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NASDAQ COMPOSITE 8 MARZO 2006

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Quello che segue è uno studio, frutto di ricerche personalmente effettuate nel corso di questi anni, che può essere un primo elemento introduttivo sull'argomento, la cui vastità e complessità meriterebbe ben altro spazio e impegno.

CONSIDERAZIONI SULLA MISURAZIONE CRONOMETRICA E SUI CALENDARI DELLE CIVILTA' MESOAMERICANE


Nel corso della storia plurimillenaria dell’uomo, la misurazione del tempo non è mai stata considerata un’attività avulsa, separata dall’insieme delle credenze e dei modelli di comportamento di una civiltà.
Al contrario essa è sempre stata funzionale ai principi etici e al quadro ideologico che sono alla base della “sapienza” di un popolo.
Lo studio comparato dei diversi sistemi di misurazione del tempo, sia passati che presenti, dimostra come essi si siano costantemente evoluti a partire da iniziali esigenze di carattere simbolico o “religioso”.
Alcuni studiosi sostengono che, proprio per ovviare all’angoscia generata dalla percezione dell’irreversibilità del tempo e della vanità dell’esistenza, sarebbero sorti i “pregiudizi religiosi” cui si deve l’unificazione, apparentemente ingiustificabile sul piano logico, di avvenimenti ricorrenti e avvenimenti che, avendo il carattere dell’unicità, non si ripetono.
In questo modo gli eventi irripetibili, come la nascita di un singolo individuo o la sua morte, si inseriscono nel paradigma concettuale degli eventi ciclici, rendendo psicologicamente meno inaccettabile l’esperienza dell’entropia e dell’irreversibilità dell’esistenza.
Questa premessa non esclude affatto che, anche presso i popoli più arcaici, la scansione del tempo abbia avuto primarie finalità pratiche, riguardanti l’efficace svolgimento delle attività produttive e sociali.
Ma queste erano solo alcune delle finalità, che non possono certamente esaurire il complesso degli scopi che le antiche civiltà si prefiggevano con la realizzazione di calendari palesemente sproporzionati e sovradimensionati, rispetto alle pur molteplici e complesse esigenze cronometriche che esse potevano avere.
Le testimonianze storiche ed etnografiche confermano come sia abbastanza diffuso il nesso tra l’aumento della complessità sociale, la diversificazione delle attività produttive e lo sviluppo delle conoscenze cronometriche. Nelle società tradizionali, prive di scrittura e scarsamente differenziate nel loro interno, non si rinviene alcuna idea astratta di tempo, inteso come flusso uniforme, continuo ed omogeneo che può essere misurato prescindendo dagli eventi sociali che di fatto ne scandiscono l’esperienza.
Esse fondano la propria concezione del tempo essenzialmente sulle relazioni con l’ambiente, basate sulla pastorizia e l’agricoltura, e sui rapporti sociali. Per esse il calendario è una relazione tra un ciclo di attività e un ciclo concettuale, e i due cicli non sono separabili .Il tempo è solo una relazione fra le attività. Quanto più uniformi sono le attività dei membri di un gruppo, tanto meno essi avvertono la necessità di elaborare un sistema di computo del tempo che ne trascenda la specificità. Non è infatti un caso che le forme più astratte e sistematiche di cronometria siano nate laddove la differenziazione delle attività sociali ha favorito un sistema generale di coordinazione temporale.
Tuttavia, non è esatto affermare che il progredire di queste forme più evolute di cronometria sia scaturita principalmente da esigenze di tipo pratico: troppo numerosi sono gli esempi di calendari sovradimensionati rispetto ai fabbisogni cronometrici delle società che li hanno prodotti, o che li hanno utilizzati. Tanto più che, nelle forme più elaborate, raramente la conoscenza e l’impiego dei calendari si sono estesi al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti, creando spesso un sapere esoterico il cui possesso è in grado di conferire autorità e potere. Inoltre c’è da fare un’altra importante considerazione. Poichè una delle principali funzioni dei calendari è “qualificare” gli eventi, cioè attribuire loro “un significato”, il controllo di questo significato diventa un’arma potentissima sul piano politico, che consente di dare o sottrarre legittimità a chi di quegli eventi è o è stato protagonista.
Alla luce di queste considerazioni il sistema cronometrico dei Maya e, più in generale, delle civiltà mesoamericane appare uno dei più significativi. Esso non soltanto rappresenta una delle massime realizzazioni intellettuali dei popoli nativi di quella parte del pianeta, ma testimonia la preminenza che l’attribuzione di senso alle scansioni temporali assume rispetto alla loro pura misurazione. Il significato del tempo prevale sulla sua misura. È evidente la tendenza a ricondurre l’accurata registrazione dei più diversi fenomeni che ricorrono nella natura a sistemi esplicativi di portata universale, capaci di stabilire, se non rigorose leggi causali, quantomeno illuminanti relazioni di corrispondenza.
