Obbligazioni telecom (1 Viewer)

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Tim (TIT.MI) è partita in rialzo di oltre il +5% per poi girare in ribasso del -3%. Il cda ha approvato ieri a maggioranza (con 11 voti favorevoli e 3 contrari) l’offerta vincolante per NetCo presentata dal fondo statunitense Kkr. L’offerta valorizza NetCo a un enterprise value di 18,8 miliardi di euro, senza considerare eventuali incrementi derivanti dal potenziale trasferimento di parte del debito a NetCo e da earn-out legati al verificarsi di determinate condizioni che potrebbero aumentare il valore sino a 22 miliardi di euro. La vendita consente al gruppo una riduzione del debito di circa 14 miliardi di euro. Il perfezionamento dell’operazione è atteso per l’estate del 2024. Quanto all'offerta non vincolante su Sparkle, il consiglio, avendola ritenuta non soddisfacente, ha dato mandato al ceo di verificare la possibilità di ricevere un'offerta vincolante a un valore più elevato una volta completata la due diligence, il cui termine è stato esteso fino al 5 dicembre. Vivendi, primo socio di Tim, ritiene che la deliberazione adottata dal consiglio di amministrazione, senza passare dall'assemblea degli azionisti, sia illegittima e comporti la responsabilità degli amministratori di Tim che hanno votato a favore dell'operazione: "conseguentemente, rimasti inascoltati tutti gli appelli alla ragionevolezza, Vivendi utilizzerà ogni strumenti legali a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti". Anche secondo il fondo Merlyn, che aveva presentato al cda un piano alternativo per Tim, la decisione del cda “di approvare l’offerta di Kkr senza sottoporre la decisione ad un voto dell’assemblea dei soci è irrispettosa e sbagliata".
 

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Tim, approvata la vendita della rete al fondo Kkr: ok del cda. Il Tesoro avrà il 20%. Ricorso del socio Vivendi​

Il consiglio del gruppo tlc approva l’operazione: 11 favorevoli, 3 contrari​

di Rosario Dimito
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Domenica 5 Novembre 2023, 20:17 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 10:31

La rete Tim passa a Kkr per 22 miliardi: il consiglio ha deciso a maggioranza la cessione di Netco, il veicolo con l’infrastruttura fissa e secondaria, al fondo Usa che aveva presentato a giugno l’offerta per il 100%. «Decisione storica: dare il via alla nascita di due società con nuove prospettive di sviluppo. Entrambe saranno il punto di riferimento per la trasformazione digitale del nostro Paese», il commento dell’ad Pietro Labriola.

Ma sull’operazione grava l’ipoteca di una battaglia giudiziaria dagli esiti imprevedibili. Il primo socio Vivendi (23,75%): «I diritti degli azionisti Tim sono stati violati» e «la decisione del cda è illegittima», Parigi da tempo contrasta l’offerta per motivi di valutazione (partendo da un prezzo di 31 miliardi, era disposto a scendere a 26), negli ultimi tempi ha aggiunto motivi procedurali in quanto l’operazione sarebbe dovuta passare dal comitato parti correlate per la presenza del Mef che è azionista di Cdp e poi comunque il cda avrebbe dovuto convocare l’assemblea per decidere in quanto viene venduto un asset che è il 45% dell’ebitda di Tim, ma questa asserzione non è stata condivisa dal board. Per queste ragioni, Vivendi è pronto a due azioni legali: impugnare la delibera ex art 700 del cpc (codice di procedura civile) per ottenere la sospensiva dell’execution in attesa del giudizio di merito e un‘azione di responsabilità personale per danni agli 11 consiglieri che si sono espressi a favore, senza il ricorso al voto dell’assemblea.

AGGIUSTAMENTI DI VALORE
La delibera di ieri del board - durato finito alle 18,30, alla presenza di 14 consiglieri su 15 (assente Giovanni Gorno Tempi, presidente di Cdp, in conflitto essendo azionista di Tim e di Open Fiber) - è stata votata da 11 consiglieri guidati dal presidente Salvatore Rossi e da Labriola. Contro si sono espressi Giulio Gallazzi, imprenditore di fama, consigliere anche di Mfe e le manager Marella Moretti e Cristina Falcone.
Ma alle iniziative di Vivendi, si affiancheranno quelle del fondo Merlyn che aveva presentato un piano alternativo alla rete, e che, assistito dallo studio Rcc passerà alle vie legali: «decisione irrispettosa e sbagliata». Oggi comunque ci sarà il primo responso, da parte del mercato.

