Giustino Caposciutti

Dopo aver trasportato tutti i quadri, circa 700, da Torino ad Arezzo li avevo sistemati provvisoriamente in un pianterreno piuttosto ampio a casa di un mio parente alla periferia della città.
A fine luglio c'è stato nella zona un nubifragio e l'acqua è penetrata nel locale facendo un laghetto di una decina di cm.
I quadri che erano a terra, un centinaio, si sono inzuppati e ho dovuto buttarli.
Qualcuno l'ho recuperato, altri sono lì in attesa di una decisione.
Questo che ho pubblicato l'ho tenuto perchè mi pare che l'acqua abbia fatto un buon lavoro.
Una bella sfortuna, mi dispiace, non lo sapevo.
Nel 2013 ho avuto l'opportunità di visitare lo studio di Velasco a Milano, e anche lui era appena reduce da una disavventura del genere. Se non ricordo male, gli era crollata una parete dello studio, mi sembra per dei lavori che stava facendo il vicino.
 
[QUOTE="giustino, post: 1045924282, member: 38400"]Dopo aver trasportato tutti i quadri, circa 700, da Torino ad Arezzo li avevo sistemati provvisoriamente in un pianterreno piuttosto ampio a casa di un mio parente alla periferia della città.
A fine luglio c'è stato nella zona un nubifragio e l'acqua è penetrata nel locale facendo un laghetto di una decina di cm.
I quadri che erano a terra, un centinaio, si sono inzuppati e ho dovuto buttarli.
Qualcuno l'ho recuperato, altri sono lì in attesa di una decisione.
Questo che ho pubblicato l'ho tenuto perchè mi pare che l'acqua abbia fatto un buon lavoro.[/QUOTE]

Giustino secondo la tua esperienza, quanti quadri/opere può produrre un artista nella sua carriera?
Bellissima storia la tua :bow:
 
Giustino secondo la tua esperienza, quanti quadri/opere può produrre un artista nella sua carriera?
Bellissima storia la tua :bow:

Secondo me bisogna distinguere fra artisti che hanno un mercato e quindi sono pressati da continue richieste e coloro che non hanno mai avuto un vero mercato ed hanno messo al primo posto la ricerca di soluzioni sempre nuove e differenti.

Chi ha un mercato può produrre lavori in quantità industriale facendosi aiutare da assistenti vari.
Quindi nell'arco di 50 anni può produrre anche decine di migliaia di lavori.

Chi come me ogni volta che fa un lavoro è mosso da una motivazione interna e lo fa per puro piacere e desiderio di scoperta produce senzaltro molto meno, qualche migliaio.

E' questione di qualità più che di quantità.
Ed anche di dimensione e complessità di ogni opera. Perchè un conto è fare un'opera in 1/2 ore ed un altro è farla in 1/2 settimane o mesi.

Non so di preciso quanto io abbia prodotto. Fra dipinti, incisioni, performance di arte partecipata... penso intorno ai 1500 lavori.
Di questi, 2/300 li ho distrutti, altri si sono distrutti da soli quindi siamo intorno a 1100.

In questi 50 anni ho avuto anche un periodo di 6 anni di pausa e la maggior parte dei lavori degli ultimi anni sono di grandi dimensioni anche 2/3 metri e ognuno di questi mi ha richiesto almeno 15 gg. di lavoro, senza contare i lavori di Arte Partecipata che talvolta mi hanno richiesto anche più di 1 anno di impegno ognuno. E dopo un impegno così gravoso mi prendo sempre un periodo di relax.

Dubito che chiunque faccia un percorso dove ogni lavoro ha una sua identità anche solo un pochino diversa dai precedenti riesca a fare più di 2000 quadri in 50 anni.
 
Ultima modifica:
Mi propongo di leggere tutti gli interventi del 3D, intanto ti incoraggio a scrivere tutto ciò che vuoi qui senza timore di essere censurato. Tutto sta solo al buon senso di non farne un mercato a cielo aperto, che non è il caso tuo.
Il forum si regge sull'autoregolamentazione, altre regole non servono.
 
