PREFERIREI MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA.

Fuffa. Esclusivamente fuffa. Solo fuffa retorica. Il nulla.
....qualcuno mi dica cos'è il "family act", le "skill" ed il "mismatch"
la formazione "on the job" ed il "life-long learning".
Poveri dementi che è giunta l'ora di rispedire al loro oblio.

Trasmessa alle Camere la proposta di Linee guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR),
che in 38 pagine sintetizza e priorità di Governo per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund destinate all’Italia.


In base al parere parlamentare, sarà poi elaborato lo schema di Piano completo di progetti di investimento e di riforme nel’ambito del Recovery Plan.


Tra gli obiettivi di lungo termine il documento riporta le seguenti priorità:

  • Raddoppiare il tasso di crescita dell’economia italiana (0,8% nell’ultimo decennio), portandolo quantomeno in linea con la media UE (1,6%).
  • Aumentare gli investimenti pubblici per portarli almeno al 3% del PIL.
  • Incentivare gli investimenti in R&S.
  • Conseguire un aumento del tasso di occupazione di 10 punti percentuali per arrivare all’attuale media UE (73,2% contro il 63,0% dell’Italia).
  • Elevare gli indicatori di benessere, equità e sostenibilità ambientale.
  • Ridurre i divari territoriali di PIL, reddito e benessere.
  • Promuovere una ripresa del tasso di fertilità e della crescita demografica.
  • Abbattere l’incidenza dell’abbandono scolastico e dell’inattività dei giovani.
  • Migliorare la preparazione degli studenti e la quota di diplomati e laureati.
  • Rafforzare la sicurezza e la resilienza del Paese a fronte di calamità naturali, cambiamenti climatici e crisi epidemiche
  • Garantire la sostenibilità e la resilienza della finanza pubblica.

Tra le politiche di supporto spiccano:
  • Investimenti pubblici
  • Riforma della Pubblica amministrazione
  • Ricerca e sviluppo
  • Riforma del Fisco
  • Riforma della Giustizia
  • Riforma del Lavoro
Riforma del Fisco

Le linee guida prevedono la presentazione di una specifica Leggi Delega entro fine 2020, con emissione dei decreti attuativi entro fine 2021.

Obiettivi
  • Riduzione strutturale del cuneo fiscale sul lavoro tramite riforma IRPEF in chiave progressiva.
  • Sostegno alle famiglie e alla genitorialità in raccordo con il Family Act.
  • Revisione dei sussidi, con particolare attenzione a quelli dannosi per l’ambiente.
  • Semplificazione degli adempimenti per i contribuenti e le imprese.
  • Contrasto all’evasione fiscale, promuovendo l’uso dei pagamenti digitali e migliorando le risorse delle agenzie fiscali e delle autorità di controllo.
  • Pieno utilizzo e interoperabilità delle banche dati nel rispetto della privacy.

Strumenti
  • Miglioramento dell’equità, efficienza e trasparenza del sistema tributario.
  • Aumento offerta di lavoro e investimenti materiali e in R&S delle imprese.
  • Contributo al conseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale.
Riforma del Lavoro

Le linee guida prevedono la presentazione delle Leggi Delega entro aprile 2021, con emissione dei decreti attuativi per fine 2021.

Obiettivi:

aumentare il tasso di occupazione;
migliorare l’equità, tutelando i lavoratori vulnerabili e garantendo salari dignitosi;
incentivare la produttività del lavoro con il rafforzamento degli incentivi fiscali al welfare contrattuale e la promozione della contrattazione decentrata;
accrescere le skill e ridurre il mismatch tra competenze domandate e offerte.


Strumenti attuativi
  • Revisione ammortizzatori sociali in chiave perequativa.
  • Attuazione delle politiche attive del lavoro legiferate in anni recenti.
  • Formazione on the job e life-long learning.
  • Salario minimo per tutelare le categorie più deboli, fissato a livelli competitivi
  • Contrasto al lavoro in nero e all’evasione contributiva.
  • Riduzione incidenza NEET e avviamento dei giovani al lavoro.
  • Promozione del lavoro femminile.
 
Inadeguato è la parola giusta.
È professore di Storia contemporanea all’università La Sapienza di Roma.
Ex vicedirettore dell’Istituto Gramsci, ha fatto parte delle varie incarnazioni della sinistra negli anni Novanta
e poi nei primi anni Duemila, prima di entrare nel PD al momento della sua fondazione.
Fra il 2001 e il 2006 era membro della segreteria di Roma dei Democratici di Sinistra, uno dei due partiti predecessori del PD,
e fece parte della commissione che scrisse il manifesto fondativo del partito.
Nel 2009 fu eletto al Parlamento Europeo nella circoscrizione dell’Italia centrale, e da allora è stato rieletto altre due volte, nel 2014 e nel 2019.


Esauriti i 6 mld di euro stanziati con il Decreto Rilancio per il finanziamento dei "contributi a fondo perduto"
per imprese e Partite IVA con fatturato fino a 5 milioni di euro che hanno subito perdite a causa della crisi Covid:

restano quindi congelate le ultime domande pervenute, in attesa di rimpinguare il plafond inizialmente previsto.


"Le ultime tranche non sono state pagate: è stato speso tutto."

Lo ha spiegato il Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, nel corso dell’audizione sulle linee guida del PNRR italiano e del Recovery Plan,
davanti le Commissioni Finanze riunite di Camera e Senato.


La misura, diversamente da altre a rischio flop come il "bonus vacanze" (destinatario di 2 mld e “prenotato” per appena il 25%),
«ha funzionato così bene che ha tirato più dello stanziamento».


