Ciao caro Giustino, verrò certamente sabato con un gran piacere di riabbracciarti.
E' da un po' che non ci si vede.
Ringrazio Cris per essere venuto a vedere la mia mostra.
Vorrei condividere con voi il testo scritto da Roberto Mastroianni che finalmente "riscrive" un pezzo di storia dell'arte degli ultimi decenni che mi riguarda direttamente in modo puntuale e significativo.
E' un po' lungo ma vale la pena leggerlo.
Torino - Palazzo Barolo, Sale del Legnanino
Dal 18 SETTEMBRE al 9 OTTOBRE
TRAMARE. Di filo in segno e di luogo in logo.
A cura di Alessia Panfili e
Tea Taramino
Giustino Caposciutti. L’arte di tessere esistenze e comunità.
di Roberto Mastroianni
Giustino Caposciutti è una persona gentile dallo sguardo intelligente e profondo, i cui occhi sembrano sempre alla ricerca di elementi di grazia e bellezza nel mondo circostante. Vi è qualcosa di delicato nel suo sguardo e nel modo in cui muove le mani, come se fosse sempre in ascolto, pronto a ricevere dagli altri e dall’ambiente dei segnali, delle sollecitazioni, al fine di elaborarli e trasformarli in “doni” per coloro che a lui si rivolgono. La gentilezza, la delicatezza, l’ascolto sono infatti i tratti specifici, sia di quest’uomo umile e gentile, di questo artista che si rispecchia nelle sue opere almeno quanto esse si rispecchiano in lui, sia delle sue opere dalla cifra stilistica ormai estremamente riconosciuta e riconoscibile. Caposciutti è infatti divenuto famoso negli anni per i suoi quadri e le sue performance, sviluppati all’insegna dell’arte relazionale e partecipata: opere capaci di mettere assieme la textile art con la relazione umana, la marginalità con lo spirito di comunità, il rigore geometrico e analitico con il colore e le emozioni dei fruitori chiamati ad essere co-autori delle opere stesse. Caposciutti è un educatore e un artista ormai noto a livello nazionale e internazionale, che ha alle spalle decine di mostre personali e centinaia di collettive, sulla cui poetica hanno scritto critici importanti come Martina Corgnati, Giovanni Cordero, Francesco Lodola, Angelo Mistrangelo, Paolo Levi, Dino Pasquali… Ma di ciò l’artista sembra quasi non accorgersi, più attento alle pratiche relazionali che alla gloria personale. Senza dubbio alcuno, gentilezza e delicatezza si presentano come tratto peculiare dell’atteggiamento umano e artistico di quest’uomo, che con umiltà sembra essere sempre poco conscio della forza innovativa della sua pratica artistica dai forti risvolti comunitari e sociali, caratterizzata da un’attitudine alla relazione e all’ascolto. Si deve infatti a Giustino e alla feconda collaborazione con la sua amica e collega Tea Taramino, curatrice di questa rassegna, se in Italia è approdata una forma di Arte Partecipata e Relazionale di estrema qualità, valore e profondità, che è stata capace di generare esperienze di sicura rilevanza internazionale come “Arte plurale”. La presenza delle opere di Caposciutti (performance e quadri) in questa rassegna rappresentano, pertanto, un meritato tributo alla storia dell’artista e allo stesso tempo il riconoscimento che: senza “FiloArx”, il confronto/collaborazione con Taramino e la disponibilità di istituzioni pubbliche e private torinesi, molte delle più interessanti esperienze di valorizzazione dell’Arte Irregolare in Italia non sarebbero nate in questa città, non si sarebbero sviluppate e diffuse e non sarebbero sopravvissute ancor oggi come eccellenze di primo piano a livello internazionale, mantenendo il loro profondo radicamento nel territorio. Nel 1993 a Torino l’incontro tra l’artista e un gallerista come Gianfranco Billotti, dell’allora “Galleria Arx”, e le istituzioni gettò il seme per la nascita di un nucleo di iniziative e sperimentazioni, che velocemente diedero forma a una presenza peculiare dell’arte “partecipata” e “partecipativa” in Italia. Non si trattò in questo caso, infatti, di dare voce unicamente alla potenza creativa dei fruitori chiamati a diventare co-autori delle opere, come in molte altre esperienze di Partecipatory Art, ma grazie all’incontro artistico con Taramino di sollecitare una vera integrazione tra arte, pubblico e artisti con disabilità, andando oltre l’Outsider Art, l’Art Brut… in direzione della valorizzazione relazionale e partecipata di forme di Arte Irregolare, in modo da mettere in discussione le stesse categorie di “normalità” e “anormalità”. Tutto ciò fu perseguito tentando di colmare il gap fra la gente comune e l’arte contemporanea, avviando processi relazionali e di partecipazione in situazioni orizzontali e non gerarchiche, portando a rappresentazione stati d’animo e sentimenti individuali e comunitari, facendo dell’integrazione e della solidarietà gli elementi unificanti delle “diversità” presenti nel territorio, al fine di fare emergere le sacche di emarginazione rimosse e catalogate come “periferiche” rispetto alle narrazioni dominanti. Tutto ciò all’insegna di una ricerca di grazia e bellezza, intesa come fonte di benessere e dignità anche per coloro che con sé portano profonde disabilità cognitive e fisiche.
FiloArx -intesa sia come opera collettiva e temporalmente dilatata, sia come pratica artistica specifica- segnò pertanto l’avvio di un esperimento al contempo sociale ed estetico che ormai da molti anni vede Caposciutti dare una forma specifica all’arte partecipata in direzione di un arte plurale e relazionale, attenta all’inclusione delle differenze nella produzione di opere collettive, che ad oggi hanno coinvolto più di ventiseimila persone in venti anni.
