PREFERIREI MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA.

Giorgia Meloni punta il dito contro la Ue e suona la sveglia al governo giallofucsia sul fronte dell’immigrazione.

“Niente redistribuzione automatica in Europa di chi entra illegalmente ma controllo esterno delle frontiere,

centri sorvegliati per chi entra illegalmente, distinguere tra chi ha diritto alla protezione internazionale da chi deve essere rimpatriato”
,

sintetizza così la leader di Fratelli d’Italia il piano immigrazione della Commissione Ue.


La Meloni va all’attacco dell’esecutivo Conte, doppiamente colpevole:

“Insomma, dalla von der Leyen una doccia gelata al governo Pd-M5S e alla sua politica delle porte aperte all’immigrazione illegale di massa“.

Pur sapendo benissimo, i giallofucsia, che al di là dei proclami la Ue non muove concretamente un dito
sul fronte dei ricollocamenti e dei rimpatri, continuano ad accogliere tutti indiscriminatamente.

“Il messaggio dell’Europa è chiaro: ‘Cara Italia, devi difendere le tue frontiere, perché i clandestini che farai entrare te li devi tenere tu’.

Cosa altro serve per fermare la furia immigrazionista della sinistra italiana?”.


La situazione è esplosiva: in Sicilia e sulle coste del sud gli sbarchi sono continui.

Come se non bastasse, spesso gli immigrati irregolari sono positivi al coronavirus,
e quindi mettono a rischio la sicurezza e la salute dei nostri concittadini.


E il governo che fa? Manda le navi quarantena a spesa dei contribuenti per caricarle di immigrati (nel tentativo di svuotare i centri di accoglienza).

Quando invece dovrebbe affrettarsi a chiudere porti e frontiere.

Ecco perché è più che conclamato che i giallofucsia siano degli immigrazionisti, intenti a ingrassare la florida filiera del business dell’accoglienza.


Oggi pomeriggio comunque il Comitato parlamentare Schengen, Europol e immigrazione
ascolterà il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sull’emergenza sbarchi
a fronte della diffusione dell’emergenza sanitaria da Covid-19.


“Ogni giorno assistiamo ad un aggravamento dell’emergenza migranti, con record di sbarchi e situazioni preoccupanti dentro e fuori dai centri di accoglienza”,

denuncia Eugenio Zoffili, presidente del Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen,
di vigilanza sull’attività di Europol e di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.


“Molte regioni del nostro Paese sono colpite da questo fenomeno, in particolare Sicilia e Sardegna ma penso anche alla Liguria,

al Friuli Venezia Giulia e a tutte le fasce di confine. Anche a fronte dell’ennesima beffa da parte dell’Unione europea,

mi auguro che oggi il ministro Lamorgese che ci dica chiaramente quali azioni concrete il governo intenda mettere in atto, da subito,

perché siamo in una situazione emergenziale aggravata da quella sanitaria, per potenziare uomini e mezzi delle forze dell’ordine

nelle zone più critiche e per fermare le partenze dal Nord Africa, velocizzando al contempo i rimpatri degli irregolari presenti sul suolo italiano”
.
 
Cos’è il Recovery Fund, come funziona e qual è il suo vero significato?


È con l’arrivo del coronavirus che l’intero Vecchio Continente ha iniziato a domandarsi cos’è il Recovery Fund e come funziona questo particolare strumento.


Fondo di recupero.

Questo il significato di Recovery Fund.


Tutte le principali economie del Vecchio Continente hanno archiviato la prima parte dell’anno con flessioni imponenti del PIL.


Ciò è accaduto a causa della pandemia che ha imposto all’UE di trovare e adottare una strategia condivisa per affrontare l’emergenza.

Questa, però, non è stata un’impresa facile.

Le opposizioni tra i rigidi Paesi del Nord, come l’Austria e l’Olanda, e quelli del Sud più colpiti (come l’Italia e la Spagna) sono emerse con prepotenza.


