Obbligazioni MPS

Italian officials have been trying to find a buyer for Banca Monte dei Paschi di Siena SpA for years. But there’s at least one offer on the table that they are reluctant to consider and has been kept out of the public eye.
A group of U.S. investors led by former congressman Norman D. Dicks has been courting Italian officials since the second half of 2020 with a 4 billion-euro ($4.8 billion) plan that would use the cachet still attached to the world’s oldest bank to build a business with Italians abroad, according to two people familiar with the plan. The proposal runs counter to a longstanding government effort to orchestrate a takeover of Monte Paschi by UniCredit SpA, Italy’s second-largest bank.
Submitted around Christmas, the U.S. bid includes 900 million euros for the state’s equity holding as well as additional commitments to cover the bank’s capital needs, the people said.
Italian Treasury officials, who asked not to be named discussing competing bids, insist the offer is a non-starter because the group has no track record in banking and their financial credentials are slim. Indeed, their lawyers in Italy have struggled to establish whether they really have the money lined up to complete the deal, people close to the bid said.
And yet with billions of euros in taxpayers’ money at stake, the pitch made it into the orbit of former Prime Minister Giuseppe Conte. Dicks’s lawyers are now seeking talks with the new team at the treasury, after former European Central Bank President Mario Draghi succeeded Conte in February.
This account of the negotiations is based on conversations with five people with knowledge of the matter, who asked not to be named discussing private talks. Dicks declined to comment through his secretary, as did spokesmen for Draghi and the Italian Treasury.
Monte Paschi has become a burden to the Italian government since it was first bailed out in 2009. The state’s failure to dispose of the lender has become a symbol of the broader struggle to clean up a banking industry saddled with bad debts after decades of moribund economic growth. Italy has promised the European Union it will dispose of the bank by the end of this year.
As Draghi sets to work on making Italy fit to face the future, the question of what to do about Monte Paschi is a key early challenge. Dicks and his associates won’t offer a solution for Draghi because they aren’t seen as a suitable buyer by the Italian Treasury. But the fact their offer remains open could well make his life complicated by offering encouragement to those factions in parliament who might not support the prime minister’s plans for the bank.
Draghi has faced criticism in the past for failing to spot trouble brewing at Monte Paschi when he was governor of the Bank of Italy. Matteo Salvini, a key Draghi backer who leads the most popular party in Italy, offered a reminder of how tricky the politics of Monte Paschi can be in an interview last week. He warned that the government would be “crazy” to sell its stake at the moment, with the share price 80% below what the government paid in 2017.
Before Dicks appeared and before Conte’s government unraveled in January, Italian Treasury officials had been focused on trying to convince UniCredit to absorb Monte Paschi, which fell on hard times after the crash of 2008. After two state rescues and more than 8 billion euros of public money, the lender is still struggling to restore profitability. UniCredit is a pillar of the Italian financial system with more than 900 billion euros in assets and 80,000 employees.
UniCredit was seen as the only option by political insiders.
Politics and banking seemed to be moving in sync when former Finance Minister Pier Carlo Padoan from the center left Democratic Party was named chairman of UniCredit in the fall of 2020. Padoan had overseen the second bailout of Monte Paschi in 2017 and, after his arrival, the talks led by UniCredit CEO Jean Pierre Mustier started to accelerate. On the government side of the deal was Conte’s finance chief, and Padoan’s party colleague, Roberto Gualtieri.
But behind the scenes, the Democrats’ coalition with the anti-establishment Five Star Movement was starting to come apart. Five Star had seen its popularity nose dive since winning the most seats in the 2018 election and was looking to shore up its base.
The party made its political fortune railing against executives and bankers in the aftermath of the 2008 crisis and senior officials went public with their opposition to selling a state asset off to UniCredit. What’s more, Five Star had leverage as the party closest to then-premier Conte.
The U.S. bid started to come together around the same time.
In September, a lawyer introducing himself as George Kargianis from Seattle appointed a local firm in Siena, the Tuscan city where Monte Paschi was founded in the 15th century, to represent the U.S. group. Kargianis didn’t reply to emails sent to the address listed on his website or to approaches through his representatives in Italy. The phone number listed on his website didn’t work.