IL 24 settembre 1993, alle ore 18.00, a Torino in Piazza Savoia 4, in occasione dell’inaugurazione della Galleria d’Arte “Arx” cominciò questa avventura poetica ed esistenziale con l’invio di una cartolina/invito con un filo di juta allegato e le istruzioni per manipolarlo, firmarlo e riportarlo in Galleria, in modo che potesse diventare uno degli elementi di un’opera collettiva successivamente realizzata dall’artista stesso. Il successo fu tale che quell’esperienza non si fermo più, dando vita a un grande intreccio di fili messo insieme con la collaborazione di migliaia di persone. I suo grandi quadri quadrati, tessuti con i fili colorati e firmati da ogni persona che con lui entra in relazione, sono diventati così uno degli elementi più diffusi nel panorama dell’arte partecipata internazionale, dando vita a delle “fotografie tessili” di un determinato spazio tempo, in cui una comunità di dimensioni variabili agisce per creare un’opera. Se il risvolto “relazionale” di questa pratica pare evidente, iscrivendosi a tutti gli effetti in una modalità di valorizzazione della parte emozionale e spirituale delle differenze umane, che compongono le comunità locali e gli aggregati umani; dal punto di vista stilistico e linguistico, la sua poetica si caratterizza invece per un rigore strutturale dai tratti geometrici, che deve molto alle influenze di una certa “pittura analitica” contemporanea. Dalla “linea analitica” presente nell’arte tardo novecentesca Caposciutti mutua, infatti, l’attenzione per gli elementi primi della pittura (la tela, il telaio, il colore, la cornice…) che diventano in questo modo l’oggetto stesso del dipingere. In questo modo i fili di tela di juta grezza diventano elementi stessi della composizione pittorica, attraverso un lavoro di de-tessitura e ri-tessitura del supporto, il quale dopo essere stato elaborato e manipolato - attraverso il gesto (singolo e collettivo), il colore e il segno (la firma) - dà vita a opere relazionali e partecipate rispettose delle regole formali del dipingere e delle geometrie esistenziali e strutturali dell’opera e della realtà sociale. I suoi quadri, inoltre, pagano un debito esplicito allo “spazialismo”, attraverso un processo di sottrazione della materia (la tela), che nel processo di de-tessitura e ri-tessitura dei fili manipolati dai fruitori/co-autori creano spazi, forme, pieni e vuoti, trasparenze che interagiscono con l’ambiente, la luce e il muro dando luogo ad artefatti in continua trasformazione. In media ogni opera sfrutta l’apporto di centinaia di esistenze singole, che assumono così valore autoriale, attraverso la manipolazione dei fili per la tessitura, come si può ben vedere nel quadro di 1,50x1,50m presente in mostra, realizzato con il supporto di mille persone per la prima edizione di “Artissima” nel 1994. La dimensione relazionale e partecipata insieme alla ricerca sulla materia e sui linguaggi, così ben sintetizzata nei quadri, diventa però esplicita nell’attività performativa dell’artista come si può vedere nel video-restituzione della performance “TESSEREXESSERE-ILRISCATTO” del 2012, realizzata in dialogo polemico con Gino De Dominicis nel quarantennale dell’opera “Seconda soluzione di immortalità”, presentata alla XXVI Biennale di Venezia del 1972. Se De Dominicis mise in mostra un ragazzo down (Paolo Rosa) immobile nel guardare alcuni oggetti posizionati nella sala, Caposciutti costruisce invece un “Telaio Vivente”, formato da una decina di persone con disabilità dirette da un artista down, che con il loro movimento sincrono e armonioso “tessono” l’artista all’interno di un’opera performativa che materializza una proiezione tridimensionale e vivente dei suoi quadri. In questo modo, si realizza un ribaltamento completo e polemico grazie al quale “l’oggetto performato” (il disagio psico-fisico, la disabilità, la marginalità…) diventa “soggetto performante”, facendosi artista collettivo capace di “tessere” il naturale artefice del manufatto artistico (l’artista normodotato). Insomma, senza dubbio alcuno si può affermare che il valore artistico di Caposciutti sia ormai acclarato e che lui sia diventato negli anni un punto di riferimento per l’arte partecipata a livello nazionale e internazionale, e che senza l’incontro fecondo tra lui e Tea Taramino la Participatory Art italiana non avrebbe maturato quell’attenzione all’inclusione della diversità, trasformandosi in un’Arte Plurale e relazionale unica nel suo genere e andando ben oltre le retoriche obsolete dell’Art Brut e dell’Outsider Art. Bisogna inoltre riconoscere che solo un artista gentile e delicato come Caposciutti poteva recuperare l’attenzione per le cose minute e le pratiche della Textile Art per destrutturare i supporti e i componenti della pittura, al fine di tessere e ri-tessere in modo partecipato e inclusivo esistenze singole e associate, restituendo immagini di comunità solidali in uno spazio e in un tempo determinato.
Roberto Mastroianni
Università degli Studi di Torino
Roberto Mastroianni è filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore esterno di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.RC.e- Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione e la Unesco Chair in Sviluppo sostenibile e management territoriale dell’Università degli Studi di Torino. Laureato in Filosofia Teoretica, sotto la supervisione di Gianni Vattimo e Roberto Salizzoni, è dottore di Ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, sotto la supervisione di Ugo Volli. Si occupa di Filosofia del Linguaggio, Estetica filosofica, Teoria generale della Politica, Antropologia, Semiotica, Comunicazione, Arte e Critica filosofica. Ha curato libri di teoria della politica, scritto saggi di filosofia e arte contemporanea e curato diverse esposizioni museali. Ha tenuto seminari in differenti Università italiane e straniere. (
www.robertomastroianni.net)