NULLA E' ASSOLUTO TUTTO E' RELATIVO

L’Europa chiede, anzi pretende.

E l’Italia puntualmente obbedisce, governata da politici totalmente asserviti all’Unione
che antepone da tempo gli interessi di banche e multinazionali a quelli dei semplici cittadini.


Un copione che si sta ripetendo anche sulla discussa riforma del catasto,

avviata dal governo Draghi proprio per soddisfare gli appetiti di Bruxelles.


E che inevitabilmente porterà a un aumento delle imposte,

anche se gli esponenti dell’esecutivo si sono già affrettati a promettere:

“Fino al 2025 nessuno dovrà pagare un euro in più”.


Ma come stanno davvero le cose?


In realtà le prime stime dell’impatto della riforma catastale sul portafogli delle famiglie hanno già iniziato a circolare, per nulla rassicuranti.

La riforma dovrà rivalutare le attuali rendite ai prezzi di mercato ai fini Imu, e di conseguenza Tare e Isee.

Il Tempo ha pubblicato in queste ore uno studio realizzato dalla Uil-Servizio Lavoro, Coesione e Territorio

che evidenzia come l’aumento medio potrebbe essere addirittura del 128,3%.



Tradotto in soldoni, si passerebbe da una spesa media attuale di 896 euro a una di 2.046 euro, c
on una spesa di 1.150 euro in più per unità operativa.


Non arrivano notizie migliori, sempre secondo lo studio, dal fronte Isee:

in media risulterebbe più che triplicato, con un boom del 318%,

aumento accompagnato ovviamente da un esborso maggiore anche sul fronte Tari, la tariffa sui rifiuti.

Una batosta non uguale per tutti: la ricerca ha infatti sottolineato come la rivalutazione delle vecchie rendite ai valori di mercato,

se venisse adottata come nuova base per il calcolo delle imposte, “picchierebbe duro sui centri, meno in periferia”.


Con un’unica certezza:

“Nessuno pagherebbe meno di quanto oggi versa al Fisco”.



Non proprio la migliore delle notizie, per le famiglie italiane.

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I rincari più forti si farebbero registrare nelle grandi città:

+189% a Trento,

+183% a Roma,

+164% a Palermo,

+155% a Venezia,

+123% a Milano.
 
Ma va. Ma guarda un po'. Ma sarà mica vero che il green pass ed i tamponi servono ad una beata minchia ?

E che forse forse "paracetamolo e vigilante attesa" servono solo a "creare defunti" ?



“Oggi in Italia abbiamo 30-40 decessi al giorno per Covid

ed abbiamo un numero ridicolo di contagi, evidentemente c’è una discrepanza ingiustificabile“.


Così Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Microbiologia molecolare dell’Università di Padova, a “24 Mattino” su Radio 24.


“In tutti gli altri paesi d’Europa e del mondo, c’è un rapporto di uno a mille rispetto ai numeri dei casi e dei decessi,

quindi dovremmo avere anche noi un numero molto più grande di contagi e non si capisce questa situazione”.


Con 30-40 decessi al giorno per Covid-19 secondo Crisanti dovremmo avere tra i 15mila e i 20 mila contagi,
quindi un numero almeno 5 volte superiore a quello comunicati nei bollettini giornalieri del ministero della Salute.



Per l’esperto nei dati sulla pandemia ci sarebbe anche un effetto distorsivo, specificatamente per quanto riguarda l’incidenza dei casi, prodotta dal green pass.

“Quello che conta è chi fa i tamponi,
se noi nel computo mettiamo tutta la gente che si fa il tampone perché deve andare a lavorare,
fa il tampone per lasciapassare sociale, è chiaro che lì le incidenze sono bassissime”.

“Invece se i tamponi vengono usati, ad esempio per la sorveglianza nelle classi, il risultato è completamente diverso”.

Per questo Crisanti mette in guardia gli italiani:
“La gente pensa ‘abbiamo 1000 casi, è finito tutto’, invece non è finito tutto“.