Il prezzo della transazione è complessivamente pari a circa 22 miliardi (con riduzione del debito di 14) più basso di quanto trapelato sin dal 22 giugno, quando Kkr aveva presentato l’offerta binding: si parte da 18,8 miliardi (senza considerare incrementi eventuali legati al debito), di cui 10,5 miliardi di leva fornita dalle banche; poi c’è un earn out di oltre 2 miliardi, si legge nella nota Tim che non fa riferimento al Mef (il Tesoro ha un accordo con Kkr), per il completamento di potenziali operazioni di consolidamento di NetCo e all’introduzione di modifiche regolamentari con benefici per NetCo, che potrebbero comportare il pagamento a favore di Tim di un importo di 2,5 miliardi. E all’entrata in vigore entro il 31 dicembre 2025, di incentivi di settore che potrebbero comportare il pagamento a favore di Tim di 400 milioni. Nel prezzo e quindi nella delibera di ieri, non c’è Sparkle sulla quale Kkr ha fatto un’offerta non binding e il cda chiede un rialzo.

Tim trasferirà a Fibercop il ramo d’azienda rete e Optics Bidco, veicolo di Kkr acquisterà Fibercop e al closing ci sarà un Master service agreement tra Fibercop e Tim consumer. Closing entro l’estate 2024.
Da Tim trapela che il signing (firma del contratto) dovrebbe avvenire entro mercoledì 8 che è la data di scadenza dell’offerta di Kkr. È attesa in seguito la firma da parte del Mef, che ha siglato ad agosto un Mou con Kkr per acquistare il 20% per 2,2 miliardi, ed entro fine anno anche di F2i che potrebbe sottoscrivere fino al 15% per 1,5 miliardi.

LA LOCAZIONE
Stando alla decisione di ieri, l’operazione di cessione dell’infrastruttura segna una svolta storica perchè senza considerare i prodromi del piano Rovati, arriva al traguardo dopo tre anni e tre mesi, del recente sia pure tortuoso percorso decisorio iniziato il 31 agosto 2020 con l’Mou fra Cdp e Tim per fondere Open Fiber, anche se da allora ha avuto mille declinazioni diverse fino al 2 febbraio quando Kkr ha sparigliato le carte con la prima offerta non binding.

La maratona di consigli era iniziata venerdì alla presenza dei cinque advisor finanziari che hanno illustrato l’offerta di Kkr. Qui c’è stata lo spartiacque perchè il consiglio non ha ritenuto di esaminare l’offerta di Merlyn («non in linea con il piano di delayering della Società») che invece della vendita della rete, proponeva la cessione della parte consumer, del Brasile e la quotazione di una nuova Telecom, partendo dalla sostituzione di Labriola con Stefano Siragusa, ex manager Tim. E il cda è andato avanti sulla sua strada anche sabato quando alla presenza dei legali, ha maturato l’idea che a decidere fosse solo il consiglio senza ricorrere all’assemblea, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto da Vivendi, la cessione non dà luogo a un cambio dell’oggetto sociale: la rete seppure ceduta, resta nella disponibilità di Tim in base al Master service agreement di 30 anni. Infine il presidente Rossi: «Grande responsabilità e coraggio del cda».

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L'analisi / La rete Tim e l’incognita del pantano giudiziario​


di Angelo De Mattia
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Lunedì 6 Novembre 2023, 23:56