Il Recovery Fund nasce da una vecchia proposta francese elaborata con lo scopo di emettere i Recovery Bond, con garanzia nel bilancio UE.


Il tutto condividendo il rischio ma solo guardando al futuro, senza una vera mutualizzazione del debito passato.

Al centro della questione, dunque, sempre titoli di debito, ma con questa “leggera” differenza.


Il finanziamento del fondo è stato progettato attraverso la raccolta di liquidità data dall’emissione dei Recovery Bond.

  • 390 miliardi di sovvenzioni.
  • 360 miliardi di prestiti.

All'Italia 81,4 miliardi di sovvenzioni
127 milardi di DEBITO da restituire

I soldi saranno reperiti grazie all’emissione di debito garantito dall’UE e arriveranno soltanto nel primo trimestre del 2021.

I soldi verranno dati solo su progetti VINCOLATI dalla EU. Per finalità VINCOLATE dalla EU.


“c'è un equivoco di fondo sulla natura di queste risorse, dei 209 miliardi che l’Italia riceverà,

solo 30 possono essere considerati a fondo perduto. Tutto il resto andrà restituito
".

30 è la differenza fra 81.4 e quelli che noi dobbiamo mettere nel fondo.
 
Il 97% dei parlamentari era per il Sì al taglio dei seggi.

C’è chi fa notare che ha votato solo il 53% degli aventi diritto, quindi a votare Sì non è stato il 70% degli italiani, ma meno del 40%.

Semmai sono favorevolmente stupito dal 30% dei No, pari a 7,5 milioni gli italiani.

Sono i grillini, a cercare di intestarsi la vittoria dei Sì?

E dire che il primo M5S premeva per utili forme di democrazia diretta, una traccia purtroppo abbandonata (al pari di molte altre)
per poi decadere in queste grottesche sceneggiate demagogiche, come quella sulla vittoria di Pirro di questo referendum.


E sono per il finanziamento pubblico dei partiti, perché l’alternativa è il finanziamento privato,
che poi rende schiavi i politici di coloro che li finanziano.

Ricordo i grandi referendum dei Radicali, divorzio e aborto, che hanno migliorato la vita civile del paese.


La democrazia vive di partecipazione: ce l’hanno spiegato quei masnadieri oligarchici della superloggia
“Three Eyes” attraverso una loro promanazione come la Trilateral Commission.

Nel pamphlet “The Crisis of Democracy” viene detto a chiare lettere che bisogna disinnescare “l’eccesso di democrazia”, scoraggiando la partecipazione politica dei cittadini.

Una gestione post-democratica richiede l’apatia dei cittadini:

e che c’è di meglio, per favorire l’apatia, che scoraggiare la partecipazione ai referendum ?

E’ normale poi che il risultato sia questo, in un paese in cui la Meloni e Salvini si schierano per il Sì,
facendo il turpe giochetto di lasciare (come avvenuto nella Lega) che autorevoli dirigenti si dichiarino per il No: un leader non si comporta così.

Lo stesso Renzi, del resto, cavalcò a sua volta una certa onda dell’antipolitica, da posizioni ambigue:
capeggiava un partito strutturato come il pd, eppure fu lui a usare il termine “rottamazione”.

Ma cosa vogliamo rottamare?

Renzi provò a “rottamare” la Costituzione: gli andò male, ma almeno gli schieramenti dei partiti mostravano che era finito in minoranza.


Lo dico con compassione e tenerezza, verso i miei concittadini: gran parte degli elettori agiscono come pecore e asini.

Un po’ perché manca una formazione civica adeguata sin dalle scuole, e un po’ perché la gente è pigra, svogliata e mediocre nei ragionamenti.

Prima parla e poi pensa, prima agisce e poi parla.

L’elettore medio ha la coscienza di un dodicenne, cioè di un adolescente incerto e ignorante.

O lo istruisci, oppure lo affabuli, lo manipoli.

Ma in fondo, che prova ha dato, di sé, questa classe poltica?

