Mentre diversi banchieri centrali o aspiranti tali si esercitano nell’indicare la formazione di un picco all’aumento dei tassi di riferimento, ma subito dopo aggiungono un...
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Il commento/ Mps sul mercato, il rischio di decisioni affrettate
di Angelo De Mattia
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Mercoledì 20 Settembre 2023, 00:02
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Mentre diversi banchieri centrali o aspiranti tali si esercitano nell’indicare la formazione di un picco all’aumento dei tassi di riferimento, ma subito dopo aggiungono un “forse” - con ciò annullando qualsiasi valore alla comunicazione - in Italia si ripropone la questione Montepaschi, come un tema di carattere nazionale.
Entro il 2024 dovrebbe essere dismessa la partecipazione del Tesoro, ora pari al 64,2 per cento del capitale. Voci prive di qualsiasi conferma attribuiscono presunte pressioni alla Banca d’Italia perché si proceda a una sollecita vendita. La data del prossimo anno è stata concordata con la Commissione Ue che ha autorizzato le due ricapitalizzazioni pubbliche precauzionali che si sono susseguite, per complessivi oltre otto miliardi, alla condizione della successiva uscita dello Stato dal Monte per essere in regola con le vigenti norme di origine europea ed evitare altresì che l’intervento si configuri come aiuto di Stato.
Ma già aver reso pubblico questo termine può concorrere ad avvantaggiare il potenziale contraente, come è già accaduto circa due anni fa con il fallimento della trattativa con Unicredit (unico contraente) in presenza di un altro termine che poi è stato giocoforza allungare. Il Governo ha sostenuto che l’uscita del Tesoro dovrà essere ordinata e potrà essere alla base anche di un processo di consolidamento nel settore. Si deve perciò ritenere che una decisione sulla dismissione presupponga un organico progetto che contempli pure un’aggregazione, ma non porti all’estinzione del più antico istituto di credito al mondo, non dia vita a un indefinito” spezzatino”, non sia solo una simbolica salvaguardia del marchio. Lo si deve, come accennato, alla storia dell’Istituto, al ruolo svolto, colpito poi dalla grave crisi del 2008 dopo il dissennato acquisto di Antonveneta autorizzato dalla Vigilanza, che chiama in ballo molteplici responsabilità ed errori, alle attese dell’economia del territorio e delle famiglie.
Mettere il Monte sul mercato, ora che le condizioni migliorano nettamente e registra 600 milioni di utili semestrali sottolineati dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio senza un piano solido, anche per la sola quota eccedente la maggioranza pubblica del 51 per cento, sarebbe la dimostrazione di una indeterminatezza dell’agire del Governo che verrebbe interpretata con inferenze ad ampio raggio. A maggior ragione perché si vuole fare della soluzione del caso un “punto d’appoggio” di Archimede per una ben opportuna riorganizzazione, nel sistema, allora il procedimento verso un’eventuale concentrazione deve essere guidato.
Naturalmente, chi potrà o vorrà essere coinvolto in una tale operazione ha i propri interessi da tutelare. I nomi che a torto o a ragione, volenti o nolenti, vengono fatti per gli sponsali - Unicredit, Banco Bpm - ove aderissero a una trattativa, non sarebbero facili negoziatori, come dimostra il fallimento della ricordata trattativa. Occorrerà, quindi, mirare a una soluzione bilanciata, non dimenticando però le risorse ingenti finora impiegate dallo Stato, nella convinzione altresì che oggi lo “stand alone” del Monte, lo stare solo, non è privo di alcune basi.
In questo senso, l’eventuale fretta per decidere sarebbe pessima consigliera. Errori ne sono stati compiuti nei decenni, fino a quello di rinunciare a un’aggregazione, ai tempi, con la Bnl perché la Fondazione Montepaschi avrebbe voluto una posizione di rilievo se non di primazia. La storia, se si fosse svolta secondo quel progetto, sarebbe stata diversa. Poi i fatti del 2008. Oggi vi è l’occasione non solo di riparare i danni, ma di dimostrare come da un tormentatissimo caso si esce con un progetto che è nell’interesse del settore e del Paese.
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