has stakes in a coal mine in Indonesia, oil and gas fields in Argentina, oil storage in China and a biodiesel plant in Germany. In June, it invested $50 million in a Romanian gas producer.

The JPMorgan unit employs about 600 and represents a range of assets assembled over decades by firms including Bear Stearns Cos. and RBS Sempra, which the bank bought during an acquisition binge beginning in 2008.

They include gas and power trading on both sides of the Atlantic, physical assets spanning 40 locations in North America, an oil-trading book with a supply and offtake contract with the largest refinery on the U.S. East Coast, 6 million barrels of storage leases in the Canadian oil sands, and Henry Bath & Sons Ltd., a 220-year-old metal-warehouse operator based in Liverpool, England.
In other words, the old boys' club is about to get reassembled, only this time even further away from the supervision of the clueless, corrupt and incompetent US regulators. And with the physical commodity monopoly of the big banks finally being unwound, long overdue following its exposure here and elsewhere over two years ago, it only makes sense that former traders from JPM and Goldman reincarnate just the same monopoly in a jurisdiction as far away from the US and Fed "supervision" as possible. Which also means that anyone hoping that the great physical commodity warehousing scam is about to end, should not hold their breath.
As for the main question of what happens to everyone's favorite commodity manipulator, "It hasn’t been determined whether Blythe Masters, who has led the JPMorgan unit since 2006 and orchestrated the buying spree, would join Mercuria, a senior executive at Mercuria said." Which means the answer is a resounding no: after all who needs the excess baggage of having a manipulator on board who got caught (because in the commodity space everyone manipulates, the trick, however, is not to get caught).
Finally, with "trading" of physical commodities, which of course include gold and silver, set to be handed over from midtown Manhattan to sleep Geneva, what, if any, is the endgame?


The talks with JPMorgan forced Mercuria to put another deal on hold. Mercuria was nearing the sale of an equity stake of 10 percent to 20 percent to Chinese sovereign wealth fund State Development & Investment Co., according to two people familiar with the matter. The discussions with SDIC were halted once Mercuria neared the JPMorgan business, one of the people said.
But they will be promptly resumed once JPM's physical commodities unit has been sold, giving China a foothold into this most important of spaces. Because recall what other link there is between China and JPM?
China's Largest Conglomerate Buys Building Housing JPMorgan's Gold Vault
One may almost see the connection here.
 
Mercuria rileva da Jp Morgan attività nelle materie prime



La società svizzera entra nella Serie A del trading

Fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori sono in pochi ad averla mai sentita nominare. E forse Mercuria non diventerà famosa nemmeno in futuro. Eppure da ieri è una vera e propria potenza, capace probabilmente di condizionare l’andamento dei mercati di molte materie prime e di rivaleggiare con le maggiori case di trading indipendentei del mondo: big del calibro di Glencore Xstrata, Vitol e Trafigura.
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BLOOMBERG Una carriera insieme. I fondatori di Mercuria, Marco Dunand e Daniel Jaeggi La società svizzera, battezzata in onore di Mercurio, il dio romano del commercio, ha ora in mano le attività di Jp Morgan sui mercati fisici delle commodities: le ha acquistate, come da anticipazioni di stampa che circolavano dall’inizio di febbraio, per 3,5 miliardi di dollari in contanti. Portando a casa asset strategici importantissimi, soprattutto per il trading di petrolio e prodotti raffinati in Nord America – mercato sempre più interessante grazie allo shale – e per le operazioni nei metalli industriali. Tra questi figurano stoccaggi da 6 milioni di barili di greggio nell’Alberta, provincia nel cuore delle oil sands canadesi, un contratto di fornitura per la maggiore raffineria della costa orientale degli Usa e la Henry Bath, che gestisce un centinaio di magazzini metalli del London Metal Exchange, che Jp Morgan aveva a sua volta assorbito solo nel 2010 attraverso l’acquisizione di Rbs Sempra, ma che si era ben presto rivelata un grattacapo, come del resto tutte le operazioni sulle commodities fisiche.
Soprattutto, ma non solo, negli Stati Uniti è cresciuta moltissimo l’attenzione dei regolatori verso i possibili conflitti di interesse e i rischi finanziari per le banche che non solo operano sui future su materie prime, ma possiedono anche asset come stoccaggi di combustibili o di metalli, pipelines, centrali elettriche e in qualche caso addirittura petroliere. La Federal Reserve, in particolare, sollecitava fin dal 2012 Jp Morgan a vendere la Henry Bath, mentre di recente ha avviato una consultazione pubblica in vista di un irrigidimento delle norme che regolano le attività delle banche nelle commodities (si veda Il Sole 24 Ore del 15 gennaio).

