Val
Torniamo alla LIRA
Ciò detto, credo che le misure di autodifesa debbano essere la coscienza, la consapevolezza, il coraggio;
la capacità di fare gruppo, di fare comunità, di avere relazioni protettive, affettive, di autenticità.
Ho chiamato “vecchio malvissuto” il mio collega Galimberti.
Ma, se proviamo a calarci empaticamente nei suoi panni, nelle sue fragilità, nella sua auto-valutazione,
nella stima che ha di sé, nella paura per le sue condizioni (di vita e di carriera),
allora comprendiamo anche perché dice le mostruosità che dice.
Non significa giustificarle, sia chiaro.
Ma provare a guardare il mondo con gli occhi dell’altro, anche del proprio nemico, si chiama empatia.
Noi abbiamo detto “no” a molte cose, a cui altri hanno detto “sì”.
Il diavolo (dal greco “diabàllo”, dividere, che è il contrario di “sünbàllo”, mettere insieme) è colui che divide, che ci vuole isolati.
Vuole dividere
le persone dalle persone,
l’uomo dalla donna,
il maschio dalla femmina,
il fratello dal fratello,
il padre dal figlio
e il figlio dal padre,
le comunità dalle comunità,
le nazioni dalle nazioni.
L’idea di dividere è, paradossalmente, l’obiettivo fondamentale della globalizzazione:
sembra fatta per unire, e invece è realizzata come con l’idea del costruttore della Torre di Babele.
Io credo che la globalizzazione sarà schiacciata dalla confusione delle lingue:
alla fine, il caos travolgerà chi pensava di poter ridurre tutto a un algoritmo governato da un computer.
Il nostro principale alleato, in questo momento,
è il caos creativo della realtà,
insieme all’irriducibilità e all’imprevedibilità delle cose umane.
Ed è questo caos creativo e libero, che noi dobbiamo cavalcare.
Come dice il Libro dell’Apocalisse: si salverà soltanto chi non accetterà il “segno della Bestia”
(il 666 messo sottopelle, senza il quale non si potrà né comprare né vendere,
che poi è esattamente quello che oggi ci stanno imponendo).
Ma ripeto: il pessimismo realistico che esprimo è il modo per essere ottimisti.
Hobbes, che parla del Leviatano e dell’“homo homini lupus”
(e che quindi sembra un pensatore feroce, nei confronti della natura umana)
è il padre – nella filosofia politica – di tutti i pensieri liberali.
Rousseau, che è un ottimista nei confronti della natura dell’uomo,
è il generatore di tutti i modelli giacobini e totalitari della storia.
Quindi, essere pessimisti sugli esiti della contingenza che si sta attraversando,
probabilmente, è il modo migliore per essere più umani.
Essere stupidamente ottimisti, come tanti imbecilli che popolano il mainstream,
è il segno invece di una ferocia che può diventare pericolosissima, per sé e per gli altri.
E quindi, con questo “sentimento tragico della vita”, come avrebbe detto Miguel de Unamuno, dobbiamo accettare la sfida.
A qualunque prezzo, a qualsiasi costo.
la capacità di fare gruppo, di fare comunità, di avere relazioni protettive, affettive, di autenticità.
Ho chiamato “vecchio malvissuto” il mio collega Galimberti.
Ma, se proviamo a calarci empaticamente nei suoi panni, nelle sue fragilità, nella sua auto-valutazione,
nella stima che ha di sé, nella paura per le sue condizioni (di vita e di carriera),
allora comprendiamo anche perché dice le mostruosità che dice.
Non significa giustificarle, sia chiaro.
Ma provare a guardare il mondo con gli occhi dell’altro, anche del proprio nemico, si chiama empatia.
Noi abbiamo detto “no” a molte cose, a cui altri hanno detto “sì”.
Il diavolo (dal greco “diabàllo”, dividere, che è il contrario di “sünbàllo”, mettere insieme) è colui che divide, che ci vuole isolati.
Vuole dividere
le persone dalle persone,
l’uomo dalla donna,
il maschio dalla femmina,
il fratello dal fratello,
il padre dal figlio
e il figlio dal padre,
le comunità dalle comunità,
le nazioni dalle nazioni.
L’idea di dividere è, paradossalmente, l’obiettivo fondamentale della globalizzazione:
sembra fatta per unire, e invece è realizzata come con l’idea del costruttore della Torre di Babele.
Io credo che la globalizzazione sarà schiacciata dalla confusione delle lingue:
alla fine, il caos travolgerà chi pensava di poter ridurre tutto a un algoritmo governato da un computer.
Il nostro principale alleato, in questo momento,
è il caos creativo della realtà,
insieme all’irriducibilità e all’imprevedibilità delle cose umane.
Ed è questo caos creativo e libero, che noi dobbiamo cavalcare.
Come dice il Libro dell’Apocalisse: si salverà soltanto chi non accetterà il “segno della Bestia”
(il 666 messo sottopelle, senza il quale non si potrà né comprare né vendere,
che poi è esattamente quello che oggi ci stanno imponendo).
Ma ripeto: il pessimismo realistico che esprimo è il modo per essere ottimisti.
Hobbes, che parla del Leviatano e dell’“homo homini lupus”
(e che quindi sembra un pensatore feroce, nei confronti della natura umana)
è il padre – nella filosofia politica – di tutti i pensieri liberali.
Rousseau, che è un ottimista nei confronti della natura dell’uomo,
è il generatore di tutti i modelli giacobini e totalitari della storia.
Quindi, essere pessimisti sugli esiti della contingenza che si sta attraversando,
probabilmente, è il modo migliore per essere più umani.
Essere stupidamente ottimisti, come tanti imbecilli che popolano il mainstream,
è il segno invece di una ferocia che può diventare pericolosissima, per sé e per gli altri.
E quindi, con questo “sentimento tragico della vita”, come avrebbe detto Miguel de Unamuno, dobbiamo accettare la sfida.
A qualunque prezzo, a qualsiasi costo.