Riguardo l’ipotesi di estendere la validità del tampone a 72 ore, il virologo afferma che
“non c’è nulla che giustifichi misure di questo genere perché una persona si può infettare il giorno dopo,
oppure quando fai il tampone puoi essere ancora infetto a livelli bassi e dopo tre giorni hai una carica pazzesca”.
 
“Venduti, venduti”, “I fascisti siete voi”.

E ancora: “Landini, Landini vaffa***lo” e “Servi dei padroni”.

Così oggi Cobas, centri sociali e sigle varie della sinistra radicale, contestano la Cgil a Milano.

Grida e slogan piuttosto pesanti contro il sindacato guidato da Maurizio Landini.

Va in scena insomma uno scontro tra comunisti, o semplicemente antifascisti militanti se più aggrada lor signori.


Il video di Local Team, girato davanti alla Camera del Lavoro in occasione dello “sciopero generale”, mostra immagini quasi comiche.

Perché ritrae tutte le contraddizioni del fantastico mondo del “buonismo” che fa la morale ai presunti cattivi impresentabili.

Da una parte un gruppo di esponenti della Cgil con le rosse bandiere del proprio sindacato,
dall’altra un gruppo di compagni con altrettanti bandiere rosse della galassia antifà.


Ed è tutto un lancio di insulti e momenti di alta tensione,

come se a fronteggiarsi fossero i sostenitori di due squadre di calcio storicamente nemiche.

 
Come si fa solo a parlarne, di green pass per chi lavora in smartworking?

Eh?

Come diavolo si fa?



Il green pass, essendo strettamente collegato ai vaccini, ci ha messo niente a diventare un feticcio.

Ed è un feticcio legato a doppio filo al presente governo italiano e alla sua esistenza.

E un partito per esempio lo fa sapere chiaramente:
questo governo non cadrà sul green pass, e vota anche se non compattamente (https://www.repubblica.it/.../governo_green_pass_lega.../).


Ma al di là degli outlier folli c'è una solida e premeditata linea politica:
da ottobre green pass su tutti i luoghi di lavoro, privati compresi
(https://www.ilsole24ore.com/.../arriva-green-pass...).

A proposito del Sole, quando si parla di paesi "con meno vincoli"

si fa pessimo giornalismo

perché ad oggi in quei paesi i vincoli del genere dei nostri non ci sono, punto e basta.



Metterla sul "eh, ma lo hanno anche gli altri,
eh ma lo usano anche gli altri"
è un modo per indorare la pillola al pubblico nostrano,
ma sul piano dell'informazione internazionale questa cosa non è proprio passata inosservata:

"Italy is making Covid-19 health passes mandatory for all workers in the private and public sectors,
in one of the toughest vaccine-promoting measures adopted by any major Western country"
(https://www.wsj.com/.../italy-to-impose-strict-covid-19...).


Chiaro?

Una delle più dure misure di promozione vaccinale dell'occidente.

Perché siamo proprio un caso particolare, c
on le nostre coperture vaccinali *in linea con la media europea*,,,


Ma sono davvero uno splendore quelli che un giorno
"E la Scozia, e l'India, e Israele" e poi invocano la assoluta particolarità della situazione italiana.


Posso invidiare UK, dove un governo conservatore ha un'opposizione socialdemocratica e nessuno vuole il green pass?

Perché a me onestamente 'sta storia del governo di destra con l'opposizione di destra un po' ha scocciato...
 
Venerdì non ci accorgeremo di nulla,
perchè tutti sono in consegna urgente entro giovedì,
ma da lunedì prossimo voglio proprio vedere cosa succede.



Intanto, mentre la scienza si concentra sul virus e le sue attuali potenzialità, la politica dibatte sul Green Pass.

E il virologo Matteo Bassetti, da sempre partecipe al dibattito sui due fronti, torna sul Green Pass.

O meglio: sulle sue effettive applicazioni e sui possibili esiti.