È naturale chiedersi se, con le decisioni adottate domenica dal consiglio di amministrazione di Tim, ci si avvii verso un’auspicabile fase di innovazione in un contesto di stabilità ponendo al primo posto i progressi da conseguire nei mercati, anziché la perenne ridiscussione degli assetti di “governance” e delle misure strettamente finanziarie, dopo un venticinquennio tormentato di passaggi di proprietà iniziati con quella che fu definita la madre di tutte le privatizzazioni, nel 1997, riguardante la Stet, che era un vero gioiello, con la fusione con Sip e la creazione di Telecom. Un’operazione conclusa in un quadro di regole carenti - che alcuni inquadrano nelle misure necessarie per partecipare alla prima fase dell’Unione monetaria ed economica - ancora oggi ricordata ironicamente per la costituzione del “nocciolino” di azionisti che diede modo alla Fiat di governare l’impresa con lo 0,6 per cento del capitale. Seguirono le vicende dell’Opa di Colaninno, poi la Pirelli con Tronchetti Provera, quindi la spagnola Telefonica, per poi arrivare alla francese Vivendi, oggi azionista di maggioranza relativa con il 23,75 per cento. L’operazione, per la quale si prevede la sottoscrizione di un accordo l’8 novembre, e il “closing” nel 2024, segna il ritorno dello Stato nel settore con la partecipazione del 20 per cento alla società che acquisirà, secondo l’offerta avanzata da Kkr e accolta dal consiglio di Tim a larga maggioranza, l’infrastruttura di rete, a cui si prevede altresì che potrà aderire, con un 10-15, per cento pure F2i e forse potrebbero partecipare anche Fondazioni di origine bancarie.
Con la vendità della rete, Tim incasserebbe 19 miliardi circa a cui vanno aggiunti altri 3 miliardi in dipendenza dell’avverarsi di alcune condizioni. In sostanza, a regime vi saranno due società, una concentrata sui servizi, dunque sulla necessità di mantenere il passo con gli avanzamenti della digitalizzazione e svolgere un’azione propulsiva nel contesto della transizione tecnologica, l’altra con la gestione della rete, un impegno non meno importante. Lo Stato acquisirà, inoltre, anche per la sensibilità dei dati che gestisce, il 100 per cento della società dei cavi, Sparkle. Insomma, nell’infrastruttura ritorna lo Stato, ma in una posizione minoritaria, a fronte di Kkr che avrà il 65 per cento: tuttavia, unitamente agli altri soggetti sopra indicati, è in condizioni di presidiare decisioni straordinarie bisognose di “quorum” particolari. Ad ogni buon fine esiste pur sempre, a tutela ulteriore dell’interesse pubblico, il “golden power”, a maggior ragione essendo il principale azionista un fondo di importante livello e, come tale, tenuto alle regole sulle partecipazioni che concernono organismi della specie. <HS9>Insomma, con la riserva di qualche ulteriore approfondimento sulle tecnicalità negoziali, tutto bene? Al punto in cui si era arrivati forse era difficile imboccare altre strade, dopo che da circa tre anni era in discussione, spesso con vaniloqui, il futuro di Tim che, ovviamente, si intreccia con i temi dell’accennata transizione digitale e della competitività internazionale. Ma l’opposizione netta di Vivendi all’operazione, verosimilmente messa in conto, con il preavviso di azioni giudiziarie, a cominciare dalla promozione di un procedimento cautelare (art.700 del c.p.c.) per sospendere l’operazione, profila un futuro prossimo in cui si potranno incrociare le lame degli opposti schieramenti legali. Tim ha deciso sulla scorta di numerosi e autorevoli pareri di giuristi che hanno escluso la necessità di convocare un’assemblea straordinaria o anche solo ordinaria in funzione consultiva, e - sembra - dello steso Comitato per le parti correlate. Da Vivendi, al contrario, si annuncia un insieme di pareri giuridici che sarebbero di pari livello e sosterrebbero la tesi opposta. Si aggiunge, poi, nell’area vertenziale, anche il fondo Merlyn che, nei giorni scorsi, ha presentato a Tim un piano che prevede il mantenimento della rete in capo a quest’ultima e, invece, la vendita del servizio commerciale. Merlyn contesta che sull’operazione conclusa con Kkr non sono stati sentiti gli azionisti, di cui il fondo fa parte. Il “punctum dolens” è costituito dall’essere o no la vendita della rete un mutamento dell’oggetto sociale di Tim. I pareri rilasciati a quest’ultima escludono che vi sia una tale modifica (dunque, può decidere il consiglio) anche perché poi Tim potrà utilizzare in affitto l’infrastruttura; a conclusioni opposte arrivano i francesi. La disputa è di alto livello. Si tratta, però, di capire se essa è attivata per arrivare poi a una composizione adeguata oppure se Vivendi è determinata ad andare fino in fondo - “Fiat iustitia et pereat mundus” - correndo la relativa alea. Intanto, fermandoci per ora a un passo prima, il progetto dovrà chiarire quale sarà il numero degli organici che da Tim saranno trasferiti alla società di rete, quali le condizioni e lo status normativo ed economico. In più è da chiarire la prospettiva degli investimenti di cui la rete avrà bisogno proprio per quel che si è detto su transizione e su competitività. Quali saranno, insomma, gli impegni, anche per evitare che si rinnovino piani di pura finanza? La via è stata imboccata, ma bisognerà essere in grado di superare gli ostacoli e rassicurare, cosa non facile. Il peggio che potrebbe però accadere sarebbe un lungo impantanarsi in raffinate dispute giuridiche. Sarebbe un danno per tutti.
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Tim (TIT.MI) ha presentato dati del trimestre superiori alle aspettative grazie alla spinta delle attività domestiche. I ricavi dell’Italia sono saliti del 2,2% anno su anno, circa il 3% sopra la stima del consensus. L’Ebitda rettificato è aumentato del 3,6%. Leggermente peggio delle attese il debito, pari a 21,2 miliardi di euro. A livello di gruppo, ricavi in crescita del 3,7% a 4,1 miliardi di euro, Ebitda +6,5% a 1,7 miliardi.Alla luce dell'andamento dei principali segmenti di business il gruppo conferma la guidance già comunicata con l'approvazione del Piano Industriale Tim 2023-2025.
 

