Val
Torniamo alla LIRA
TAGLIO PARLAMENTARI
Risultato ricercato per arrivare, pian piano, alla drastica compressione della democrazia rappresentativa e finalmente alla sua sostituzione con altri modelli.
Questa è la vera benzina della riforma.
Il resto è fumo negli occhi, ad iniziare dalla determinazione in concreto del nuovo numero dei parlamentari:
400 alla Camera, di cui 8 per l’estero; 200 al Senato, di cui 4 per l’estero.
È fumo negli occhi per due motivi.
Il funzionamento di un organo, per prima cosa, non migliora se i suoi componenti sono ridotti in maniera scriteriata.
Come dimostra la scienza dell’organizzazione, il suo funzionamento peggiora se i tagli sono fatti con l’accetta,
non sono guidati, cioè, da un criterio generale di efficientamento.
Questo è ancor più vero quando il taglio incide su una struttura estremamente complessa com’è il Parlamento,
organizzato non soltanto nell’Aula, ma anche in commissioni, sottocommissioni, commissioni bicamerali, commissioni d’inchiesta, gruppi, giunte e via dicendo.
Non ci si meravigli: così lavorano tutti i parlamenti dei paesi democratici, perché non sono, i parlamenti, “scatolette di tonno”!
L’efficienza, quindi, non aumenta diminuendo la rappresentanza.
Vero è il contrario.
L’efficienza aumenta (o aumenterebbe) migliorando la qualità dei parlamentari in competenza, cultura, esperienza politica e di lavoro.
D’altra parte, non solo l’efficienza, ma neanche la qualità dei rappresentanti aumenta riducendone il numero: così si amputa soltanto la democrazia.
L’altro motivo è questo.
I numeri non possono essere utilizzati liberamente come fossero biglie nel pallottoliere o tessere della tombola.
I numeri spesso assolvono ad una precisa funzione, rispondono cioè ad esigenze che stanno prima, che vengono prima del dato finale che essi esprimono.
Quando è così, il numero in sé non è significativo
È il caso, proprio, della quantità dei parlamentari espressa in valore assoluto: 600, 400 o 350, 500 o 100.
Per questo i Padri costituenti non ne indicarono un numero fisso.
Piuttosto, si preoccuparono di stabilire quanti cittadini avrebbe dovuto rappresentare ogni deputato e quanti ogni senatore.
La discussione, infatti, si sviluppò sul criterio da adottare per garantire un’effettiva rappresentanza, unico profilo davvero rilevante in democrazia.
Come diceva Totò, è poi la somma che fa il totale.
E così i costituenti.
Gli originari articoli 56 e 57 della Costituzione stabilivano che ogni deputato, eletto su base nazionale e in carica per 5 anni,
dovesse rappresentare 80 mila cittadini, e ogni senatore, eletto su base regionale e in carica per 6 anni, dovesse rappresentare 200 mila cittadini.
Solo nel 1963 s’introdusse il numero fisso di 630 deputati e 315 senatori, e si equiparò la durata della carica di questi a quelli.
Non si attaccò, tuttavia, la rappresentatività, ma si cercò di individuare un numero di parlamentari sufficientemente ampio da rispettare,
nella sostanza e considerata la crescita della popolazione, il criterio originariamente scelto dai Costituenti.
Si preservò la rappresentanza, non si diminuì.
Fino a quel momento, l’idea portante fu infatti quella di presidiare in tutti i modi possibili la forma democratica dello Stato,
garantendo la massima pluralità delle rappresentanze del popolo nel Parlamento e indirettamente nelle altre istituzioni.
Il ventaglio pluralistico che si compose aveva un solo scopo:
scongiurare il ritorno dell’uomo solo al comando o di pochi uomini al comando.
La capillarità della rappresentanza e i presidi dei partiti sui territori sarebbero state le migliori sentinelle a difesa del sistema parlamentare.
Oggi, con la riforma, s’iniziano a mettere in discussione questi princìpi, senza peraltro affrontare le vere debolezze,
dimezzando la rappresentanza rispetto a quella voluta dai Costituenti:
se prevarranno i “si”, avremo 1 deputato ogni 152 mila cittadini e 1 senatore ogni 300 mila.
In nome di cosa?
Per quale vera finalità?
Io voterò “no” perché non intendo dar credito al populismo e ai personaggi che lo incarnano.
Voglio provare a liquidarli e con essi il loro mondo demagogico, insipiente e inquietante.