Il calendario mesoamericano ha accompagnato, sin dalla loro origine, le grandi civiltà che dominarono gli attuali Messico, Honduras, Belize e Guatemala (cioè l’area culturale denominata Mesoamerica) fino alla conquista europea: la sua ideazione si perde nella notte dei tempi.
Alcuni lo fanno risalire al primo millennio avanti Cristo, ad opera dalle popolazioni del Messico sudorientale (gli Olmechi della costa del Golfo, gli Zapotechi di Monte Albán), che parallelamente svilupparono la numerazione vigesimale e la scrittura ideografica. Esso testimonia lo straordinario interesse con cui da sempre gli abitanti della Mesoamerica osservarono e registrarono il ripetersi ciclico dei fenomeni astronomici, facendo del computo del tempo uno dei pilastri della loro religione e della loro ideologia.
Esso servì alle élites per orientare la propria condotta, registrare le proprie gesta e legittimare il proprio potere; fu la principale chiave di lettura delle più svariate tipologie di eventi, sia storici sia naturali, tanto da sopravvivere per oltre quattro secoli ai tentativi di estirpazione messi in atto dai conquistatori spagnoli.
E se ancor oggi in diverse comunità indigene è possibile osservarne la sopravvivenza accanto al calendario gregoriano, è proprio perché questo, nella sua manifesta inferiorità, non ne ha potuto soppiantare che in minima parte le funzioni originarie.
Ciò che suscita stupore e ammirazione è il fatto che i calendari mesoamericani rivelano un’accuratissima conoscenza dei movimenti dei corpi celesti, la cui osservazione avveniva però senza l’ausilio di strumenti ottici, ma utilizzando traguardi e marcatori naturali e artificiali, come montagne, monumenti ed edifici sacri, costruiti ad hoc, che permettevano di registrarne con estrema precisione il passaggio per lo zenit e il sorgere e il tramonto in corrispondenza di determinati punti dell’orizzonte. Tutto ciò superando le difficoltà d’osservazione imposte da un clima tropicale che, specie in certe regioni, riduceva drasticamente i periodi di visibilità dei fenomeni celesti. Infatti nei bassopiani maya, il cielo è coperto da nubi per una buona parte dell’anno. Per registrare i risultati delle proprie osservazioni ed effettuare i calcoli matematici su cui si basava il calendario, i popoli mesoamericani si avvalsero di un sistema di notazione vigesimale fatto di punti e linee (in area maya, anche di un simbolo avente un valore simile allo “zero”), oltre che di vari sistemi di scrittura, da quelli ideografici ad altri propriamente fonetici.
E’ giusto affermare che il calendario dei Maya risale ad un’epoca precedente quella storica?
Innanzitutto bisogna stabilire cosa si intende per calendario dei Maya. Le popolazioni mesoamericane, pur con alcune differenze locali non affatto trascurabili, articolavano il loro calendario in due sistemi di computo, o cicli, distinti e paralleli, che facevano scorrere lungo un terzo computo, denominato il Lungo Computo.
Uno dei due sistemi di computo, l’anno vago, era quello corrispondente all’anno solare (detto xihuitl dagli Aztechi e haab dai Maya), composto da 18 “mesi” di 20 giorni ciascuno, cui venivano aggiunti 5 giorni intercalari, reputati infausti: ognuno dei 365 giorni della somma risultante era contraddistinto da un numero (da 1 a 20) e dal nome del “mese”, esattamente come nel nostro calendario (1 gennaio, 2 gennaio...30 settembre, 1 ottobre... ecc.).
In nahuatl, la lingua degli Aztechi, le più ricorrenti designazioni dei “mesi” (che potevano avere più di un nome) erano le seguenti: 1) Atlca-hualo “si ferma l’acqua”, 2) Tlacaxipehualiztli “scorticamento di uomini”, 3) Tozoztontli “piccola veglia”, 4) Huey tozoztli “grande veglia”, 5) Toxcatl “cosa secca”, 6) Etzalcualiztli “pasto di etzalli (pietanza di mais e fagioli freschi)”, 7) Tecuilhuitontli “piccola festa dei signori”, 8 ) Huey tecuilhuitl “gran festa dei signori”, 9) Miccailhuitontli “piccola festa dei morti”, 10) Huey miccailhuitl “grande festa dei morti”, 11) Ochpaniztli “spazzamento”, 12) Pachtontli “piccolo pachtli (Tillandsia usneoides, parassita arboreo)”, 13) Hueypachtli “grande pachtli”, 14) Quecholli “becco a spatola rosa (Ajaja ajaja Lin.)”, 15) Panquetzaliztli “levata delle bandiere”, 16) Atemoztli “caduta dell’acqua”, 17) Tititl “contrazione”, 18 ) Izcalli “ri-nascita”; i 5 giorni aggiuntivi erano detti Nemontemi “completare invano”.
Questo anno di 365 giorni viene chiamato “anno vago”, in quanto risulta più breve dell’esatta durata dell’anno astronomico; tuttavia, contrariamente a quanto avviene nel moderno calendario gregoriano con il bisestile, i popoli mesoamericani non hanno mai adottato l’uso di compensare lo sfasamento intercalando un giorno ogni quattro anni (pratica che avrebbe creato gravi squilibri nella corrispondenza dell’anno solare con gli altri cicli); di conseguenza, il calendario basato sull’anno vago accumulava 25 giorni di ritardo ogni 100 anni astronomici.Gli studiosi moderni hanno molto discusso intorno all’atteggiamento dei popoli mesoamericani nei confronti di questo sfasamento temporale: se per un verso vi è concordia circa il fatto che i Maya ne tenessero esattamente conto, pur senza praticare alcun “aggiustamento”, le opinioni divergono riguardo