giustino
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Ho sentito con le mie orecchie una insegnante che diceva "Se rinascessi preferirei fare la peripatetica piuttosto che insegnare", e lei lavorava con ragazzi normali e delle superiori!
In Francia di recente il caso di una preside che si è suicidata per impossibilità di svolgere bene il suo lavoro ha scatenato un'ondata di crisi tra gli insegnanti: molti lamentavano grave depressione e addirittura ogni mattina non sapevano se andare al lavoro o mollare tutto.
Ho lavorato alcuni anni con alunni ad handicap, o come diavolo si deve dire ipocritamente oggi, e ho visto che il problema più grosso è proprio quella che chiamerei "definizione del lavoro". Mi spiego. Il concetto di handicap, svantaggio o altro è profondamente sbagliato, in quanto significa in pratica: qui sono i normali, di là quelli che hanno problemi. Sbagliato due volte. 1) perché è errato definire qualcosa in negativo. Per esempio: Pierino, portami qui tutto quello che non è un giocattolo. Risposta: una casa, i cattivi pensieri, il colore rosso sono da portare? Il criterio della definizione per negativo NON definisce nulla, semplicemente separa e definisce, per paradosso, proprio ciò che Pierino non doveva portare, i giocattoli. Per questo motivo non esistono i non-normali, gli svantaggiati, ma tante catregorie di persone che abbisognano di aiuti differenziati (dal cieco al sordo, da chi ha difficoltà motorie a chi le ha nel leggere ecc). Farne un unico pastone rende inutile, o inefficiente, il lavoro dell'educatore.
2) Senza contare che categorie diverse racchiudono e dividono pure i normali, che anch'essi necessitano di aiuti differenziati, e che dunque non esistono, in quanto con tale parola si intende in pratica definire chi sa arrangiarsi comunque (nel deserto i "normali" sarebbero quelli capaci di scoprire l'acqua, svantaggiati tutti gli altri, ecc ecc.). Breve, l'uso scombinato di certe categorie mette poi l'educatore di fronte a muri insuperabili. Uno specialista in rieducazione che può fare con uno schizofrenico? Si arrangia, di solito male, e rimane profondamente frustrato. E un rieducatore psicomotorio, che farà con un Down grave? Concetto sbagliato porta ad inelasticità del lavoro e dilettantismo. Fui costretto a scrivere una programmazione scolastica (!) per alunni autistici di cui nemmeno uno psichiatra avrebbe potuto prevedere gli sviluppi.
Ora, l'approccio di Giustino è pure uno di quelli a più ampio spettro, però la situazione è sempre delicata, basta un ragazzo (un "elemento" dicono con spocchia gli educatori che per prima cosa pensano ad autodifendersi) con attitudini distruttive per compromettere tutto il lavoro di un laboratorio. Ma anche un collega invidioso o un dirigente cog**one fanno gravi danni.
Giustino si consoli: la situazione descritta, compresa quella dei colleghi, non fu solo sua, anzi era piuttosto generalizzata (e non credo sia migliorata oggi). E purtroppo, caro Giustino, l'hai descritta molto bene.
Le cose stanno esattamente come dici tu.
Però, nonostante facessi l'educatore da diversi anni, ciò non mi era per niente chiaro, vagavo in una foschia indefinita.
Ma, fortunatamente per me il chiarore stava per arrivare e in modo inaspettato.