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E per le banche salvare Atene costa ancora più caro | Linkiesta.it
30 settembre 2011 - 18:00
La ristrutturazione del debito greco potrebbe subire una brusca accelerazione. Durante il Consiglio europeo del 21 luglio si è deciso il secondo piano di salvataggio di Atene, circa 109 miliardi di euro, di cui 37 sulle spalle dei creditori di Atene. E proprio quest’ultimo accordo sarebbe in fase di revisione, data l’insufficienza dell’impatto all’interno del programma di consolidamento fiscale greco. A confermarlo a Linkiesta, in via confidenziale, sono fonti della Banca centrale europea (Bce). «Sul tavolo del prossimo Eurogruppo (lunedì 3 ottobre, ndr) ci sarà probabilmente anche questo tema, anche se in via non ufficiale», spiega un alto funzionario dell’Eurotower. Il progetto attualmente al vaglio della troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Commissione Ue e Banca centrale europea (Bce) prevede perdite del 75% sul valore nominale dei bond ellenici detenuti in portafoglio dai creditori privati e non il 21% inizialmente previsto. Due le conseguenze: ingenti perdite per le banche europee e uno scenario simile a quello dell’Argentina per Atene. Anche dall’Italia arrivano conferme informali. Un alto funzionario dell’Associazione bancaria italiana (Abi) spiega a Linkiesta che «qualcosa si sta muovendo».
L’accordo del 21 luglio scorso prevedeva un apporto finanziario del settore privato per 37 miliardi di euro. L’obiettivo era semplice: uno scambio di bond a scadenza con nuove obbligazioni con un termine più lontano, sottoscritte con una perdita netta sul primo titolo pari al 21% del valore nominale. Secondo l’Institute of International finance (IIF), la lobby bancaria che ha curato l’accordo fra banche, troika e Governo ellenico, la partecipazione del settore privato sarebbe dovuta essere del 90% dei creditori all’inizio di settembre. Tuttavia, la reticenza di alcuni grandi istituti di credito ha fatto ritardare il processo di ristrutturazione del debito ellenico. Ma c’è di più. Come ricorda oggi il Wall Street Journal, è difficile che la situazione greca possa risolversi solamente con l’accordo del 21 luglio. Anche avallando un taglio al valore nominale dei bond pari al 21%, il debito pubblico, circa 360 miliardi di euro, non riuscirebbe a contrarsi abbastanza per fare tornare a galla Atene. Ecco quindi spiegato il motivo della diffidenza delle banche ad adottare le raccomandazioni dell’IIF.
I titoli di Stato greci continuano a pesare in modo rilevante sui bilanci degli istituti di credito europei. Secondo gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), diffusi dieci giorni fa, l’esposizione complessiva sulle banche dell’eurozona è di 152,810 miliardi di dollari. Al primo posto troviamo la Francia, con 65,279 miliardi di dollari (a giugno erano 64,777), seguita dalla Germania con 28,996 miliardi (a giugno erano 39,923). Più contenuta è invece l’esposizione delle banche italiane, pari a 6,254 miliardi di dollari, in aumento rispetto a giugno, quando la quota era di 5,778 miliardi. E sebbene il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, abbia ribadito che più volte che «le banche italiane non sono esposte alla Grecia», il rischio concreto è che il nuovo haircut sui titoli ellenici possa essere l’ennesima tegola sugli istituti di credito italiani, già in difficoltà sui mercati interbancari europei.
La troika, nel frattempo, continua il suo lavoro di pressione sul Governo di George Papandreou. In particolare, oggi ha per la prima volta chiesto esplicitamente una «concreta e sostanziale revisione» degli stipendi dei dipendenti pubblici al ministro delle Finanze Evangelos Venizelos. I colloqui fra i funzionari della missione di Fmi, Bce e Commissione Ue andranno avanti anche nei prossimi giorni e avranno lo scopo di controllare lo stato di avanzamento delle misure d’austerity portate avanti dall’esecutivo di Papandreou. Il fine ultimo è quello di sbloccare la sesta tranche (otto miliardi di euro) del piano di salvataggio da 110 miliardi di euro varato nel maggio 2010. Per ora, l’urgenza del Governo greco è quella di ottenere la nuova parte del prestito, al fine di poter pagare stipendi e pensioni. Ma nel mentre, si stanno già studiando le condizioni del secondo bailout ellenico. E non è detto che basti a salvare Atene dal baratro del default.
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Ma questi che fanno? Ogni giorno alzano la posta?
Tanto si è capito, conti alla mano, e li avevo postati almeno un paio di settimane fa: la Grecia, se si vogliono considerare protetti i loans di FMI e UE e far rientrare in pari la BCE a mezzo di un buyback EFSF ai prezzi a cui ha in carico i titoli, per il restante circolante in ggb c'è bisogno di un haircut al 30-35% (n.b. "al" non "del") per arrivare a un debt/pil prossimo al 100%.
E il bello è che non sanno dopo un anno e mezzo di queste buffonate, come dirlo al mercato.
In ogni caso stanno sbagliando tutto.
Perchè ormai all'UE piaccia o non piaccia questa storia costerà comunque l'intero ammontare del debito greco, non fosse altro per le ricapitalizzazioni bancarie che necessiteranno.
Ne uscivano meglio, anche come immagine, se pagavano il debito alla Grecia, che tanto poi in cambio Germania e Francia se la spartivano per bene.
In mezzo noi italiani, gli unici cretini che come terzi contributori, 'sta storia ci costa uno sproposito, non avendo interessi diretti con le nostre banche minimalmente esposte, che non parteciperemo al banchetto a base di moussaka e feta, perchè tanto Germania (soprattutto) e Francia si sono già messi comodi e alla fine se la spartiranno (insieme ai Cinesi che dietro l'angolo aspettano che la situazione si chiarisca per sbarcare nel Pireo le loro tonnellate di ciarpame low cost). L'unico nostro interesse diretto era tamponare l'emorragia di fiducia e bloccare il contagio piIgs sul nascere, ma ringraziando l'acume Crucco e il menefreghismo dei Franzosi (ora però tutti tremebondi per le loro banche) ci troviamo a collocare decennali sul primario al record dall'era euro, del 5,86% (e ancora ci dice bene).
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