agli Aztechi e gli altri popoli del Messico centrale, che secondo alcuni avrebbero provveduto (anche se s’ignora in che modo) a mantenere la sincronia del calendario solare con le stagioni, mentre per altri avrebbero lasciato che esso accumulasse col tempo un consistente ritardo. In effetti, sull’anno solare si basavano le principali cerimonie religiose, molte delle quali erano legate alle attività di sussistenza e alle stagioni, e venivano celebrate per lo più al termine di ogni “mese” di 20 giorni. I nomi di alcuni dei “mesi” aztechi rivelano la chiara ispirazione ecologico-stagionale della loro denominazione, alludendo all’inizio o alla fine della stagione piovosa (atemoztli e atlcahualo), alle caratteristiche generali del clima (toxcatl) o ai prodotti stagionali (etzalcualiztli). Tuttavia, l’occasionale intercalazione di un giorno extra sarebbe stata in profondo contrasto con gli stessi principî ispiratori del complesso intreccio dei cicli calendarici mesoamericani, le cui finalità primarie non erano certo di pura misurazione del tempo astronomico.
Il secondo ciclo, noto come “computo dei giorni” (tonalpohualli in nahuatl, tzolkin in maya), di fondamentale importanza divinatoria e rituale, era il ciclo rituale di 260 giorni, ciascuno indicato dalla combinazione di un numero da 1 a 13 con uno di 20 simboli o “nomi” calendarici. Per i popoli del Messico centrale, fra cui gli Aztechi, questi simboli erano, nell’ordine: Cipactli “alligatore”, Ehecatl “vento”, Calli “casa”, Cuetzpallin “lucertola”, Coatl “serpente”, Miquiztli “morte”, Mazatl “cervo”, Tochtli “coniglio”, Atl “acqua”, Itzcuintli “cane”, Ozomatli “scimmia”, Malinalli “erba ritorta”, Acatl “canna”, Ocelotl “giaguaro”, Cuauhtli “aquila”, Cozcacuauhtli “avvoltoio”, Ollin “movimento”, Tecpatl “selce”, Quiahuitl “pioggia”, Xochitl “fiore”; al giorno “1 alligatore” seguivano così quelli “2 vento”, “3 casa”, “4 lucertola”, ecc., fino a “13 canna”, dopodiché la serie dei numeri ricominciava dal 14º segno, con “1 giaguaro”, e così via di seguito; perché si ripresentasse la data “1 alligatore” doveva trascorrere una sequenza completa di 13 x 20 = 260 combinazioni differenti.
Le prime testimonianze archeologiche di questo ciclo rituale di 260 giorni risalgono al VI secolo a.C. e precedono nettamente quelle del calendario “solare” di 365 giorni, a riprova che anche in Mesoamerica la nascita del calendario ciclico si accompagnò a istanze di carattere innanzitutto rituale e divinatorio e non meramente a esigenze cronometriche. Quanto ai processi logici che avrebbero portato alla creazione di un simile ciclo, che non ha alcuna apparente corrispondenza con i più cospicui fenomeni naturali, sono state formulate diverse ipotesi, nessuna delle quali si è per ora affermata in maniera definitiva. Tra di esse, alcune si rifanno a considerazioni di ordine astronomico, come il fatto che 260 giorni si approssimano alla durata media (263 gg.) della visibilità di Venere tra due occultamenti, oppure che essi coincidono con il periodo che - alla latitudine di due importanti insediamenti dei periodi pre-classico e classico (rispettivamente Izapa e Copán) - intercorre tra i due passaggi annuali del sole per lo zenit (il 30 aprile e il 13 agosto), un fenomeno cui in Mesoamerica si tributava grande attenzione; a questa seconda supposizione è stato però obiettato che, stando alle testimonianze archeologiche, il calendario rituale ebbe origine altrove e prima del fiorire di entrambi questi centri. Altre ipotesi prendono in considerazione la crescita e la maturazione del mais, che in certe parti della Mesoamerica ha una durata pressoché equivalente, ma si scontrano con la forte variabilità regionale del fenomeno, in netto contrasto con la generale diffusione del calendario rituale. Alla luce dell’etnografia contemporanea, sembra meritare maggior credito l’ipotesi “biologica”, in base alla quale il ciclo di 260 giorni avrebbe avuto come modello la durata della gestazione umana: diversi tra i gruppi indigeni che ancora utilizzano il calendario rituale, infatti, ne offrono una lettura fortemente antropocentrica, equiparando chiaramente la durata del calendario con la gravidanza e creando un’esplicita connessione tra il cosmo esterno e il microcosmo umano interno. Quale che ne sia stata l’origine prima, è assai probabile che il ciclo di 260 giorni abbia acquisito la sua straordinaria importanza cosmologica proprio in ragione della molteplicità di corrispondenze che esso rivelava di possedere con fenomeni appartenenti a più ordini del reale: astronomici, numerologici, agricoli e fisiologici.
Lo Tzolkin, nome Maya che significa "la distribuzione dei giorni", è quindi una combinazione di un ciclo di 13 giorni con un ciclo di 20 periodi (kin). Durante ogni anno Haab di 365 giorni scorre sempre uno Tzolkin di 260 giorni.
I Maya descrivono solitamente una data specificando la relativa posizione sia nello Tzolkin che nell' Haab, l'allineamento del Circolo Sacro e l'anno vago genera il ciclo congiunto denominato il Calendario Circolare.
Il diagramma in figura spiega graficamente come i calendari Tzolkin ed Haab si coordinano.