Mi propongo di leggere tutti gli interventi del 3D, intanto ti incoraggio a scrivere tutto ciò che vuoi qui senza timore di essere censurato. Tutto sta solo al buon senso di non farne un mercato a cielo aperto, che non è il caso tuo.
Il forum si regge sull'autoregolamentazione, altre regole non servono.

Fortunatamente non ho mai avuto un vero bisogno di vendere quadri per avere il necessario per vivere.

E' successo che negli ultimi mesi ho maneggiato tutti i lavori immagazzinati e fatti nel corso degli ultimi 50 anni e ho ri-scoperto un sacco di cose che avevo dimenticato e messo da parte.
Scrivere la mia storia anche solo a grandi linee come sto facendo prima di tutto serve a me, a riflettere sulle cose che hanno caratterizzato la mia vita e mi serve di farlo ora che ancora la memoria mi assiste e prima che, eventualmente, lo facciano altri che ovviamente non conoscendo i dettagli del mio percorso potrebbero fare solo una ricostruzione parziale e/o sbagliata.
 
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Ed eccoci arrivati al passaggio cruciale per me.

I segni dipinti che attraversano lo spazio mi appaiono come una "violenza" e una interferenza nella struttura del tessuto e mi domando come superare questa cosa e così quando nella primavera del 1975 al Balon, il mercato delle pulci di Torino, vedo 2 pezze di stoffa grezze attraversate da fili colorati capisco che un segno interno, che scaturisce dalla trama o dall'ordito è proprio quello che sto cercando.

Li elaboro con un intervento minimo di 2 segni ad acrilico creando una relazione fra i fili colorati e l'insieme

Relazioni 5 - 1975 - acrilico su tela - cm.70x50
1-79-70x50.JPG


Relazioni 6 - 1975 - acrilico su tela - cm.70x50
1-79-70x50 1.JPG


Dopo di che passo a fare direttamente degli interventi di sottrazione di fili e poi,
dopo averli colorati di reinserirli al loro posto all'interno della tela.
Pittura prigioniera - 1975 - tecnica mista - cm. 60x40
1-75-60x40.JPG


E poi anche con dei fili che fuoriscono parzialmente dalla struttura della tela

Pittura libera/pittura prigioniera-1975- tecnica mista cm 60x50
1-p28-001.JPG
 
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Continuai a fare quadri di detessitura/ritessitura per diversi mesi finchè ad ottobre ebbi la "brillante" idea di accettare l'invito di andare a lavorare in un grande centro per disabili psichici. CLPS (Centro di Lavoro Protetto Specializzato) nel quartiere delle Vallette.

C'ero andato un paio di volte in visita ed avevo visto qualche dipinto fatto dagli utenti e così dietro la promessa che avrei potuto fare esclusivamente attività di pittura accettai.

Purtroppo la realtà si rivelò subito diversa da come me l'avevano dipinta e da come me l'ero immaginata e che di fronte ad abusi, violenze, non potevo tirarmi indietro.

Ero finito dentro un inferno. Solo un anno prima al Laboratorio d'Igiene, avevo un lavoro ben retribuito, rispettato... e qui c'era chi mi sputava addosso chi voleva menarmi, chi anche fra i colleghi ce l'aveva con me perchè ero in una situazione privilegiata, perchè ero lì come educatore/artista.

Nel centro c'erano 180 utenti, adulti, con differenti tipologie di disabilità, provenienti da tutto il territorio cittadino e della prima cintura.
Erano divisi in squadre di 12/15 "operai" ciascuna con a capo un istruttore. La metodologia educativa era basata sull'ergoterapia (terapia attraverso il lavoro). Ogni squadra infatti era addetta a produrre qualcosa, c'era chi assemblava scatole di cartone, chi montava penne biro, chi fanali o freni di bici e moto, chi faceva lavori di falegnameria...
C'era anche un gruppo chiamato Centro Occupazionale dove erano accolti gli utenti con patologie più gravi e che non erano in grado di svolgere alcuna attività se non quella di far "casino"

In ogni squadra vigeva una disciplina ferrea mantenuta con violenze soprattutto verbali non so se fisiche perchè in certe aule non entravo mai perchè io stesso ero intimorito dall'atmosfera che c'era all'interno.