Bloomberg
 
Mps non deve diventare un’altra Alitalia. Si deve smettere di iniettare capitali pubblici in aziende senza prospettive, anche a costo di pagarne il prezzo in termini di consenso.
Rinviando le scelte politicamente difficili, si finisce solo per pagare di più, senza nemmeno salvare i posti di lavoro, ammesso che tenere in vita imprese decotte sia un modo efficiente di gestire il welfare. Per lo Stato è arrivato il momento di uscire da Mps e saldare il conto, anche se indigesto e impopolare. Per capirlo bisogna fare un passo indietro.
L’origine del disastro
Il problema di Mps viene da lontano: è la coda della crisi globale dei sistemi bancari, figlia della recessione del 2008, e mai risolta definitivamente in Italia. Dopo il crollo di Lehman Brothers, il governo americano ha rapidamente capito che di fronte a una crisi sistemica le risorse richieste per i salvataggi bancari eccedevano le capacità del mercato dei capitali privati, ed è intervenuto direttamente ricapitalizzando le banche. Perché un’economia di mercato non sopravvive se collassa il sistema dei pagamenti e del credito.
L’Europa l’ha capito tre anni dopo, e come negli Stati Uniti, tutti i governi sono intervenuti ricapitalizzando le loro banche, anche se in ordine sparso poiché non c’erano istituzioni per la gestione comunitaria delle crisi.
Chi non aveva le risorse, come Spagna, Irlanda, o Portogallo, le ha chieste al Mes, accettando la condizionalità dei suoi prestiti. Unica eccezione l’Italia, dove vari governi, non avendo le risorse, ma non volendo subire le condizioni del Mes, hanno preferito - come al solito - tirare la palla avanti.
Nel caso di Mps il governo ha fatto anche di peggio dandogli, invece del capitale, un prestito estremamente oneroso: così, invece di risanare la banca, l’ha gravata dell’onere di ripagare prestito e relativi interessi. Rinviare il problema non ha fatto altro che ingigantirlo.
Nel 2015 l’Europa ha creato la Vigilanza unica e varato la normativa per risoluzioni bancarie. Avendo considerata chiusa la stagione dei salvataggi pubblici, la normativa non contempla la possibilità di nuove crisi sistemiche, imponendo così l’onere dei dissesti interamente sui privati (azionisti, detentori di subordinati, obbligazioni e, eventualmente, grandi depositi).
L’Italia, non avendo voluto affrontare la crisi delle sue banche, si è trovata in mezzo al guado: la crisi era sistemica, quindi il privato non poteva sopportarne l’onere da solo, ma l’Europa aveva chiuso la porta all’intervento pubblico.
I privati in molti casi sono stati comunque spazzati via, anche in banche formalmente non in dissesto (dal 2007, per esempio, i soci di Unicredit e Banco Popolare, hanno perso il 93 per cento); e lo Stato alla fine è dovuto intervenire, ma ingegnandosi per infilarsi tra le pieghe delle norme: con l’Amco, lo Stato ha rilevato le sofferenze a valori superiori a quelli di mercato (da Banche Venete, Carige o Mps), e fornito garanzie a pioggia con le Gacs (in entrambi i casi, spalmando nel tempo il costo degli interventi); finanziato con crediti di imposta l’acquirente di banche in dissesto (Marche, Etruria, Cesena); aggirato la normativa europea (usando la legge nazionale sulle liquidazioni) per dotare Intesa dei fondi per assorbire le Venete; nazionalizzato la Popolare di Bari; e per Mps una massiccia ricapitalizzazione precauzionale a carico dello Stato, una scappatoia, peraltro prevista dalla norma, visto che gli aumenti di capitale “precauzionali” non esistono: una banca, o è in deficit di capitale, oppure no.
Ritorno al punto di partenza
Quattro anni dopo l’aumento “precauzionale”, e dopo che gran parte delle sofferenze sono state scaricate su Amco, siamo al punto di partenza: o si ricapitalizzata ancora con soldi pubblici, e si tira la palla avanti senza risolvere nulla, o si vende.
Per farlo, lo Stato dovrà incentivare il compratore, ma sarà l’ultimo conto da pagare. Anche se l’impegno di uscire da Mps preso con la Commissione non pare cogente in questo momento, l’opzione di ricapitalizzare e rinviare è la peggiore delle opzioni.