Io capisco poi se arrivano quelli che fanno i golpe, convocano la gente negli stadi e sopprimono le libertà democratiche:
perché queste libertà vengono utilizzate molto male.

Un cittadino che è stato reso sovrano avrebbe il dovere di documentarsi.

Dovrebbe ragionare, sulle cose, anziché fare il troglodita, come avviene allo stadio:

ci sono cori, demonizzazioni, violenza verbale.

Il tifo da stadio è un modello emotivo: va benissimo in quella dimensione, ma non è esportabile nell’agone politico.


Questo è un paese dove alcuni gruppi politici, per anni, hanno demonizzato gli antagonisti:
ritenendoli non degli oppositori da battere su determinati programmi, ma degli avversari indegni,
da perseguire con la magistratura e da dileggiare e diffamare, tali da evocare il ritorno del fascismo, o (a scelta) del comunismo.

Anche Berlusconi– per anni demonizzato come il Cavaliere Nero, il satiro immorale e libertino, il corrotto, il colluso con la mafia –
era quello che poi, di fronte a un gruppo di potere come è stata la filiera Pds-Ds- Pd, cioè un gruppo di gente asservita alla destra economica globale, neoliberista,
li chiamava “comunisti”, e ancora li chiama così: ma comunisti de che?

Dove sta, il comunismo, nella teoria e nella prassi politico-economica del Pds-Ds- Pd ?

La classe politica della Seconda Repubblica ha diseducato gli elettori a ragionare.


Accadde già negli Usa contro il New Deal di Roosevelt: fu Edward Bernays, nipote di Freud, a inventare gli uffici stampa,
basandosi su criteri di psicologia collettiva per condizionare, sul piano emotivo, l’irrazionalità fanciullesca dei cittadini,
con campagne milionarie e messaggi subliminali.

Roosevelt si difese con Gallup, il pioniere dei sondaggi, convinto che la si potesse aumentare, la razionalità dei cittadini,
offrendo loro una comunicazione leale, e quindi trattandoli da adulti, non da bambini sottoposti alla paura.


Oggi, nel mondo, i potenti trattano i cittadini da bambini:

li terrorizzano con le bombe, con le sceneggiature dei terrorismo islamico

(qualche anno fa i tagliagole dell’Isis ogni settimana in televisione, a reti unificate).

Ora li terrorizzano con una pandemia di dubbia origine e di dubbia gestione.

E dal terrore nasce, poi, la facile manipolazione.

Nel caso del referendum, però, a incidere non è stato il terrore:

loro stessi, i politici, hanno per anni detto che sono corrotti e incapaci.

E si sono “tagliati le palle” da soli, visto che al 97% hanno votato per auto-ridursi, salvo poi frignare, a cose fatte.

Già, perché i parlamentari italiani sono abituati, a frignare: dopo che hanno fatto le cazzate, frignano.



In quanti hanno frignato, dopo aver approvato in modo bypartisan il pareggio di bilancio in Costituzione?


Ricordare qualcuno che si sia assunto, a posteriori, la paternità di quell’atto?


Sembrava che l’avessero portato i marziani, il pareggio di bilancio:

invece era stato il Parlamento, centrosinistra e centrodestra insieme, a consegnare a Monti le spoglie del paese, sotto l’egida di Napolitano.

Poi tutti sconfessarono quello che avevano fatto: sono dei cialtroni.
 
“non ci troviamo davanti a un virus naturale, ma a un patogeno artificiale rilasciato da un laboratorio.

Nessuno sta dicendo la verità: anche l’Oms collabora con il Partito Comunista Cinese”.


“Presto pubblicherò un nuovo rapporto, oltre a quello che ho già diffuso.
Conterrà molti dettagli specifici su come sia stato sviluppato il virus e su chi era in possesso delle sostanze utilizzate.
A quel punto tutti potranno vedere che ho ragione”.