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Tim-Kkr, cosa succede ai 40 mila dipendenti? Ecco come si divideranno tra le due società​

di Francesco Bertolino

La vendita della rete Tim al fondo americano Kkr per 22 miliardi si presta a più prospettive di analisi: finanziaria, legale e sindacale. Se le prime due sono state oggetto di approfondimento in questi mesi di negoziato e scontro con il primo azionista, Vivendi, il terzo ha ricevuto sinora minore attenzione. A giudicare dalle reazioni all’indomani del via libera all’affare, però, il piano delle relazioni sindacali è destinato ad assumere grande rilevanza nelle prossime settimane. La separazione fra la rete e i servizi di Tim comporterà infatti una scissione a metà della forza-lavoro della compagnia di telecomunicazioni: 20 mila resteranno in capo a Tim, altrettanti saranno trasferiti alla nuova società della rete controllata da Kkr, governo e F2i.

Landini: «No allo spezzatino»​

La prospettiva preoccupa già i sindacati. «Siamo contrari perché questo spezzatino non è la strada da seguire», ha sottolineato il segretario della Cgil, Maurizio Landini. «Solo in Italia si fa cosi, negli altri Paesi le grandi imprese non dividono la rete dall’azienda, dalle attività e dai servizi». Landini ha definito la vendita della rete a Kkr «un errore di politica industriale» anche perché «hanno venduto allo stesso fondo che ha comprato Magneti Marelli e che sta chiudendo in giro sue attività». Meno dura la reazione della Cisl che attende di vedere le carte. «La vendita a Kkr ed il piano di scorporo della Rete di Tim dai Servizi non deve mettere a rischio nè i livelli occupazionali nè gli investimenti necessari per lo sviluppo del 5G e della banda ultra-larga in tutte le aree del paese», ha sottolineato il leader Luigi Sbarra. «Il governo apra subito un confronto con i sindacati e l`azienda per la gestione della fase transitoria, in modo da garantire il rilancio dell’infrastruttura, i posti di lavoro e gli investimenti per la digitalizzazione del Paese».

Le rassicurazioni di Tim​

Tim ha presto esaudito la richiesta della Cisl, convocando i sindacati per il 14 novembre a un incontro volto a illustrare il piano industriale. Nel frattempo, tanto l’ad di Tim, Pietro Labriola, quanto il presidente del gruppo, Salvatore Rossi, hanno voluto rassicurare i 40 mila dipendenti del gruppo. «La decisione presa riscriverà il futuro dei servizi di telecomunicazione perché pone le basi per abbattere il debito che grava sulla più grande azienda del settore e le impedisce di puntare con decisione al suo sviluppo e a mantenere la sua leadership nel mercato». L’operazione non avrà conseguenze per l’occupazione, ha aggiunto Rossi. «Ventimila dipendenti passeranno (da Tim a Netco): per quello che sta in me, posso rassicurare che non sono previsti nè tagli nè ricorso alla cassa integrazione in seguito a questa operazione».
 