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La rotella più piccola con 260 (20x13) denti (sinistra) ha su ognuno il nome dei 260 giorni dell'anno Tzolkin e la rotella più grande con 365 denti (destra) ha in ogni interstizio il nome di ciascuna delle posizioni dell'anno Haab. Poiché l'anno Haab inizia sempre su una data 0 Popo e l'anno Tzolkin inizia solamente su un giorno chiamato Ik, Manik, Eb o Caban, quando 2 Ik è in congunzione con 0 Pop, la rotella A gira in senso orario e la rotella B gira in senso antiorario, si vede il nome del giorno Tzolkin che corrisponde ad ogni posizione Haab.

I kin
L'anno dei Maya ha un'unità base denominata Kin, parola che significa giorno, sole, ecc. Il calendario Tzolkin ha un ciclo di 20 nomi di giorni combinato con un ciclo di 13 numeri di giorno. Ciascuno di questi 20 nomi è viene rappresentato da un glifo e sono: Imix, Ik, Akbal, Kan, Chicchan, Cimi, Manik, Lamat, Muluc, Oc, Chuen, Eb, Ben, Ix, Men, Cib, Caban, Etznab, Cauac e Ahau.

Gli Uinal
L'anno Maya è diviso in 19 mesi, denominati Uinal, ciascuno ha un nome e un glifo (Vedi figura sotto). Di questi mesi, i primi diciotto hanno venti giorni e l'ultimo, denominato Uayeb, ha solo 5 giorni. I giorni dentro un mese sono numerati dallo 0 a il 19 con l'eccezione di Uayeb i cui giorno sono numerati dallo 0 al 4.