La virologa ha lanciato un messaggio alla comunità scientifica, che l’ha accusata in passato di aver divulgato una teoria infondata:

“Lavoro in questo campo da anni, sono ai vertici della ricerca e so come funziona.
Lo studio che ho pubblicato è molto chiaro: gli scienziati e le riviste che mi hanno criticato non l’hanno esaminato con attenzione,
si sono fidati di ciò che è stato filtrato dalla bocca di altri accademici”.
 
Scusate, ma mentre nell’Italietta il partito scomparso dalle urne festeggia la vittoria elettorale

ed i leader dell’opposizione si rinfacciano le rispettive candidature sbagliate, fuori da qui è avvenuto qualcosina.


Per esempio, un discorso alle Nazioni Unite del presidente della più grande democrazia globale, Donald Trump.

Un discorso epocale, perché forse mai così esaustivamente quello che i media liberal ci presentano come un improvvisato col parrucchino
aveva spiegato la sua visione dell’America, dunque del mondo. E lanciato le sue sfide geopolitiche, che non sono fumosa dottrina,
ma urgenze dirimenti, chiariranno se vivremo liberi o a rischio internamento nei laogai cinesi, tanto per dire.

Un discorso che i giornaloni hanno nascosto a pagina 23 e i tiggì accennato prima della pubblicità,
pare che sia più importante per i nostri destini la probabile depressione di Michelle Obama.




Ebbene, proviamo a rimediare noi, che abbiamo molti difetti ma certo non la sudditanza alla narrazione modaiola,
quella che vuole Trump come un restauratore del Ku Klux Klan.

“75 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, siamo ancora una volta impegnati in una grande lotta globale”, debutta secco il Potus.

Infatti, e qui Trump persevera in un suo vizio politicamente scorretto, quello di dare alle cose il loro nome,

“siamo impegnati in una feroce battaglia contro il nemico invisibile, il virus cinese”.



Insiste, l’ostinato populista, anzi rilancia.

Non solo da mesi chiama un agente patogeno che è deflagrato ovunque partendo da Wuhan “cinese”,
ma ora lo fa nel tempio dell’ipocrisia internazionale, l’Onu.

A scanso di equivoci: “Dobbiamo ritenere responsabile la nazione che ha scatenato questa piaga nel mondo: la Cina”.

Nessun complottismo, bastano le omissioni e le menzogne iniziali,
bastano gli arresti di medici e infermieri,
basta il tentativo, chiaro fin da subito, di volgere l’epidemia sanitaria in pandemia economica a proprio vantaggio.

“Nei primi giorni del virus, la Cina ha bloccato i viaggi a livello nazionale, consentendo però ai voli di lasciare la Cina e infettare il mondo”.


Perché questo doppiopesismo, se non per una perversa politica “virale” di potenza?


Un’ovvietà che nessuno aveva mai sbattuto in faccia al Dragone, tantomeno alle Nazioni Unite.


Del resto, “il governo cinese e l’Organizzazione mondiale della Sanità- che è virtualmente controllata dalla Cina-

hanno dichiarato falsamente che non c’erano prove di trasmissione da uomo a uomo”.


Stanate infine dall’evidenza, “successivamente hanno falsamente detto che le persone senza sintomi non avrebbero diffuso la malattia”.




Unico tra i leader occidentali (e quello più frequentemente accusato di “negazionismo”, per dire quanto le etichette progressiste siano ormai merce avariata),
Trump inchioda il più vasto totalitarismo mondiale (un totalitarismo comunista, parrà sconveniente ai suonatori quotidiani dell’allarme fascismo, ma questo è)
alla propria malafede colpevole nel dilagare della pandemia.

Lo fa perché, e tutti i liberal-globalisti riciclatisi a cortigiani del tiranno Xi dovrebbero riflettere, “l’America sarà sempre un leader nei diritti umani”.

“Sappiamo che la prosperità americana è il fondamento della libertà e della sicurezza in tutto il mondo”, scandisce letterale:
altro che isolazionismo, disimpegno e tutte le fanfaronate precotte con cui l’Analista Unico ci ha taroccato la politica trumpiana.