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TIM (TIT.MI) S&P ha posto la società in watch positivo dopo l'ok del Cda all'offerta di Kkr sulla rete fissa, in quanto l'operazione porterà a un significativo miglioramento dell'indebitamento.
 

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UPDATE 2-Telecom Italia CEO seeks new term after KKR grid deal
10/11/2023 15:23 - RSF
(Recasts and adds sources on board in paragraphs 6,7)
ROME, Nov 10 (Reuters) - Telecom Italia's (TIM) (TIT.MI) chief executive is available for a second term to oversee the reshaping of the phone company after the sale of its domestic fixed-line grid to U.S. fund KKR (KKR.N), the top executive said on Friday.

Backed by Giorgia Meloni's conservative administration, the sale of the grid, a first for a former phone monopoly in a major European country, is at central to Labriola's strategy to revive the company.

TIM's board approved the 19 billion euro ($20.29 billion) deal on Sunday, defying criticism from top investor Vivendi , which has threatened a legal challenge to the decision, saying shareholder approval was needed.

Asked where he saw himself in spring 2024, when the board's mandate will end, Pietro Labriola told Class-CNBC television that "having kicked off this project, I feel the burden and the responsibility to complete it".

"But it's not up to me to choose. I give my availability (for the top job)," Labriola, who was appointed as CEO in January last year, added.

Labriola's name could be included in a list of candidates that the group's outgoing board could submit to a shareholder vote at the company's annual general meeting, two sources told Reuters.

According to the people, who asked to remain anonymous because the process is not public, TIM's internal nomination committee has started work on the board's slate.

A spokersperson for TIM declined to comment.

On Friday, Labriola called for more dialogue among TIM's shareholders.

"Everyone has the right to give indications... but we need to open up more and more to dialogue and avoid transforming everything into a confrontation," he said.

As CEO, Labriola said he was available to discuss all positions, and had to respect the opinions of all, not just some shareholders.

The executive, 56, has spent his entire career within TIM.

He was made CEO of the former phone monopoly last year to replace Luigi Gubitosi, who left TIM's top job after a clash with top investor Vivendi over a takeover approach from KKR.

($1 = 0.9370 euros)

(Reporting by Elvira Pollina, writing by Giulia Segreti, editing by Gianluca Semeraro and Barbara Lewis)
(([email protected]; +39.06.80307714;))
 

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TIM (TIT.MI). L’amministratore delegato Pietro Labriola, ha difeso in un colloquio con il Financial Times la scelta del cda di procedere con la vendita della rete a Kkr. Diverse le ipotesi valutate per ridurre il debito, tema che era centrale per Tim, tra cui la cessione del Brasile, «ma non erano percorribili», perché «da quel mercato arriva il 30% degli utili». E anche la strada di tenere la rete e vendere la società dei servizi «non avrebbe risolto il problema


Fitch ha messo la società in rating watch positivo a seguito della cessione della rete fissa. Secondo l'agenzia di rating, la revisione del rating riflette le attese di un rischio finanziario significativamente più basso per Tim dopo il completamento della vendita e il rimborso del debito.
 

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TIM, MANEGGIARE CON CAUTELA: DALLA SUA SORTE DIPENDE IL FUTURO DIGITALE DELL’ITALIA​

di Ferruccio de Bortoli
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https://www.corriere.it/economia/op...0-14c3c36f9ebf.shtml#commentFormAnchorArtDown
Tim è l’autobiografia della nazione. Non c’è scampo. Una definizione che, vista l’evocazione storica, non dovrebbe dispiacere a Giorgia Meloni. Speriamo solo che i destini non siano paralleli perché l’ex monopolista delle telecomunicazioni, anche dopo la contrastata separazione dalla rete, avrà vita difficile. Molto difficile. Non vi è vicenda economica e finanziaria che meglio concentri, in un miscuglio di valori opposti — tra genialità e visioni ma soprattutto bramosie di potere e denaro, anche personali — il carattere italiano.