E così, il direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova,
in vista della scadenza del 15 ottobre per la carta verde obbligatoria a lavoro ed a 24 ore
dalla richiesta delle Regioni di portare a 72 ore la durata della validità dei test per l’ottenimento del certificato, osserva:


«C’è una parte significativa di persone che non si vaccinerà.
Forse occorre pensare ad
un Green Pass diverso.
Alla francese:
in cui è previsto solo per i vaccinati o i guariti, oppure così non serve.
Meglio allora congelarlo per i luoghi di lavoro e ripartire tra un po’ di tempo».



E subito dopo, argomentando meglio la sua posizione, spiega:

«Un conto è usare il certificato verde al ristorante. Al teatro o allo stadio.
Ma per entrare a lavoro è diverso.
Secondo me a questo punto è meglio che si decida per l’obbligo vaccinale, perché così diventa un tamponificio.
Mentre l’unico modo per avere la sicurezza è fare un tampone il giorno stesso.
2-3 giorni dopo non è la stessa cose e aumentano i rischi».



Per Bassetti

«la richiesta di prolungare a 72 ore la validità dei test per il Green pass rischia di far diventare questo strumento inutile.

Si deciderà magari che va bene un tampone una volta alla settimana.

Come al solito abbiamo fatto il Green Pass all’italiana, mentre andava fatto alla francese: lo ottieni se ti vaccini.

Se hai fatto la malattia.

O se hai problematiche vere.

Così davvero non ha nessun senso.

Continuare sarà solo un disastro perché non sappiamo fare 10-12 milioni di tamponi a settimana.

Il sistema rischia di andare in crisi.


Il Green pass va rivisto perché così è fatto male».
 
E riecco i buffoni che sanno nascondere


La prima nota di aggiornamento del Def, altrimenti nota come Nadef,
del governo Draghi nasconde una sorpresa.


Non l’unica, in realtà, ma forse tra le più clamorose.

Tra le pieghe del documento, infatti, spuntano quasi 6 miliardi di tagli alla sanità.


Non è uno scherzo: la sforbiciata è prevista da qui al 2023.

Più nel dettaglio, dopo l’incremento di circa 8 miliardi del 2020 e di altri 6 nel 2021,
necessari per fronteggiare la pandemia, a partire dall’anno prossimo dobbiamo attenderci una nuova stretta.

Rispetto ai 129 miliardi che si prevede di spendere entro il 31 dicembre prossimo,
nel 2022 si passerà a 125,
per chiudere poi l’anno successivo a 123.

Fanno, per l’appunto, 6 miliardi in meno.


Come se non avessero già inciso sulla carne viva negli scorsi anni,
quando tra tagli veri e propri e definanziamenti
sono venuti a mancare al nostro Ssn quasi 40 miliardi di euro.


Facendoci arrivare del tutto impreparati all’appuntamento con il virus.


Servizio sanitario nazionale, i numeri dello sfascio: in 10 anni chiusi 130 ospedali


Avrebbe potuto essere l’occasione per farla finita con la stagione dei tagli alla sanità.

Magari, confermando gli stanziamenti correnti, per ricostruire dalle fondamenta
– a partire dall’aumento della dotazione di risorse,
perché il problema prima che organizzativo è spiccatamente di carenza di fondi –
un Ssn sempre più in difficoltà.


Invece no:

“Nel biennio 2022-2023 la spesa sanitaria a legislazione vigente calerà del -2,3 per cento medio annuo
per via dei minori oneri connessi alla gestione dell’emergenza epidemiologica”, si legge nella Nadef.


Non solo:

“A fine periodo, è prevista una crescita limitata, dello 0,7 per cento, ed il ritorno ad un livello del 6,1 per cento del PIL”.


Insomma, passata la festa
(e le migliaia di morti direttamente imputabili alla chiusura di ospedali e soppressione di posti letto),
gabbato lo santo.
 
Di cretini è piena l'aria......e di quelli con la puzza....idem.