Risultato ricercato per arrivare, pian piano, alla drastica compressione della democrazia rappresentativa e finalmente alla sua sostituzione con altri modelli.
Questa è la vera benzina della riforma.
Il resto è fumo negli occhi, ad iniziare dalla determinazione in concreto del nuovo numero dei parlamentari:
400 alla Camera, di cui 8 per l’estero; 200 al Senato, di cui 4 per l’estero.
È fumo negli occhi per due motivi.
Il funzionamento di un organo, per prima cosa, non migliora se i suoi componenti sono ridotti in maniera scriteriata.
Come dimostra la scienza dell’organizzazione, il suo funzionamento peggiora se i tagli sono fatti con l’accetta,
non sono guidati, cioè, da un criterio generale di efficientamento.
Questo è ancor più vero quando il taglio incide su una struttura estremamente complessa com’è il Parlamento,
organizzato non soltanto nell’Aula, ma anche in commissioni, sottocommissioni, commissioni bicamerali, commissioni d’inchiesta, gruppi, giunte e via dicendo.
Non ci si meravigli: così lavorano tutti i parlamenti dei paesi democratici, perché non sono, i parlamenti, “scatolette di tonno”!
L’efficienza, quindi, non aumenta diminuendo la rappresentanza.
Vero è il contrario.
L’efficienza aumenta (o aumenterebbe) migliorando la qualità dei parlamentari in competenza, cultura, esperienza politica e di lavoro.
D’altra parte, non solo l’efficienza, ma neanche la qualità dei rappresentanti aumenta riducendone il numero: così si amputa soltanto la democrazia.
L’altro motivo è questo.
I numeri non possono essere utilizzati liberamente come fossero biglie nel pallottoliere o tessere della tombola.
I numeri spesso assolvono ad una precisa funzione, rispondono cioè ad esigenze che stanno prima, che vengono prima del dato finale che essi esprimono.
Quando è così, il numero in sé non è significativo
È il caso, proprio, della quantità dei parlamentari espressa in valore assoluto: 600, 400 o 350, 500 o 100.
Per questo i Padri costituenti non ne indicarono un numero fisso.
Piuttosto, si preoccuparono di stabilire quanti cittadini avrebbe dovuto rappresentare ogni deputato e quanti ogni senatore.
La discussione, infatti, si sviluppò sul criterio da adottare per garantire un’effettiva rappresentanza, unico profilo davvero rilevante in democrazia.
Come diceva Totò, è poi la somma che fa il totale.
E così i costituenti.
Gli originari articoli 56 e 57 della Costituzione stabilivano che ogni deputato, eletto su base nazionale e in carica per 5 anni,
dovesse rappresentare 80 mila cittadini, e ogni senatore, eletto su base regionale e in carica per 6 anni, dovesse rappresentare 200 mila cittadini.
Solo nel 1963 s’introdusse il numero fisso di 630 deputati e 315 senatori, e si equiparò la durata della carica di questi a quelli.
Non si attaccò, tuttavia, la rappresentatività, ma si cercò di individuare un numero di parlamentari sufficientemente ampio da rispettare,
nella sostanza e considerata la crescita della popolazione, il criterio originariamente scelto dai Costituenti.
Si preservò la rappresentanza, non si diminuì.
Fino a quel momento, l’idea portante fu infatti quella di presidiare in tutti i modi possibili la forma democratica dello Stato,
garantendo la massima pluralità delle rappresentanze del popolo nel Parlamento e indirettamente nelle altre istituzioni.
Il ventaglio pluralistico che si compose aveva un solo scopo:
scongiurare il ritorno dell’uomo solo al comando o di pochi uomini al comando.
La capillarità della rappresentanza e i presidi dei partiti sui territori sarebbero state le migliori sentinelle a difesa del sistema parlamentare.
Oggi, con la riforma, s’iniziano a mettere in discussione questi princìpi, senza peraltro affrontare le vere debolezze,
dimezzando la rappresentanza rispetto a quella voluta dai Costituenti:
se prevarranno i “si”, avremo 1 deputato ogni 152 mila cittadini e 1 senatore ogni 300 mila.
In nome di cosa?
Per quale vera finalità?
Io voterò “no” perché non intendo dar credito al populismo e ai personaggi che lo incarnano.
Voglio provare a liquidarli e con essi il loro mondo demagogico, insipiente e inquietante.