Cattive abitudini e coraggio​

Una collezione di cattive abitudini, ma anche nella sua lunga storia (dalla Stet, proprietà Iri, in poi) di coraggio, intuizioni, innovazioni. Di sicuro un’infinita cornucopia di commissioni di vario tipo. Una traduzione del tutto nostrana di cash cow con affollamento disordinato di mungitori. Peccato che Tim non sia un gruppo qualsiasi, che non si occupi — con tutto il rispetto — di abbigliamento o ristorazione, ma costituisca, almeno fino ad oggi, il sistema nervoso dell’economia italiana. Dalla sua sorte dipende il futuro digitale del Paese. I dati sono gli impulsi del sistema e se circolano male o non offrono connessioni adeguate, viene meno una sorta di immunità digitale. Gli utenti ne soffrono, la geografia economica si desertifica.

La spirale del debito
Chi ha ridotto il gruppo in queste condizioni ha la responsabilità di averlo trattato per troppi anni quasi esclusivamente come un cespite finanziario. Le ragioni industriali sono state spesso sacrificate alla logica perversa del debito. Più quest’ultimo cresceva (e ha superato anche i 30 miliardi) — o diventava, anche per l’aumento dei tassi d’interesse, di complessa gestione — più il gruppo si rimpiccioliva alla ricerca di un difficile equilibrio finanziario. Una spirale diabolica.

Il sì di Salvatore Rossi​

Il presidente di Tim, Salvatore Rossi (chi mai gliel’ha fatto fare a un valente economista di prendersi una grana così?) ha scritto al Financial Times che la cessione della Netco al fondo americano Kkr, con una quota di minoranza diretta del ministero dell’Economia, non ha nulla di nebbioso, misterioso. Il fatto che la proposta non sia passata né dal comitato parti correlate né dall’assemblea straordinaria sarebbe, sulla base di alcuni autorevoli pareri legali, del tutto legittima e conforme al diritto societario.

Il no di Vivendi​

Vivendi, che è il principale azionista con oltre il 23% (non un modello di governance e signorilità societaria) è di parere opposto e si accinge a promuovere un’impugnativa presso il tribunale di Milano. L’incertezza legale si riflette sull’andamento del titolo che forse è stato depresso, in questi anni, più dalle liti societarie che da tutto il resto. La separazione dalla rete, per un corrispettivo che oscillerà alla fine intorno ai 20 miliardi, è stata resa necessaria — riassumiamo le ragioni del management — da due fattori. Il primo è ovviamente il debito che verrà ridotto, secondo i programmi del gruppo guidato da Pietro Labriola, dagli attuali 21 a 6 o 7 miliardi, cioè due volte l’Ebitda, in un margine di relativa sicurezza, tanto è vero che Standard&Poor’s valuta un rialzo del rating.

Gli occupati​

La nuova società (Netco) della rete — che se l’Unione europea lo consentirà dovrebbe poi fondersi con Oper Fiber, partecipata dalla Cassa depositi e prestiti — assorbirà 20 mila addetti facendo scendere il totale della Serco, ovvero quello che rimane, a 16 mila. Comunque il doppio di Vodafone. Kkr gestirà la rete in autonomia per cinque anni, pur avendo l’azionista pubblico alcuni poteri di veto. Punterà a massimizzare il proprio investimento, applicando un sistema tariffario (Rab, Regulatory asset base) che renderà comunque più costoso l’uso dell’infrastruttura. La rete fissa tornerà, all’uscita del fondo americano, allo Stato, in una sorta di nemesi. A trent’anni dalla privatizzazione.
INFRASTRUTTURA


Gli enti regolatori​

La seconda ragione riguarda i vincoli regolamentari dei quali si è parlato poco. L’incumbent delle telecomunicazioni, ormai di fatto non più tale, ritiene di essere stato fortemente penalizzato dai due regolatori (Antitrust e Agcom) proprio in virtù del fatto di essere integrato verticalmente. Una volta snellito, come semplice società di servizi, potrà essere nella visione degli attuali vertici, più competitivo a partire anche dalle offerte commerciali. E qui emerge il primo interrogativo storico della privatizzazione di Telecom e della liberalizzazione del settore che comunque consente agli utenti italiani di pagare tariffe più basse rispetto a quelle in vigore in altri Paesi.