Rifare grande l’America vuol dire anzitutto rifare grande la “città sulla collina” reaganiana, la guardiana notturna dei popoli liberi.

Meno a suo agio del predecessore con la retorica, Trump lo dimostra quasi asetticamente, mettendo in fila i fatti:

“Abbiamo cancellato il Califfato dell’Isis al 100%.
Abbiamo ucciso il suo fondatore e leader, al-Baghdadi.
Ci siamo ritirati dal terribile accordo nucleare iraniano,
abbiamo imposto sanzioni paralizzanti al principale sponsor mondiale del terrore
ed abbiamo eliminato il principale terrorista del mondo, Qasem Soleimani”.


Non c’è alcuna rottura con l’eredità bushiana della guerra al terrorismo islamico.

C’è rottura, questo sì, col dogma bellicista aprioristico del complesso militare-industriale,
ma ancora una volta in continuità con un grande riferimento repubblicano, Dwight Eisenhower:

“Abbiamo raggiunto una svolta epocale con due accordi di pace in Medio Oriente. Questi accordi di pace rivoluzionari sono l’alba del nuovo Medio Oriente”.


E ancora, il silenzio gretino e complice sulla Cina, le cui “emissioni di carbonio sono quasi il doppio di quelle degli Stati Uniti”,
la rivendicazione di “aver rivitalizzato la Nato”, dove alcuni Paesi avvezzi da decenni a scroccare la propria difesa al contribuente americano
“stanno ora pagando una quota molto più alta”, i tre vaccini anti-Covid che “sono nella fase finale dei test clinici”, con l’apparato per produrli in serie già testato.

Non è un caso, che il discorso sia stato insabbiato.


È chiaramente il discorso del comandante in capo del mondo libero che, a differenza di commentatori e giornalisti,
non vuole arrendersi al Partito Comunista Cinese, né agli ayatollah sgozzatori in nome di Maometto,
né al burocraticismo fintamente neutrale dell’Onu e dei suoi satelliti.

Un’ottima notizia.
 
2023......quando non ci sarà più l'economia.......ed il PIL.


Per l’Eurozona la stima è del -7,4 per cento, con un rimbalzo 6,1 per cento l’anno prossimo.

S&P Global Ratings, nell’aggiornare le previsioni economiche per l’Eurozona, rivede le stime sul Pil dell’Italia nel 2020
e le migliora dal precedente -9,5 per cento a -8,9 per cento e da +5,3 per cento a +6,4 per cento nel 2021.

“Stiamo anche abbassando leggermente le nostre aspettative per la disoccupazione,
che secondo le nostre previsioni raggiungerà un picco del 9,1 per cento nel 2021”, spiega Marion Amiot, senior economist di S&P Global Ratings.


L’economia dell’Eurozona si è ripresa più velocemente del previsto dalla prima ondata di Covid-19,
ma la prossima fase della ripresa potrebbe essere più impegnativa, sottolineano gli economisti di S&P Global Ratings
nel rapporto The Eurozone Is Healing From Covid-19.

“La riapertura delle economie è stata la parte più facile della ripresa”, afferma Amiot indicando che l’Eurozona
“sta ora entrando in un difficile periodo di transizione dal graduale ritiro del sostegno governativo verso l’attuazione del programma di riforma economica dell’Ue”.


E in questa situazione “la liquidità, il comportamento delle famiglie e la domanda – rileva – saranno cruciali
per consentire all’economia europea di superare questa transizione, e molto potrebbe andare storto lungo la strada”.

Gli economisti di S&P si dicono comunque “meno pessimisti sulle prospettive economiche con i rischi a breve termine che restano al ribasso”,
tuttavia “nuovi lockdown intaccherebbero rapidamente la fiducia e la crescita”.

Ma una “più rapida finalizzazione e distribuzione di un vaccino, che diventi ampiamente disponibile entro la metà del 2021-2022
potrebbe portarci a rivedere al rialzo le nostre proiezioni per il Pil del 2022-2023”.
 