Green pass, l’ad di Kiko, Cristina Scocchia ha le idee chiare:
“Chi decide di non vaccinarsi deve pagare le spese di questa decisione”.

Gad Lerner in studio esulta: “Mi conforta molto la posizione dell’imprenditrice”



“Chi sceglie di non vaccinarsi deve pagare le spese di questa decisione,
per questo non finanzieremo i tamponi ai nostri dipendenti”: q
ueste le parole della sanremese Cristina Scocchia,
amministratore delegato del colosso di cosmetici Kiko
,
nel corso della trasmissione televisiva Otto e Mezzo, in onda ieri su La7 Ospite.

L’imprenditrice, nel corso del programma condotto da Lilli Gruber, ha affermato:
“Noi siamo per una applicazione seria e rigorosa del Green Pass nei luoghi di lavoro”.



L’amministratrice delegata dell’azienda di cosmetici che ha il 15% di lavoratori non vaccinati continua:

“Io come datore di lavoro ho il dovere di garantire la salute e la sicurezza di tutti i miei dipendenti, vaccinati e non vaccinati,
e oggi il modo migliore per garantire la sicurezza dei miei dipendenti è applicare le regole del Green Pass senza tentennamenti, senza ritardi e senza sconti”.

“Quindi da venerdì tutti i miei 2500 dipendenti dovranno presentare il Green Pass” conclude
“non faremo controlli a campione, ma controlli puntuali. Chi non ha il Green Pass dovrà tornare a casa e verrà sospeso”.


“È ovvio che ci saranno difficoltà soprattutto nei primi giorni, però il decreto è entrato in vigore il 21 settembre,
quindi ci sono state date 3 settimane per organizzarci” continua la Scocchia.

L’ad di Kiko, poi, dice a chiare lettere di non essere favorevole al finanziamento dei tamponi per i dipendenti che non si sono vaccinati:
“Non ne facciamo una questione economica, ma una questione di principio.
Noi siamo a favore del Green Pass perché siamo a favore della vaccinazione”, dice l’imprenditrice.

“Riteniamo giusto che chi decide di non vaccinarsi debba pagare le spese di questa decisione” continua
“e non debba essere né l’azienda né la collettività ad assumersi questo costo”.


Vediamo se tra i dipendenti di Kiko c’è qualche sindacalista come quelli di Trieste.
 
Non solo Trieste, la protesta dei portuali contro il green pass potrebbe estendersi anche ad altre città.

Ne è sicuro Stefano Puzzer, portavoce dei portuali triestini che hanno annunciato
il blocco di tutte le operazioni con l’entrata in vigore – fra due giorni –
del certificato verde obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro.

Gli stessi portuali hanno risposto picche all’ipotesi di un accordo con il governo.


“L’unica apertura che possono avere nei nostri confronti è togliere il Green pass.
Il blocco di venerdì è confermato, oggi ci saranno sorprese perché non si fermerà solo il porto di Trieste.
Anche quello di Genova? Non mi fermerei a quello di Genova, quasi tutti i porti si fermeranno. Stasera ne avremo conferma”, fa sapere Puzzer.


Si annuncia dunque un venerdì caldo un po’ in tutta Italia,
se consideriamo che in diversi scali sta montando la contestazione al provvedimento governativo.

Ad esempio a Gioia Tauro, dove i lavoratori potrebbero adottare una forma di protesta molto simile a quella dei portuali di Trieste.

Questi ultimi, poche ore fa, hanno fatto girare un altro comunicato piuttosto emblematico.