Troppa concorrenza?​

Di concorrenza ce n’è stata forse troppa (e disordinata) con una compressione dei margini che altrove non è avvenuta, penalizzando gli investimenti e, di conseguenza, la qualità futura dei servizi offerti alla clientela. Per esempio, l’Arpu (Average revenue per user) di Tim, cioè quanto rende un singolo cliente, è diminuito del 40 per cento in sei anni. Ormai è appena due euro più alto della controllata brasiliana, cresciuto del 32% nello stesso periodo, che per fortuna sostiene ancora l’intero gruppo, e un settimo dell’ex incumbent americano, ovvero AT&T. Gli Stati Uniti hanno tre grandi operatori; i Paesi europei superano i cento e l’Italia è quella che ne ha di più, cinque.

I giganti del web​

L’Europa, che pure ha inventato e lanciato il sistema Gsm, non ha saputo proteggere la propria industria delle telecomunicazioni esponendola all’invasione dei giganti del web, peraltro in gran parte statunitensi. «La lezione, purtroppo amara, che possiamo apprendere dall’intera travagliata storia delle telecomunicazioni italiane — commenta Francesco Sacco, docente di Digital economy all’Università dell’Insubria e alla Sda Bocconi, consulente in materia dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni — è che con una infrastruttura critica non si fa finanza. All’epoca delle privatizzazioni, agli inizi degli anni Novanta, la si ritenne meno importante di quella elettrica, attualmente gestita da Terna, non a caso pubblica. Non c’era una norma simile a quello che oggi è il golden power. Si vendette solo per far cassa».

La privatizzazione​

Come ricordano nel loro libro Illusioni perdute (Il Mulino), Pietro Modiano e Marco Onado, nel 1998, al momento della privatizzazione, Telecom era quarta in Italia per fatturato e prima per valore aggiunto. Non aveva debiti. E nonostante questo per costituire il primo «nocciolino» di azionisti stabili, Prodi e Ciampi dovettero faticare, quasi pregare i soci privati. Il gruppo Agnelli partecipò per un micragnoso 0,6%. L’Opa (Offerta pubblica d’acquisto) dei cosiddetti capitani coraggiosi, con in testa Roberto Colaninno, con la neutralità del governo D’Alema, nel 1999, caricò poi la società di un debito gigantesco. I mercati festeggiarono (e la stampa economica fu troppo indulgente). Si festeggiò persino nelle austere stanze di Mediobanca. Secondo la ricostruzione di Giuseppe Oddo e Giovanni Pons (L’affare Telecom, Sperling&Kupfer) l’offerta portò a un guadagno del 100% per chi aveva comprato azioni Telecom alla privatizzazione. Ma i debiti erano ormai il doppio del patrimonio. E la fusione con l’allora Tim, la società del mobile, nella sfortunata stagione di Pirelli e Benetton, a guida Tronchetti Provera, complicò ulteriormente la situazione debitoria. E poi è stata la volta di Telco (con Mediobanca, Generali, Sintonia e Telefonica) e di Vivendi.
IL GRUPPO FRANCESE


La spoliazione​

Una tragedia nazionale, ma anche una sistematica spoliazione del gruppo costretto a vendere partecipazioni anche strategiche (per esempio Loquendo, all’avanguardia nell’intelligenza artificiale ceduta nel 2011 all’americana Nuance) pur di reggere la pressione di azionisti affamati di dividendi e con una patologica e costosa girandola di manager. Angelo Cardani, docente alla Bocconi, è stato presidente dell’Agcom dal 2012 al 2020. «Il disegno di questa operazione — è il suo commento — sembra una diretta applicazione da un manuale di Economia: tutti gli operatori utilizzano la rete alle stesse condizioni, con l’imparzialità garantita dalla partecipazione pubblica. Qui cominciano i problemi: purtroppo in passato abbiamo visto che più di una volta lo Stato si è mosso non come arbitro ma come alleato di uno o più giocatori. Inoltre, bisognerà vedere se alla Serco, basterà una robusta riduzione di un’occupazione, oggi elefantiaca, e lo sperato taglio al debito per galleggiare e poi prosperare. Il management ha fatto ciò che ha potuto, non sempre purtroppo nell’interesse esclusivo della società». Senza la rete ci può essere un futuro stand alone, solitario? «Me lo auguro — risponde Cardani — ma non ne sono del tutto sicuro. La verità è che la società ha spesso usato la rete in maniera spregiudicata. Adesso chi gestirà l’infrastruttura lo farà certamente in un’ottica finanziaria, Kkr è un fondo, lo fa per mestiere. Ma Tim ha bisogno da tempo di una visione industriale. Siamo nell’epoca dei dati, una risorsa strategica. I dati si muovono nella rete. E se questa non funziona al meglio, non passa dal rame alla fibra, perde generazioni di investimenti, il prezzo sarà pagato dall’intero Paese».
 