Oggi verrà formato il sottocomitato parlamentare europeo per la riforma dai sistemi fiscali.

Un provvedimento ovvio in una unione profondamente ingiusta nella suddivisione del carico di imposte fra i suoi cittadini,
con tre paesi che hanno uno status di vero e proprio paradiso fiscale.

Paesi Bassi, Lussemburgo ed Irlanda applicano regimi tributari incredibilmente laschi rubando, letteralmente, introito fiscale agli altri Paesi.


Soprattutto il primo ha non solo un regime fiscale favorevolissimo dal punto di vista non sol dell’aliquota,
ma anche dell’esenzione di imposte sugli utili distribuiti e sulle plusvalenze da cessione di quote societarie.


Come riporta il Sole 24 Ore si calcola che i Paesi Bassi siano la sede di 15000 società fantoccio,

semplici buche delle lettere fiscali senza nessuna reale attività, senza dipendenti,

con flussi finanziari per 4500 miliardi di euro, la cui finalità è solo l’elusione, se non l’evasione, fiscale.

I teorici investimenti esteri in Olanda, ovvero i reali capitali sociali li collocati per evadere il fisco, sono pari a 5 volte il PIL del paese.




Ora chi elegge il parlamento europeo a presiedere la commissione FISC?

Ovvio, un Olandese, l’onorevole Paul Tang!
!


Il quale ovviamente andrà contro gli interesse del suo paese, della sua nazione, per aiutare italiani, spagnoli e francesi, ovvio!

Appare incredibile, francamente offensiva, la totale insensibilità della maggioranza parlamentare ed il suo cinismo piegato al gioco politico.


Naturalmente questa decisione è stata appoggiata da S&D e PPE,

di cui sono garruli membri (termine quanto mai appropriato) il PD e Forza Italia della volpe grigia Tajani
.


Pero vi assicuro, tutto andrà nell’interesse dell’Europa!

Perché, come è noto, il PD agisce nell’interesse dell’Europa, mica dell’Italia…


Leghiamo i cani con le salcicce, o visto quello che accade nella mensa del parlamento europeo, mettiamo i topi a guardia del formaggio.

Tutto immersi nell’ipocrisia delle riforme e della “Giustizia sociale”, tutte menzogne per fare gli olandesi ed i nordici più ricchi, e i mediterranei più poveri.


Per terminare: l’Unione minaccia spesso i big del web con la “Digital tax”.


Lo sapete che Google utilizzava fino a poco tempo fa uno schema chiamato “Double Irish with a Dutch Sandwich”

con il quale si utilizzavano due società irlandesi ed una olandese per far rimbalzare gli utili senza pagare tasse in nessun paese

e trasferire gli utili in un paradiso tropicale?


Il tutto dentro l’Unione europea.


Però il problema è l’idraulico che non vi emette la ricevuta.
 
La delegazione diplomatica della Federazione russa presso l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW)
ha chiesto formalmente alla Germania di fornire tutti i dati relativi al presunto avvelenamento di Alexey Navalny e di renderli pubblici.


Dopo che Berlino si è rifiutata di condividere qualsiasi dato relativo all'affare Navalny,
il fascio-liberista additato dall'occidente come oppositore di riferimento al governo di Putin,
Mosca ha chiesto che i dati vengano inviati all'OPCW.

La Russia ha contattato la Germania attraverso l'organizzazione, secondo quanto riferito a RT
dall'inviato permanente dell'organizzazione a controllo delle armi chimiche e batteriologiche, Aleksandr Shulgin.

"Abbiamo inviato una lettera alla rappresentanza permanente della Germania", ha dichiarato Shulgin a RT.

"Abbiamo chiesto ai tedeschi di fornirci informazioni esaurienti sui risultati di analisi, campioni di sangue, campioni biologici",
ha proseguito.
"Ho inoltrato una mia lettera personale al direttore generale dell'OPCW, Fernando Arias,
informandolo della nostra nota ai tedeschi e chiedendogli di renderla disponibile per tutti gli stati membri dell'organizzazione delle armi chimiche",
ha detto Shulgin.