Il mio atelier era in un grande salone adibito anche a palestra e sala ricreazioni. Vi accoglievo a dipingere a turno gruppi di 12/15 utenti. Fra di loro chi aveva una patologia molto lieve e non si capiva perchè era finito lì ma anche chi aveva patologie gravi.

C'era chi dipingeva con enorme piacere chi invece non ne aveva alcuna voglia e non solo, dovevo fare molta attenzione perchè c'era anche chi si beveva il colore e chi mangiava la carta...
Erano antesignani di famosi artisti senza rendersene conto!

Qua e là c'era qualche "grande artista" che mi ripagava di tutta la frustrazione che accumulavo giorno dopo giorno.

Eccone uno.
Girolamo della Malva detto "Il Giorgino" -
47255_ca_object_representations_media_929_original.jpg


fonte: Girolamo Della Malva | arteco
 
Continuai a fare quadri di detessitura/ritessitura per diversi mesi finchè ad ottobre ebbi la "brillante" idea di accettare l'invito di andare a lavorare in un grande centro per disabili psichici. CLPS (Centro di Lavoro Protetto Specializzato) nel quartiere delle Vallette.

C'ero andato un paio di volte in visita ed avevo visto qualche dipinto fatto dagli utenti e così dietro la promessa che avrei potuto fare esclusivamente attività di pittura accettai.

Purtroppo la realtà si rivelò subito diversa da come me l'avevano dipinta e da come me l'ero immaginata e che di fronte ad abusi, violenze, non potevo tirarmi indietro.

Ero finito dentro un inferno. Solo un anno prima al Laboratorio d'Igiene, avevo un lavoro ben retribuito, rispettato... e qui c'era chi mi sputava addosso chi voleva menarmi, chi anche fra i colleghi ce l'aveva con me perchè ero in una situazione privilegiata, perchè ero lì come educatore/artista.

Nel centro c'erano 180 utenti, adulti, con differenti tipologie di disabilità, provenienti da tutto il territorio cittadino e della prima cintura.
Erano divisi in squadre di 12/15 "operai" ciascuna con a capo un istruttore. La metodologia educativa era basata sull'ergoterapia (terapia attraverso il lavoro). Ogni squadra infatti era addetta a produrre qualcosa, c'era chi assemblava scatole di cartone, chi montava penne biro, chi fanali o freni di bici e moto, chi faceva lavori di falegnameria...
C'era anche un gruppo chiamato Centro Occupazionale dove erano accolti gli utenti con patologie più gravi e che non erano in grado di svolgere alcuna attività se non quella di far "casino"

In ogni squadra vigeva una disciplina ferrea mantenuta con violenze soprattutto verbali non so se fisiche perchè in certe aule non entravo mai perchè io stesso ero intimorito dall'atmosfera che c'era all'interno.

Il mio atelier era in un grande salone adibito anche a palestra e sala ricreazioni. Vi accoglievo a dipingere a turno gruppi di 12/15 utenti. Fra di loro chi aveva una patologia molto lieve e non si capiva perchè era finito lì ma anche chi aveva patologie gravi.

C'era chi dipingeva con enorme piacere chi invece non ne aveva alcuna voglia e non solo, dovevo fare molta attenzione perchè c'era anche chi si beveva il colore e chi mangiava la carta...
Erano antesignani di famosi artisti senza rendersene conto!

Qua e là c'era qualche "grande artista" che mi ripagava di tutta la frustrazione che accumulavo giorno dopo giorno.

Eccone uno.
Girolamo della Malva detto "Il Giorgino" -
Vedi l'allegato 539281

fonte: Girolamo Della Malva | arteco
Bravo "il Goirgino". Un mio amico insegna in una scuola per disabili, non c'è violenza lì, fortunatamente. In compenso ci sono molti fancazzisti tra gli educatori. Quando si lavora in certi settori bisognerebbe farlo per vocazione e non solo per portare a casa la pagnotta.
 
Bravo "il Giorgino". Un mio amico insegna in una scuola per disabili, non c'è violenza lì, fortunatamente. In compenso ci sono molti fancazzisti tra gli educatori. Quando si lavora in certi settori bisognerebbe farlo per vocazione e non solo per portare a casa la pagnotta.