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Nell’insieme, lo scorrere parallelo dei due cicli di 260 e 365 giorni permetteva di designare ogni singolo giorno con quattro indicatori: il numero della serie di 13 e il simbolo della serie di 20 che costituivano il calendario rituale, più il numero della serie di 20 che formava il “mese” (con l’eccezione dei 5 giorni nefasti conclusivi) e il nome di questo: nell’esempio maya illustrato da J. Eric S. Thompson, alla data “rituale” “13 Ahau” si affianca quella “solare” “18 Cumku”.
Perché un giorno con la medesima denominazione globale potesse ripetersi, dovevano trascorrere 18.980 giorni, ovvero 73 cicli di 260 giorni e 52 cicli di 365 giorni. Era questo il periodo più lungo all’interno del quale la denominazione dei giorni non presentasse ripetizioni.
Non solo, era anche il periodo in capo al quale il giorno iniziale (o quello finale) dell’anno “vago” - quello che gli dava il nome - si ripresentava con la stessa denominazione rituale: infatti, poiché il minimo comune divisore dei due cicli di 365 e 260 giorni è 5, ne deriva che l’anno “vago” poteva avere inizio solo in corrispondenza di quattro dei 20 simboli calendarici (20 / 5 = 4), corrispondenti con il 3°, l’8° il 13° e il 18° della serie, che gli studiosi chiamano “portatori d’anno”; per gli Aztechi questi simboli erano “canna”, “selce”, “casa” e “coniglio”, mentre tra i Maya essi non furono ovunque gli stessi.
Questi quattro “portatori d’anno” si susseguivano con numeri crescenti, fino a completare quattro volte la serie di 13 (4 x 13 = 52): se ad esempio prendiamo come punto di partenza l’anno “1 selce”, la sequenza proseguiva con “2 casa”, “3 coniglio”, “4 canna”, “5 selce”, ecc., fino al 52° “13 canna”, dopodiché ci si ritrovava nuovamente con un anno “1 selce”.
Questo modo di designare gli anni ha un largo impiego nei monumenti e nei documenti pittografici che commemorano eventi rituali (come l’inaugurazione di monumenti o edifici sacri) o vicende storiche (come le conquiste militari), ove l’anno è indicato mediante la sua data rituale; ad esempio, l’esatta datazione di alcune delle fasi di costruzione del tempio principale di Tenochtitlan, la capitale azteca, è stata resa possibile dal rinvenimento di iscrizioni che recano i glifi “4 canna” e “3 casa”, corrispondenti rispettivamente al 1431 e al 1469. Il periodo di 52 anni era chiamato in nahuatl xiuhmolpilli legatura degli anni” e aveva grande importanza religiosa per i popoli mesoamericani, in particolare per quelli dell’altopiano centrale del Messico, che al suo scadere celebravano cerimonie volte a scongiurare il pericolo che il mondo avesse fine.
Il completamento del ciclo di 52 anni (che per i Nahua dell’altopiano centrale iniziava nell’anno “2 canna”) azzerava per così dire il calendario, riportandolo alla sua data iniziale.
E tuttavia non era questo il periodo di più lunga durata in vigore tra gli Aztechi, che prendevano in considerazione una misura ancora maggiore, formata da due serie di 52 anni (= 104); questa unità di tempo, detta huehuetiliztli vecchiaia”, aveva un importante significato astronomico e divinatorio, poiché comprendeva esattamente i multipli dell’anno tropico di 365 giorni (x 104), del calendario rituale di 260 giorni (x 146) e della rivoluzione sinodica di Venere, che ha una durata media di 584 giorni (x 65): in capo ai 37.960 giorni di questo mega-periodo, l’inizio di tutti e tre i cicli appena menzionati tornava ad avere la stessa denominazione rituale.
L’enorme attenzione che i sacerdoti prestavano ai fenomeni astronomici non si limitava, come si vede, ai moti solari, ma aveva tra i suoi oggetti privilegiati anche il pianeta Venere, che fin dal passato più remoto costituì una delle principali figure del pantheon mesoamericano. Nell’altopiano centrale questo astro veniva tra l’altro identificato con Quetzalcoatl, il “serpente piumato”, dio barbuto del vento e delle fasi intermedie, dei passaggi e degli annunci, creatore degli uomini e inventore delle arti, che nella sua manifestazione mattutina annunciava lo spuntar del sole, mentre in quella vespertina lo accompagnava nel tragitto notturno per il mondo dei morti. Quanto ai Maya, essi attribuivano enorme importanza alla sua prima apparizione come stella del mattino (corrispondente con la levata eliaca dopo la congiunzione inferiore) o come stella della sera (corrispondente con levata eliaca dopo la congiunzione superiore), collegandola strettamente alla guerra (in maniera per taluni aspetti simile a quanto avveniva con Marte nel mondo greco-romano): la recente decifrazione delle iscrizioni monumentali dei principali centri maya del periodo classico (IV-IX secc. d.C.), in cui sono registrate con esattezza le date di molte battaglie, sembra rivelare come la pianificazione di molte iniziative belliche avvenisse in corrispondenza con le principali fasi del ciclo di Venere.
Lo stesso orientamento di non pochi edifici sacri maya, come il cosiddetto “Palazzo del Governatore” di Uxmal o il celebre osservatorio astronomico di Chichén Itzá, detto il “Caracol”, si basa sull’allineamento con i punti dell’orizzonte corrispondenti agli estremi del moto apparente di Venere. L’adeguamento dell’urbanistica e dell’architettura ai fenomeni astronomico-calendariali, che è possibile rilevare in pressoché ogni centro della Mesoamerica, non era che una logica conseguenza della concezione cosmologica che postulava la profonda interconnessione - e dunque la necessaria armonizzazione - di tutti i diversi piani del reale.
Oltre che dagli edifici e dalla loro disposizione spaziale, l’enorme rilevanza di Venere è attestata dal notevole spazio che le è dedicato in molti dei codici pittografici pervenuti sino a noi: ad esempio sei delle 78 pagine del Codice di Dresda, uno dei soli quattro “libri” preispanici maya oggi esistenti, sono composte da tabelle numeriche dedicate alla minuziosa registrazione dei movimenti del pianeta. Ma anche alcuni fra i numerosi manoscritti pittografici del Messico centrale, come il Codice Borgia, contengono raffigurazioni simboliche estremamente elaborate della periodica scomparsa di Venere, del suo viaggio negli inferi e della sua ricomparsa dopo le due congiunzioni.
Il costante sforzo di cogliere nei ritmi del reale corrispondenze nascoste portò inoltre gli astronomi maya a calcolare anche i movimenti periodici di Marte, di cui registrarono con particolare attenzione le fasi di “moto retrogrado”, nelle quali il pianeta, sopravanzato dalla Terra nella rivoluzione intorno al sole, pare retrocedere nella sua parabola lungo l’eclittica. Ancora una volta fu loro possibile stabilire delle connessioni aritmetiche con gli altri cicli calendarici, in quanto i 780 giorni che intercorrono fra le metà di due periodi retrogradi marziani equivalgono esattamente a tre serie di 260 giorni .