Finora Mosca non ha ricevuto alcuna informazione da funzionari tedeschi nonostante le ripetute richieste di varie agenzie governative.

L'unico risultato di questa mancanza di comunicazione è l'interruzione dell'indagine interna russa su quanto accaduto a Navalny, ha proseguito Shulgin.

Tutto ciò ha ritardato l'indagine preliminare da parte del procuratore generale russo,
necessaria per determinare se l'incidente richieda o meno un'indagine criminale a tutti gli effetti.

La saga di Navalny ha avuto luogo il 20 agosto, quando l'oppositore si è ammalato su un aereo in viaggio dalla città siberiana di Tomsk a Mosca.

L'aereo ha dovuto fare un atterraggio di emergenza in un'altra città siberiana - Omsk - per poi essere trasportato alla clinica Charité di Berlino due giorni dopo.

Navalny è stata dimesso dall'ospedale di Berlino, con i medici tedeschi che ritengono possibile "la piena guarigione" dal presunto avvelenamento.

Tuttavia, i medici di Omsk hanno affermato di non aver trovato tracce di sostanze tossiche nei campioni di Navalny.


Intanto la saga Navalny sta complicando le relazioni tra Russia e Unione Europea, oltre che Russia e Usa.

Per l'ambasciatore USA a Mosca, John Sullivan:
"Purtroppo i canali di comunicazione si stanno restringendo a causa del comportamento della Russia.
Discussioni e negoziati sostanziali diventano difficili, a volte impossibili, quando il governo russo rifiuta di indagare
sull'avvelenamento di un proprio cittadino di spicco con un composto al nervino proibito,
le nostre elezioni interne negli Stati Uniti sono prese di mira dalle campagne di influenza sponsorizzate dalla Russia,
e i cittadini americani sono presi di mira con false accuse penali". Lo riporta Interfax.
 
Ah, l'europa ......

Presentare la bozza di riforma di un trattato chiave per i destini dell'Unione
ed ammettere, nello stesso tempo, di aver partorito un pateracchio che nessuno dei 27 Paesi membri vorrà mai votare non è da tutti.
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Per riuscirci ci volevano la presunzione e l'insipienza di una Commissaria per gli Affari Interni come Ylva Johansson.

Del resto buon sangue non mente.

Nel 1988, solo un anno prima del crollo dell'Urss, questa spregiudicata,
ma non troppo lungimirante ex professoressa di matematica esordì in politica facendosi eleggere deputata del Vpk, il partito comunista svedese.

Da allora le sue posizioni non sono molto cambiate.

Nonostante una carriera ai vertici dei governi di Stoccolma - prima come ministro dell'Educazione e poi del Welfare e del Lavoro -
la signora Johansson continua a militare nell'ala più a sinistra della social-democrazia svedese.

Ma a far più discutere, anche in patria, sono la sua presunta autorevolezza e la sua competenza.

Quando nel 2014 viene scelta come ministro del Lavoro, il Partito Social Democratico la incarica di conseguire il più basso tasso di disoccupazione dell'Ue.

Un obbiettivo non proprio centrato visto che nel 2019, al termine della cura Johansson,
la Svezia occupa il 18mo posto nella lista dei paesi con il più alto numero di lavoratori impiegati.

A dispetto degli insuccessi la presunzione non le fa, però, mai difetto.

Quando, nel 2019, all'Europarlamento le viene chiesto se intenda applicare anche in Europa
il lassismo normativo che garantisce mano libera alle pericolose gang di immigrati in tante città del suo paese
la Commissaria risponde di sentirsi «orgogliosa di una Svezia pronta ad accogliere così tanti rifugiati».

E con la stessa sicumera garantisce, durante un'intervista alla Bbc, che i casi di violenza sessuale nel suo paese «vanno giù giù e sempre più giù».

Salvo poi scusarsi e ammettere che le cose, in verità, vanno esattamente nella direzione opposta.