I tassi Bce negativi ancora a lungo, e la curva dei rendimenti piatta, impediranno un aumento del margine di interesse. La crisi da Covid farà riapparire le sofferenze (un quarto dei prestiti di Mps sono in moratoria o con garanzia statale, e rimangono 4 miliardi di vecchie sofferenze lorde) che la banca senese non potrebbe sostenere.
La struttura dei costi è eccessiva, ma non ci sono le risorse per far fronte agli oneri di ristrutturazione, né, a differenza di un compratore, può utilizzare il negative goodwill per coprirli (la differenza tra il patrimonio contabile e il minor prezzo pagato), come Intesa con Ubi. Come non potrebbe beneficiare di ben 3,7 miliardi di attività fiscali.
Per dare un’idea del problema, ho confrontato i cash flow di Mps con quelli di Intesa, ovvero i ricavi della gestione ordinaria, meno salari e costi generali, al netto di un’aliquota normale di tassazione (27 per cento); epurando dal confronto tutte le poste valutative e di natura straordinaria (come ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti) e quelle variabili (come i profitti da trading o l’uso di crediti di imposta) per renderlo omogeneo.
Usando queste grandezze, Mps ha un rapporto costi/ricavi del 73 per cento e un rendimento sul capitale del 6,5 rispetto, rispettivamente, al 50 e 9 di Intesa. Mps genera circa 67.000 euro di commissioni per dipendente contro i 92.000 di Intesa: per raggiungere la produttività di Intesa, oltre a dotarsi dei prodotti che non ha, dovrebbe, per esempio, tagliare i dipendenti del 27 per cento.
Vendere non è facile
Anche vendere è un’opzione molto costosa per lo Stato. Prima di tutto non ci sono compratori: i fondi non possono utilizzare attività fiscali e negative goodwill; le banche estere non ci sono o già impegnate (Credit Agricole con Credito Valtellinese); Bpm è troppo piccola, e Bper deve integrare gli sportelli acquisti da Ubi. Rimarrebbe Unicredit, che però ha già detto no.
Ma negli affari c’è sempre un prezzo per tutto; e Unicredit ha il potere negoziale dalla sua parte.
Lo Stato dovrebbe scorporare e accollarsi i rischi legali lievitati a 5,1 miliardi, di cui 3,8 sono però richiesti dalla Fondazione, che da azionista di controllo ha portato la banca allo sfascio (oltre ad essere sorvegliata proprio dal Mef); e moralmente non può sottrarsi alla responsabilità dei bilanci della banca, avendone sempre di fatto controllato la governance.
Ci sarebbero tanti modi per farlo. Per i costi di ristrutturazione il compratore potrebbe contare su 4 miliardi stimabili di negative goodwill, quota 100 (usata anche da altre banche) e qualche ammortizzatore sociale ad hoc. E usufruire dei 3,7 miliardi di attività fiscali di cui Mps non può beneficiare.
Il costo per lo Stato sarebbe salato, ma sarebbe anche l’ultimo. Per non rischiare di pagare domani più di quanto si potrebbe oggi. E mettere finalmente la parola fine alla crisi sistemica del nostro sistema bancario.
DOMANI/Penati
Anche qui idem a carige .. prima al servizio della clientela top poi le continue discese in borsa..da quindici anni .L'osso non è ancora spolpato; vogliono togliere ancora denari e sembra che ci sia qualcuno disposto a metterli. Non si vende la banca a ste condizioni a meno che una straniera non se la compri ad un euro simbolico. Buon giorno
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IL book 20 livelli di Monte dei paschi di Siena. La banca più vecchia (anziana) e solida !:oops:
 
Anche qui idem a carige .. prima al servizio della clientela top poi le continue discese in borsa..da quindici anni .L'osso non è ancora spolpato; vogliono togliere ancora denari e sembra che ci sia qualcuno disposto a metterli. Non si vende la banca a ste condizioni a meno che una straniera non se la compri ad un euro simbolico. Buon giorno Vedi l'allegato 596850 IL book 20 livelli di Monte dei paschi di Siena. La banca più vecchia (anziana) e solida !:oops:
Non hai sentito Enria ?
Le banche vanno accorpate.
Punto.
 

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