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Tim: Merlyn ha lo 0,02% (MF)
Oggi 08:55 - MF-DJ
ROMA (MF-NW)--Poco piu'' di 3,2 milioni di azioni. Un pacchetto pari allo 0,021% del capitale ordinario, allo 0,015% del capitale sociale e dal valore economico di circa 840 mila euro alla chiusura di Piazza Affari di ieri. Il fondo Merlyn Partners, guidato dall''ex Jp Morgan Alessandro Barnaba, e Rn Capital Partners, fondato dall''ex manager Tim, Stefano Siragusa, hanno fatto disclosure nel weekend sull''intera quota di Tim in loro possesso, in forza della quale avevano presentato un piano alternativo per non vendere la rete. Barnaba e Siragusa, scrive MF-Milano Finanza, hanno comunicato ufficialmente la loro quota dopo una richiesta avanzata dalla Consob di dichiarare il totale delle azioni possedute. "Alla data del 6 novembre 2023 -si legge nella nota pubblicata domenica 12 novembre- Merlyn Partners e Rn Capital Partners detenevano congiuntamente, in proprio o per delega, complessive n.3.231.657 azioni ordinarie di Telecom Italia spa". Una partecipazione che alla data del 12 novembre non aveva subito modifiche. La quota in mano a Barnaba e Siragusa era diventata oggetto di discussione sin dal momento in cui era stato presentato il piano alternativo, denominato TimValue. I due fondi hanno sempre sostenuto di avere una quota inferiore al 3%, ma senza dare indicazioni precise, e di essere pronti a salire sopra il 5% se necessario. Il 3 novembre, primo giorno di riunione del board, Barnaba e Siragusa avevano inviato una lettera indirizzata alla societa'' spiegando di possedere circa 900 mila azioni complessive, pari intorno allo 0,006% del capitale. Si trattava pero'' di una disclosure parziale, come sottolineato da un comunicato arrivato nel pomeriggio di quello stesso giorno. "Merlyn ha ribadito a Tim di avere piu'' dossier titoli. Parimenti, e'' stata data disclosure di uno solo per dimostrare correttamente il suo essere azionista. Lo stesso ha fatto Rn Capital che ha dichiarato un dossier titoli di Stefano Siragusa. Non e'' compito della societa'' verificare le quote, ma ascoltare gli azionisti", avevano scritto. Il piano Merlyn e'' stato considerato non il linea con la strategia di riduzione del debito dal cda e inadeguato dall''ad Pietro Labriola nell''intervista concessa a Milano Finanza. Il ceo ha anche sottolineato come Tim, insieme agli advisor, ha valutato tutte le strade possibili per ridurre il debito e non ha trovato "una soluzione piu'' conveniente (alla cessione della rete, ndr)". Il titolo Tim, complice la possibilita'' che Fitch rialzi il rating, le parole di Labriola a questo giornale e le indiscrezioni di stampa su un possibile consolidamento in Italia, ieri e'' salito del 3,21% tornando ai livelli pre-cda, chiudendo poco sopra i 26 centesimi. Oggi e'' in programma un incontro tra societa'' e sindacati alla sede romana di Corso Italia per comprendere l''impatto dello scorporo della rete sui lavoratori, con un presidio organizzato da Cgil, Cisl e Uil. red fine

MF NEWSWIRES ([email protected])
 

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