Infine, tra i più appariscenti fenomeni astrali che attrassero l’attenzione dei sacerdoti-indovini, non potevano mancare le fasi lunari e le eclissi. In mancanza di frazioni e decimali, fu estremamente difficile per gli astronomi indigeni combinare con gli altri cicli il moto della luna, la cui parabola nel cielo tra l’altro segue percorsi ben più irregolari degli altri corpi celesti fin qui considerati. Ciò nondimeno, attraverso molti decenni di osservazioni i Maya riuscirono a elaborare un sistema di notazioni lunari che alternava periodi di 29 e di 30 giorni e che permetteva, con alcuni accorgimenti ulteriori, di ottenere nel lungo periodo un’ottima approssimazione alla durata media della lunazione: in termini decimali, il valore così calcolato risulta di 29,52592 giorni, di pochissimo inferiore rispetto a quello effettivo del mese sinodico, che è di 29,53059 giorni. Nelle innumerevoli iscrizioni calendariche contenute nei monumenti e negli oggetti maya del periodo classico, i glifi posti alla fine servono a segnalare l’età in giorni della luna e il corrispondente dio “signore della notte”.
Quanto alle eclissi, avvertite da tutti i popoli mesoamericani come eventi carichi di pericolo, in cui le divinità del sole e della luna rischiavano di essere divorate, i Maya seppero anche in questo caso calcolare la periodicità del fenomeno, che può verificarsi allorché vi sono una luna piena (e si avrà allora un’eclissi lunare) o una luna nuova (con un’eclissi solare) in concomitanza con il passaggio dell’orbita lunare per il piano dell’eclittica (il cosiddetto “passaggio nodale”). Benché non tutte le eclissi effettivamente prodottesi sul nostro pianeta fossero visibili dall’area maya, gli osservatori indigeni nondimeno scoprirono che i passaggi nodali hanno luogo con una ciclicità media di poco superiore a 173 giorni (173,31 per l’esattezza): otto pagine del già menzionato Codice di Dresda contengono una tabella con le previsioni delle possibili eclissi per un periodo di 33 anni. Ancora una volta, la durata del ciclo in questione venne ricondotta al calendario rituale, in base al fatto che tre di questi periodi di 173,3 giorni equivalgono a due volte 260 giorni (3 x 173,3 = 2 x 260 = 520 gg.). Una volta di più, lo tzolkin conferma le sue straordinarie capacità di armonizzare i diversi ritmi riscontrabili nella natura.
Tutti gli eventi naturali fin qui trattati, così come i cicli calendarici che vi si ispiravano, hanno il carattere della circolarità: è anzi difficile non rimanere colpiti dall’attenzione e dal rigore profusi dai sacerdoti-astronomi mesoamericani nel cercare le chiavi aritmetiche che permettessero loro di ricondurre i fenomeni più disparati a un unico grande pulsare cosmico. E non v’è dubbio che il principio dell’“eterno ritorno”, l’idea del costante riproporsi di circostanze, influssi - e dunque avvenimenti - del passato, fosse uno dei motivi-cardine del pensiero mesoamericano. Una simile prospettiva “circolare” consente di predisporre (o quantomeno trovare) una collocazione certa e collaudata, e dunque rassicurante, per ogni evento futuro; permette di scongiurare lo smarrimento e l’angoscia che sempre ingenera il manifestarsi dell’ignoto. Ma l’adozione di calendari ciclici comporta anche dei problemi per l’individuazione di date precise. A quale delle molte sequenze di 52 anni assegnare l’anno in cui si diceva fosse avvenuto un certo fatto del passato? Un sistema che ripropone con scadenze relativamente brevi le medesime date non facilita certo la corretta registrazione delle sequenze di eventi, tanto storici quanto naturali. E gli stessi popoli mesoamericani che elaborarono il sistema dei calendari basato sulla rotazione parallela dell’anno “vago” e del ciclo rituale di 260 giorni non mancarono di cogliere i problemi che questa circolarità produceva.Perciò, al fine di identificare in modo univoco le date, nella Mesoamerica meridionale venne precocemente elaborato - si pensa dagli Olmechi, con ulteriori perfezionamenti da parte dei Maya - un efficace sistema di notazione apparentemente di tipo lineare, detto oggi “lungo computo”, indipendente dai due cicli di 365 e 260 giorni, che permetteva di registrare in modo continuativo l’accumularsi dei giorni trascorsi da un punto di partenza convenzionalmente stabilito, in maniera analoga a quanto facevano i Romani partendo dalla fondazione dell’Urbe o di quanto si fa oggi rispetto alla nascita di Cristo.
Questo “punto zero” della registrazione del tempo corrispondeva al nostro 13 agosto 3113 a.C.; era perciò situato in un passato assai anteriore all’adozione del calendario ed era stato o determinato a posteriori, o indotto da civiltà precedenti, verosimilmente in base a considerazioni di tipo mitologico, cui non erano probabilmente estranee implicazioni di carattere astronomico (come può essere il fenomeno della precessione degli equinozi, o qualche sua conseguenza): come si ricorderà, il giorno iniziale del “lungo computo” corrisponde infatti a uno dei due passaggi annuali del sole per lo zenit alla latitudine di Izapa e di Copán. Pur essendo stato concepito diversi secoli prima del sorgere della civiltà maya e fuori dai suoi confini (con ogni probabilità nella regione dell’Istmo di Tehuantepec), questo sistema ebbe la sua massima auge presso i centri maya dell’epoca classica (III-X secc. d.C.), i cui monumenti sono costellati di iscrizioni con date del computo lungo, ma non si diffuse mai fino ai popoli dell’Altopiano centrale; al momento della Conquista spagnola esso era ancora in uso presso i soli Maya yucatechi, anche se il suo impiego nei monumenti era stato abbandonato da oltre sei secoli. Ciò nondimeno, come dimostra il suo sviluppo parallelo a quello della complessa scrittura ideografico-fonetica maya, esso costituisce una delle più raffinate realizzazioni intellettuali delle civiltà indoamericane, che ci consente di datare con estrema precisione ogni evento celebrato nelle iscrizioni giunte sino a noi.
Il calcolo del tempo trascorso dal punto iniziale avveniva su base vigesimale ed aveva come unità di misura il giorno: il cumulo complessivo dei giorni veniva registrato per mezzo di tre simboli, che contrassegnavano rispettivamente l’unità (un punto), il cinque (una linea) e il completamento della serie di venti (una conchiglia); quest’ultimo segno, che permetteva di modificare il valore degli altri due a seconda dell’ordine in cui erano disposti, è stato equiparato al nostro “zero” (pur non avendo il significato di “nulla”) e rendeva possibile l’impiego della notazione posizionale (dal basso in alto). In altre parole, un punto in prima posizione aveva valore uno, in seconda aveva valore venti, e così via per multipli di venti.
Una curiosa eccezione riguardava il valore dato alla terza posizione, che non equivaleva a venti volte la quantità precedente, cioè 20 x 20 = 400, ma aveva valore 360 (= 18 x 20); ciò era probabilmente dovuto al desiderio di armonizzare il più possibile il computo lungo con la durata dell’anno solare. Nelle iscrizioni maya vengono così annotati i singoli giorni (kin), le “ventine” (uinal), gli insiemi di 360 giorni (tun; da non confondere con lo haab, di 365) e i multipli vigesimali di questi ultimi, detti katun (360 x 20 = 7.200 gg.) e baktun (7.200 x 20 = 144.000 gg.). Particolare importanza era attribuita a quest’ultima quantità, al completamento della quale avevano luogo importanti celebrazioni rituali. Da ultimo, le iscrizioni registravano anche il nome del giorno in base al ciclo rituale di 260 giorni e all’anno solare, aggiungendovi spesso l’età della luna e il dio “signore della notte”.