Insomma quanto basta per capire perché la risposta iniziale dell'Unione al contagio del Coronavirus, incautamente affidata - lo scorso marzo -
a una task-force guidata dalla stessa Johansson, si sia rivelata un micidiale fiasco.

Un fiasco che l'inveterata ministra si prepara a replicare anche nel campo delle politiche migratorie.

Senza la minima vergogna.
 
C'è un sistema semplice semplice per capire chi ha vinto e chi ha perso.
Il conteggio dei seggi attuali rapportato a quello delle precedenti regionali.

E' così semplice..........ed ovvio. Domani se ho tempo, lo faccio.

Chi ha vinto le elezioni regionali di domenica e lunedì?

Ad una prima lettura dei dati sembrano avere perso in molti.
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Considerando solo le sei regioni in cui si è votato (e escludendo quindi la Valle d'Aosta)
il Pd appare come la forza politica che ha raccolto il maggior numero di voti: 1.774.412 contro i 1.240.768 ottenuti dalla Lega, seconda in questa graduatoria.

Seguono FdI e poi il M5S che è crollato a 660.837 voti.

Tranne che il partito della Meloni tutti però hanno ottenuto meno voti che alle politiche del 2018 e alle Europee dell'anno scorso.

La circostanza si spiega considerando la presenza delle «liste per il Presidente»,
formazioni costituite ad hoc per queste consultazioni, basate sull'appeal personale dei singoli candidati
e che complessivamente hanno totalizzato 1.198.917 voti.

Anche aggiungendo questi consensi a quelli ottenuti dai partiti di riferimento dei candidati alla guida delle Regioni,
la graduatoria dei partiti sostanzialmente non cambia, con il Pd che ottiene complessivamente il 30.5% e la Lega che segue 23.3%


Ciò ha portato qualche esponente politico ad affermare che «Il Pd è il primo partito», o che «FdI ha ormai superato il M5s», proiettando così i dati a livello nazionale.


Si tratta di un operazione per molti versi azzardata.


Le regioni in cui si è votato sono infatti lungi dal rappresentare un campione degli elettori italiani.

Inoltre, queste elezioni, dato il loro carattere per molti versi locale, hanno visto un gran numero di elettori praticare scelte diverse
(talvolta opposte) che in passato, specie per ciò che riguarda le «liste dei presidenti».

Secondo i flussi elaborati da Swg, il 25% dei voti ottenuti dalla lista De Luca in Campania provengono dal centrodestra,
cosi come, di converso (sempre secondo la stessa fonte) «buona parte dei voti raccolti da Toti in Liguria proviene fuori dal centrodestra» (e dall'astensione).

Si ripeterebbe, in occasione di consultazioni nazionali, questa grande mobilità rispetto al passato?

Per certi versi, come ad esempio il drenaggio di voti per il M5s, da tempo segnalato dai sondaggi, probabilmente sì,
ma per altri forse no, specie nel momento in cui si è trattato di scelte legate specificatamente alla figura (e all'appeal) dei candidati alla presidenza delle diverse regioni.

Resta il fatto che, sino ad oggi, le rilevazioni condotte su campioni nazionali non confermano la graduatoria di partiti emersa dal voto regionale.

Secondo Demopolis (il cui presidente Vento è stato interpellato da Repubblica) il distacco tra Pd e Lega è notevolmente diminuito (da 15 punti a 4) da agosto ad oggi,
ma rimane tuttora a favore di quest'ultima.

E anche i dati di Eumetra confermano questo scenario.

Ancora, Alessandra Ghisleri, su La Stampa, sottolinea la «contraddizione» tra le rilevazioni a livello nazionale
che pongono tuttora il M5s come terzo partito e la graduatoria parziale emersa dalle elezioni di domenica.

Le elezioni regionali hanno quindi dato dei segnali importanti sulle tendenze dell'elettorato.

Ma occorre grande cautela nell'assumerle come un trend nazionale consolidato.
 

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