Il Giorgino è stato uno dei più grandi. Purtroppo non c'è più.
Disegnava e dipingeva tutto il giorno. Era sempre sorridente e gentile.
Donava tutti i suoi lavori.


Dove lavoravo negli anni '70 il rapporto numerico educatore/utente era come minimo 1/12 e questo rendeva molto difficile gestire un gruppo dove c'erano sempre almeno 3/4 utenti che lo destabilizzavano di continuo. Per questo motivo c'era chi instaurava una disciplina ferrea ed un clima pesante nell'aula.

Chi come me era più permissivo e comprensivo era destinato a soccombere a meno che non avesse a disposizione energie e risorse inesauribili.

Oggi fare l'educatore è apparentemente più semplice, il rapporto con gli utenti è spesso 1/2.
Tuttavia rimane sempre uno dei lavori più difficili perchè hai a che fare con persone dove è arduo vedere che la tua azione educativa produce un risultato positivo e c'è il rischio che dopo qualche anno ti stanchi e ti passa la voglia di proporre di fare alcunchè.
Ti rimane solo di gestire l'ordinario e questo non è divertente per nessuno.
 
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Ho sentito con le mie orecchie una insegnante che diceva "Se rinascessi preferirei fare la peripatetica piuttosto che insegnare", e lei lavorava con ragazzi normali e delle superiori!
In Francia di recente il caso di una preside che si è suicidata per impossibilità di svolgere bene il suo lavoro ha scatenato un'ondata di crisi tra gli insegnanti: molti lamentavano grave depressione e addirittura ogni mattina non sapevano se andare al lavoro o mollare tutto.
Ho lavorato alcuni anni con alunni ad handicap, o come diavolo si deve dire ipocritamente oggi, e ho visto che il problema più grosso è proprio quella che chiamerei "definizione del lavoro". Mi spiego. Il concetto di handicap, svantaggio o altro è profondamente sbagliato, in quanto significa in pratica: qui sono i normali, di là quelli che hanno problemi. Sbagliato due volte. 1) perché è errato definire qualcosa in negativo. Per esempio: Pierino, portami qui tutto quello che non è un giocattolo. Risposta: una casa, i cattivi pensieri, il colore rosso sono da portare? Il criterio della definizione per negativo NON definisce nulla, semplicemente separa e definisce, per paradosso, proprio ciò che Pierino non doveva portare, i giocattoli. Per questo motivo non esistono i non-normali, gli svantaggiati, ma tante catregorie di persone che abbisognano di aiuti differenziati (dal cieco al sordo, da chi ha difficoltà motorie a chi le ha nel leggere ecc). Farne un unico pastone rende inutile, o inefficiente, il lavoro dell'educatore.
2) Senza contare che categorie diverse racchiudono e dividono pure i normali, che anch'essi necessitano di aiuti differenziati, e che dunque non esistono, in quanto con tale parola si intende in pratica definire chi sa arrangiarsi comunque (nel deserto i "normali" sarebbero quelli capaci di scoprire l'acqua, svantaggiati tutti gli altri, ecc ecc.). Breve, l'uso scombinato di certe categorie mette poi l'educatore di fronte a muri insuperabili. Uno specialista in rieducazione che può fare con uno schizofrenico? Si arrangia, di solito male, e rimane profondamente frustrato. E un rieducatore psicomotorio, che farà con un Down grave? Concetto sbagliato porta ad inelasticità del lavoro e dilettantismo. Fui costretto a scrivere una programmazione scolastica (!) per alunni autistici di cui nemmeno uno psichiatra avrebbe potuto prevedere gli sviluppi.
Ora, l'approccio di Giustino è pure uno di quelli a più ampio spettro, però la situazione è sempre delicata, basta un ragazzo (un "elemento" dicono con spocchia gli educatori che per prima cosa pensano ad autodifendersi) con attitudini distruttive per compromettere tutto il lavoro di un laboratorio. Ma anche un collega invidioso o un dirigente cog**one fanno gravi danni.
Giustino si consoli: la situazione descritta, compresa quella dei colleghi, non fu solo sua, anzi era piuttosto generalizzata (e non credo sia migliorata oggi). E purtroppo, caro Giustino, l'hai descritta molto bene.
 

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