Come si vede, si trattava di un sistema che, pur nell’ipotesi fosse che nato dall’esigenza di permettere una cronologia di maggior respiro rispetto al ciclo calendarico di 52 anni, non rinunciava ad incorporare anche quest’ultimo. Anzi, laddove la necessità di economizzare spazio sconsigliava l’indicazione dell’intera serie e il contesto permetteva di interpretare in maniera univoca una data, non di rado ci si limitava a segnalarla in forma abbreviata; è quanto ad esempio avviene nell’architrave n. 24 di Yaxchilán, che reca la semplice notazione 5 Eb 15 Mac, corrispondente al 28 ottobre del 709 d.C.
Tuttavia, malgrado la sua apparente natura lineare, anche il lungo computo non si sottraeva alla concezione del principio della circolarità del tempo nei maya: dalle epigrafi si ricava che dopo 13 baktun un’era cosmica era destinata a finire ed un’altra sarebbe cominciata; il completamento dell’era attuale, iniziata nel 3113 a.C., era previsto avvenisse quando si fosse raggiunta la data 13.0.0.0.0 4 Ahau 3 Kankin, corrispondente al 22 dicembre del 2012.
Per stabilire un legame tra le date Maya e il nostro calendario gregoriano dobbiamo rifarci agli studi dell'americano Goodman e di Sir Eric Thompson, grazie ai quali si è potuta stabilire una relazione tra i vari calendari: conoscendo una data Maya, per individuare il giorno corrispondente nel calendario gregoriano occorre ricavare un numero di conversione, da sommare al computo lungo, che ci permette di correlare il numero Maya al nostro calendario. Il numero accettato ufficialmente per tale conversione è quello suggerito da Sir Eric Thompson, il 584,283; non solo, in questo modo si è stabilito che la fine dell'ultimo ciclo grande e l'inizio di quello attuale corrispondevano al 13 agosto del 3113 a.C.
Visto che un ciclo grande durava tredici baktun, ossia 1.872.000 giorni (5200 “anni” di 360 giorni equivalenti a circa 5125 nostri anni di 365,242 giorni), la fine dell'era attuale cadrà il 22 dicembre del 2012. (3113+2012=5125 anni = 13 baktun). Questa chiusura escatologica del cerchio temporale al termine di 1.872.000 giorni non implicava però che i Maya non proiettassero assai oltre questa quantità (sia all’indietro, sia in avanti) la loro misurazione lineare del tempo; vi sono infatti iscrizioni di contenuto mitologico che registrano date lontane milioni di anni: la massima unità di misura conosciuta, il kinchiltun, ancorché di rarissimo impiego, comprende 1.152.000.000 giorni (20x400 baktun =8000 baktun).
La mitologia maya aiuta a spiegare le date descritte in precedenza: secondo i loro miti sulla Terra si sono succedute varie civiltà, per la precisione quattro, tutte finite con una grande catastrofe: i pochi sopravvissuti hanno permesso il proseguimento della civiltà, sebbene sotto forme diverse, nelle varie ere. I Maya spiegavano queste distruzioni dicendo che il Sole, al termine del suo ciclo millenario, aveva bisogno di un sacrificio per poter continuare a splendere e per questo anche gli dèi dovevano morire, perché il nuovo sole ne avrebbe generato altri.
Miti simili erano presenti anche presso gli Aztechi. Essi credevano infatti che tutte e quattro le ere (o “soli”) precedenti l’attuale fossero state distrutte in corrispondenza della fine di uno di questi cicli dai cataclismi prodotti dalle diverse divinità che vi avevano regnato: la prima èra, denominata “4 giaguaro”, simbolicamente legata alla terra e governata da Tezcatlipoca, era finita quando innumerevoli giaguari (animali in cui questo dio spesso si incarnava) avevano divorato gli uomini; la successiva era “4 vento” (dal simbolismo aereo), retta da Quetzalcoatl, era finita per lo scatenarsi di un vento impetuoso, che tutto aveva spazzato via; l’era “4 pioggia”, retta dal dio del fulmine Tlaloc (connotata perciò da valenze ignee), era finita sotto una pioggia di fuoco; l’era “4 acqua”, governata dalla dea delle acque Chalchiuhtlicue (e dunque chiaramente legata alla simbologia idrica), era terminata con un diluvio; l’attuale quinta era, detta “4 movimento” e nuovamente connotata in senso terrestre, ricadeva sotto l’influenza del dio eponimo degli Aztechi Huitzilopochtli e sarebbe finita con immani terremoti.
Il calendario Maya del lungo computo, alla luce di questa interpretazione mitologica, rappresenta quindi un lungo conto alla rovescia verso la fine della nostra era: abbiamo visto come secondo recenti calcoli l'inizio della nostra era viene posto al 13 Agosto del 3113 A.C. e quindi tutto dovrebbe terminare il 22 dicembre 2012. Ma questo lungo computo Maya, che ci comunica che sono già trascorse 4 ere della durata di 13 baktun l’una, quando ha avuto origine? Se volessimo fare un puro calcolo basandoci sui riscontri della mitologia maya, siamo alla fine della quinta era, quindi siamo sull’ordine dei 25600 anni. Ma che peso dobbiamo dare alla mitologia? A questo punto è doveroso rinviare il discorso alla lettura, ed alla totale comprensione ed assimilazione, dell’opera fondamentale del Prof. Giorgio De Santillana e di Hertha Von Dechend, “Il Mulino di Amleto”. Questo è uno di quei rari libri la cui lettura decreta in maniera inequivoca il cambiamento della prospettiva di ognuno di noi su tutto quello che riguarda il mito e il mondo arcaico, troppo frettolosamente ed ingenuamente liquidati come “primitivi”.