Jp Morgan resterà attiva sui mercati finanziari delle materie prime (compreso quasi certamente l’Lme, di cui è membro di prima categoria e market maker). Inoltre conserverà la gestione dei caveaux per la custodia di metalli preziosi. L’operazione di ieri segna tuttavia un radicale disimpegno dalle materie prime, settore in cui nel giro di pochi anni era diventata uno dei leader indiscussi, con una potenza di fuoco simile a quella di Goldman Sachs e Morgan Stanley: una fortuna costruita in gran parte rilevando "pezzi" di colossi crollati per ragioni diverse: da Enron a Bear Sterns.
Anche altre grandi banche – alle prese con regole più severe e mercati meno generosi – hanno ridimensionato nei mesi scorsi la presenza nelle materie prime: tra queste la stessa Morgan Stanley (che ha ceduto il trading fisico di petrolio alla russa Rosneft), Deutsche Bank e Bank of America-Merrill Lynch. E in molti casi ad approfittare della situazione sono state proprio le società di trading, che sono sottoposte a una vigilanza molto meno severa, specie se non sono quotate in Borsa. Proprio come Mercuria, che è tuttora controllata (con un 30% complessivo) dai due fondatori: Marco Dunand e Daniel Jaeggi, due cinquantenni svizzeri che si sono conosciuti sui banchi dell’Università di Ginevra e che prima di mettersi in proprio, nel 2004, hanno percorso insieme tutte le tappe di una strepitosa carriera di traders, passando attraverso Cargill, Phibro, Sempra e Goldman Sachs.
In soli dieci anni la loro creatura, Mercuria, ha aumentato il numero dei dipendenti da 10 a 1.200 (cui potrebbero ora aggiungersene altri 600 da Jp Morgan) e ha allargato il suo raggio di azione a tutto il mondo, espandendosi dal trading di petrolio a quello di tutte le materie prime. Chi ne ha visto i bilanci (documenti riservati, come ogni altra cosa in Mercuria) riferisce che il suo giro di affari nel 2013 ha superato per la prima volta 100 miliardi di dollari, con profitti oltre a 400 milioni. Le operazioni di Jp Morgan, la cui acquisizione sarà completata già nel terzo trimestre, ne hanno generati per 750 milioni.
 
Ubs, in Francia rischia una multa da cinque miliardi


I FATTI Secondo i giudici transalpini i promotori della banca avrebbero proposto a facoltosi risparmiatori di occultare fondi in Svizzera
Ubs, la maggior banca elvetica, starebbe rischiando una maximulta di circa 5 miliardi di euro in una vertenza con la giustizia francese. Quest’ultima accusa il gigante bancario svizzero di riciclaggio aggravato del provento di frode fiscale e di reclutamento illecito di clienti in Francia. È quanto ha scritto il quotidiano elvetico Le Temps, che afferma di basarsi su un documento giudiziario francese. Ubs dal canto suo ha affermato che si tratta di speculazioni.
Il giornale ha citato un’ordinanza dei giudici istruttori che il 23 luglio scorso hanno imposto a Ubs una cauzione di 1,1 miliardi di euro da versare entro il 30 settembre. La banca ha confermato nei giorni scorsi di averla pagata, pur aggiungendo di voler ricorrere in Cassazione. Il quotidiano ha scritto di aver ottenuto conferma da fonte giudiziaria francese che il ricorso alla Cassazione, che non ha un effetto sospensivo, è stato inoltrato. Stralci dell’ordinanza in cui i giudici parigini Guillaume Daïeff e Serge Tournaire indicano, nero su bianco, l’ammontare della multa prospettata a Ubs, ha aggiunto il giornale, sono stati pubblicati in Francia dal sito Mediapart.

La banca rossocrociata, secondo fonti citate dai media, è accusata di aver consentito dal 2004 al 2012 ad alcuni suoi agenti commerciali di recarsi da clienti facoltosi in Francia, in violazione della legge, per proporre meccanismi con cui occultare parte dei loro depositi oltre frontiera. Per nascondere le transazioni sarebbe stata messa in campo anche una doppia contabilità. Le indagini contro Ubs erano partite all’inizio del 2012. Nel giugno 2013 contro la banca era stato aperto un procedimento formale di incriminazione (mise en examen) per «vendita bancaria o finanziaria illecita». Allora la cauzione fissata era però di 2,875 milioni di euro. Lo scorso 23 luglio è seguita anche un’indagine per «riciclaggio aggravato (del provento, ndr) di frode fiscale», con l’aumento della cauzione a 1,1 miliardi di euro, corrispondente al 42,6% dell’ultimo anno di utili dopo imposte e al 2,8% dei fondi propri di Ubs.
Ubs ha sempre contestato le accuse, ha denunciato un procedimento giudiziario «altamente politicizzato» e ha chiesto di essere trattata «in conformità con la giurisprudenza vigente e sulla base degli elementi fattuali che figurano nel dossier». Ubs ha anche fatto sapere di essere disposta, oltre che a ricorrere in Cassazione, a portare eventualmente il caso alla Corte europea. Il titolo Ubs ieri a Zurigo è sceso dello 0,86%.
Intanto, c’è da registrare anche che un ex operatore svizzero di Ubs, accusato di manipolazioni del tasso di riferimento Libor, ha contestato la competenza dei tribunali Usa nel giudicarlo. Si tratta di «un tentativo senza precedenti di espandere la portata extraterritoriale della legge penale degli Stati Uniti», ha argomentato in una istanza presentata ad una Corte federale di New York, secondo Reuters. Il Dipartimento di Giustizia americano aveva presentato una denuncia nei suoi confronti per truffa nel dicembre 2012. Gli avvocati dell’operatore affermano che l’unico rapporto tra la sua asserita condotta e gli Stati Uniti è il fatto che il tasso di riferimento finanziario sia stato pubblicato da terzi negli Usa, «come in ogni altro paese del mondo».
 

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