“In questi giorni – si legge nella nota del Coordinamento Lavoratori Portuali Trieste (Clpt) –
stiamo ricevendo migliaia di mail, telefonate, messaggi whattsup e SMS da singoli e gruppi da tutta Italia
di sostegno alla lotta dei portuali contro il Green Pass.
Ne arrivano in continuazione, sono semplici messaggi di vicinanza e sostegno,
ma anche offerte di versamenti per sostenere i lavoratori che dal 15 potrebbero restare senza paga,
preannunci di partecipazione ad eventuali iniziative di lotta, segnalazioni di altri gruppi di lavoratori
che non accetteranno il ricatto e rimarranno fuori da fabbriche e uffici,
volontà di rimanere in contatto per coordinarsi nella lotta. E
altro ancora, comprese offerte di matrimonio per i portuali…..
Non riusciamo e non riusciremo a rispondere a tutti, anche perché sono giorni complicati, di grande impegno,
ma vogliamo comunque ringraziare tutti per la vicinanza e il sostegno, che ci rafforza nella determinazione a vincere questa battaglia”.


“Chiediamo a tutti di continuare anche loro, come possono, a portare avanti questa giusta lotta

in difesa del diritto al lavoro e della libertà personale.

Principalmente bloccando anche loro il lavoro a partire dal 15 e fino a quando sarà necessario.

Per quanto riguarda invece l’apertura di una raccolta fondi a sostegno dei portuali abbiamo deciso,

in considerazione del fatto che ci sono categorie di lavoratori che dal 15/10 saranno molto più in difficoltà dei lavoratori portuali,

di NON aprire per il momento tale raccolta fondi.

Ringraziamo comunque coloro che si sono offerti di sostenerci economicamente”,



conclude il Clpt.
 
Mentre il governo preparava, a settembre, la stretta finale,
annunciando che il Green pass sarebbe diventato obbligatorio per poter lavorare e ponendo così il proverbiale,
ultimo chiodo sulla bara delle libertà dei cittadini,
i giornali mainstream festeggiavano all’unisono un successo immediato.

Sottolineando tutti, nessuno escluso, i risultati già raggiunti.

Il Corriere della Sera parlava di “effetto scossa” e “crescita di adesioni e vaccinazioni”,

La Stampa di vera e propria “corsa al vaccino” e via dicendo.


Mesi dopo, ecco però emergere una realtà che stona parecchio con quella descritta dalle testate italiane, da tempo ormai asservite al governo.


Nonostante il Green pass, la campagna vaccinale è un flop (ma nessuno lo dice)



Quando mancano poche ore all’introduzione dell’obbligo di certificazione verde per poter svolgere la propria professione,
ecco infatti arrivare numeri ben diversi rispetto a quelli sciorinati da chi celebrava il governo Draghi per aver costretto gli italiani a vaccinarsi in massa.


Secondo i dati riportati da La Verità, l’annuncio del Green pass avrebbe aumentato la percentuale di italiani
che hanno completato il ciclo delle due dosi soltanto del 6%.


Non proprio un risultato impressionante, considerando che non è dato sapere quanti di questi si sarebbero comunque sottoposti alla somministrazione, per propria volontà.


Complessivamente, il quadro italiano vede più di 8 milioni di persone over 12
che non hanno ancora ricevuto nemmeno la prima dose: di questi, 6,2 milioni sono in età lavorativa,
quindi direttamente interessati dall’introduzione del Green pass obbligatorio.


Numeri ai quali vanno aggiunti altri, come ad esempio i 18 mila agenti delle forze dell’ordine
che non hanno voluto o potuto fare il vaccino, e che quindi dal 15 ottobre saranno costretti a ricorrere a tamponi costanti
per poter svolgere il proprio lavoro di garanzia della pubblica sicurezza.


Insomma, il grande successo di Draghi e del generale Francesco Paolo Figliuolo
che i media avevano previsto non si è, in realtà, avverato.


Nonostante un clima d’odio crescente, con i santoni-virologi che si permettono ormai di dare dei “sorci” ai non vaccinati
(parole di Roberto Burioni) o auspicare un progressivo “schiacciamento degli opportunisti” (il ministro Renato Brunetta).


Tra l’altro, il governo non ha nemmeno comunicato l’obiettivo da raggiungere

per poter dichiarare cessata l’emergenza e allentare le misure restrittive.



Segno di come un passo indietro non sia, ad oggi, nemmeno in discussione.
 

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