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celeron

Main Trend Analysis
NASDAQ COMPOSITE 14 MARZO 2006

NASDAQ COMPOSITE 14 MARZO 2006

Aggiornamento grafico:

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Attenzione ai prossimi setup del 17 e 22 marzo.
 

celeron

Main Trend Analysis
NASDAQ COMPOSITE 21 MARZO 2006

NASDAQ COMPOSITE 21 MARZO 2006

Situazione grafica all'apertura dell'importante setup dell'Equinozio:

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celeron

Main Trend Analysis
L'attuale fase di mercato sul Nasdaq Composite mi fa venire in mente un particolare evidenziato da Cowan in Four-Dimensional Stock Market Structures And Cycles:

"Sarà ora spiegata una tecnica molto potente, eppure semplice, che permette all’analista di fissare in anticipo uno specifico punto nel prezzo - tempo. Questa tecnica è un’altra delle molte fornite in questo corso che furono scoperte dall’autore e che sono indisponibili in ogni altra fonte. Questa semplice tecnica permette non solo di conseguire dei precisi target di prezzo, ma, cosa anche più importante, identifica QUANDO questi livelli di prezzo saranno raggiunti.
La sezione “Temi avanzati” della Lezione I ha spiegato che i raggi vettori prezzo - tempo formavano i lati dei triangoli equilateri. La geometria di base riconosce l’angolo interno di un triangolo equilatero come 60°. Altresì, la Lezione I ha dimostrato che la lunghezza del PTV è fissa. Perciò, dati l’angolo e la lunghezza del vettore, è stabilito il punto futuro nel prezzo - tempo. Per esempio, sul Grafico I.A quando l’ubicazione del raggio vettore AB era stata fissata pure il punto C era fissato nel prezzo - tempo. Questo perché l’angolo dall’asse AB è 60° e la lunghezza del raggio vettore è costante, cioè, 236.
Questo è graficamente dimostrato in Figura 2.4, dove sono mostrati tre differenti orientamenti di un triangolo equilatero. I triangoli mostrati in queste tre figure sono gli stessi, ma sono progressivamente ruotati in senso orario.
In Figura 2.4.a il PTV, AB, che forma il primo lato del triangolo equilatero è quasi verticale consentendo all’unito PTV, BC, di avere molto poco deprezzamento di prezzo, poiché la sua direzione è più parallela all’asse del tempo. Questo orientamento delle ellissi unite è caratterizzato da un adagio declinare del mercato che consuma una considerevole quantità tempo. Un buon esempio nel DJIA di questo tipo di configurazione è mostrato nel Grafico II.B, dove i punti F, G, H corrispondono coi punti A, B, C dalla Figura 2.4.a. Poiché FG era quasi verticale, il vicino PTV, GH, muoveva lateralmente lungo l’asse del tempo risolvendosi in un deprezzamento molto piccolo del prezzo.
In Figura 2.4.b il primo lato del triangolo equilatero rappresentato dal PTV, DE, angola più verso l’asse del tempo inducendo l’unito PTV, EF, a scendere di più nel prezzo che quello in Figura 2.4.a. Un buon esempio di questo tipo di orientamento è mostrato sul Grafico II.B, dove i punti A, B, C corrispondono coi punti D, E, F in Figura 2.4.b. Osserva che il PTV, AB, era più angolato verso l’asse del tempo rispetto FG. Questo significa che il PTV che era il compagno di AB puntava in basso nel prezzo di più che il PTV che era il compagno di FG, cioè, BC scende molto più nel prezzo e consuma meno tempo facendolo rispetto a GH.
Figura 2.4
(a) Triangolo con cateto verticale sinistro ; (b) Triangolo con base orizzontale ; (c) Triangolo con cateto verticale destro

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I triangoli equilateri ruotano progressivamente in senso orario, mostrando l’asse del prezzo progressivamente movimenti più ripidi verso il basso.
(HI è più ripido di EF; EF è più ripido di BC)

In Figura 2.4.c, il PTV, GH, punta quasi parallelo all’asse del tempo inducendo il vicino PTV, HI, a puntare quasi dritto in basso nel prezzo. Questo tipo di mercato è molto pericoloso per gli speculatori perché i lenti movimenti laterali lungo GH mettono gli speculatori a dormire e perdono la loro immediata attenzione a quello che sta accadendo nel mercato. Comunque, quando GH ha seguito il suo corso il suo unito PTV, HI, rappresenta un drammatico declino nei prezzi in un periodo molto breve.



Un esempio di questo tipo di configurazione di mercato è mostrato sul Grafico II.B, dove DE piegava di più verso l’asse del tempo rispetto a quello che fecero sia FG che AB.

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Osserva che lungo DE quasi tutto l’apprezzamento del prezzo accadde durante i primi nove giorni. Dopo di che, il mercato mosse lateralmente lungo il perimetro superiore dell’ellisse per quasi un mese, mostrando nessun cambiamento di prezzo durante questo periodo.

Mentre il mercato muoveva lateralmente molti speculatori divennero “annoiati” con quello che era chiamato un “mercato morto”. Diversi analisti apparvero in televisione parlando riguardo il “mercato inattivo”. Questi analisti persero la loro attenzione verso il chiaro segnale che il mercato stava dando del rischio situato direttamente davanti. Tuttavia, quando la fine di DE fu raggiunta al punto E, l’unito PTV, EF, puntava quasi dritto in basso nel prezzo, scendendo 200 punti in un periodo molto breve. Questi speculatori “annoiati” furono colti impreparati per un tale veloce declino. Una cosa è certa, non rimasero annoiati più a lungo."
 

tepuzzo

Forumer attivo
Rimango sempre più colpito dalla conoscenza immensa che dimostri, ma soprattutto l'applicazione di queste conoscenze spesso al momento giusto. Dimostri sicuramente l'esperienza che è a corredo di una lunga e continua sperimentazione. Perchè secondo me nessuno ha un cervello come un PC, e la memoria che spesso molti di noi dimostrano in certi frangenti è dovuta alla continua "applicazione". Seguo sempre con molta ammirazione.

TEPU
 

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