"Dovremo aggiungere alcune centinaia di milioni spostandoli da alcune misure che hanno tirato meno."

Essendo ormai chiusi i termini per richiedere il contributo, si tratta di mettere in pagamento le istanze già pervenute,
il cui importo minimo – lo ricordiamo – è di mille euro per le persone fisiche e a 2mila per i soggetti diversi.
 
Valerio malvezzi interviene a RadioRadio e ci presenta come verranno spesi, o meglio sprecati,
i famosi 209 miliairdi che dovrebbero arrivare dal recovery fund.

Ricordiamo che questi o sono prestiti o sono soldi che vengono pagati dai contributi dei singoli stati o da “Mezzi propri”,
cioè tasse europee che i singoli cittadini verranno a versare.


Si tratta di risorse quindi dei cittadini, il nostro stesso Sangue che va a Bruxelles e torna indietro. Come viene impiegato?


Malvezzi ci legge i più significativi progetti pubblicati dal Corriere della Sera: si va dagli interruttori intelligenti della Farnesina,
ai 3 miliardi per i “Navigator digitali” a progetti per far capire agli italiani che pagano le tasse.

Tutti soldi, letteralmente, sprecati.

Soldi della tasse che non fanno altro che alimentare le assurde ambizioni di un gruppo di incapaci.

 
Se non ne avete avuto abbastanza per ben comprendere lo stato di incompetenza
degli attuali governanti, Vi ricordo :


Partire di mascherine acquistate con finte fideiussioni nel periodo peggiore della pandemia in Italia,
con il lockdown che costringeva in casa le famiglie, e poi vendute agli enti pubblici a prezzi gonfiati,
anche cento volte più del valore reale in certi casi.


Costringendo così lo Stato a degli esborsi per milioni e milioni di euro.

In alcune circostanze, le protezioni erano anche prive di certificazioni.

Una volta che la fase più acuta dell’emergenza Covid-19 sembra ormai alle spalle, l
a Procura di Roma ha così iniziato a muoversi per fare chiarezza su quanto accaduto nei mesi scorsi.

Con i magistrati guidati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo che hanno già aperto quattro diversi fascicoli,
con una decina di persone indagate per frode in commercio.




Prezzi gonfiati e certificati falsi: lo scandalo mascherine costato milioni di euro all'Italia



Ad anticipare i dettagli delle inchieste è stato il Corriere della Sera, secondo il quale si tratta soltanto del primo passo di un’indagine
che mira a verificare anche se all’interno delle amministrazioni (Regione, aziende sanitarie, Protezione civile) ci siano funzionari infedeli
che abbiano agevolato aziende in cambio di soldi.

Episodi di corruzione, dunque, che potrebbero aver influenzato decisioni sanguinose da un punto di vista economico.

Un lavoro svolto anche grazie all’aiuto dell’Agenzia delle Dogane guidata da Marcello Minenna,
che ha bloccato numerosi carichi segnalando le irregolarità compiute e consentendo di ricostruire il percorso dalla produzione all’estero sino all’arrivo alla frontiera e poi alla consegna.


I sequestri effettuati forniscono un primo quadro della situazione, tutt’altro che rosea:

oltre al blocco di 4 milioni e 800 mila mascherine, nei magazzini sono rimasti 65 mila e 800 dispositivi per la terapia intensiva,
oltre 26 milioni di guanti monouso, 216 tute, più di 47 mila occhiali e persino 86 mila confezioni di alcool.

Prodotti non conformi alle norme, la maggior parte con una certificazione fasulla.


Vere e proprie truffe a danno dello Stato portate avanti nel momento del bisogno,
quando era chiaro che le protezioni per il viso potessero trasformarsi in una svolta economica per le aziende e gli intermediari visto che l’Italia,
che non ne produceva, doveva ovviare alla carenza di materiale nelle strutture sanitarie.


Mentre alcune società chiedevano al ministero della Salute il via libera per riconvertire la propria attività,
altri si concentravano così sui contatti con ditte estere, soprattutto cinesi.

E si affidavano a mediatori per riuscire ad aggiudicarsi le forniture.

Alcuni sono stati indagati per aver preteso milioni di euro per favorire il contatto che in realtà si è rivelato inesistente.

Altri si sarebbero adoperati per far elargire fideiussioni o polizze a garanzia agli enti pubblici che si sono rivelate poi false,
come nel caso delle mascherine vendute alla Regione Lazio.



A inizio aprile il caso più eclatante: l’arresto di un imprenditore che si era aggiudicato una gara Consip
da 253 milioni di euro per 24 milioni di mascherine che dovevano essere consegnate entro tre giorni e che, invece, non esistevano affatto.
 
Anche qui. Disposizioni inesistenti. Banchi e miliardi di euro gettati al vento.......a beneficio di qualcuno ?
Guardate la foto dei banchi gettati. Sono nuovi e sono monoposto........chi è quel dirigente scolastico che ha approvato ?

C’è una telefonata che qualcuno sta aspettando con trepidazione in questi giorni.

Quella dei presidi delle scuole italiane che attendono l’annuncio, da parte della struttura di Domenico Arcuri, dell’arrivo tanto atteso dei banchi.


Le scuole sono iniziate, ma i banchi ancora non ci sono.

“Su 2,4 milioni di ordinazioni, 200mila sono stati consegnati”, riferisce il Corriere della Sera.


In molte scuole hanno già tolto quelli vecchi a due posti, in altre li usano ancora,
ma in aula può stare solo la metà degli studenti e gli altri seguono da casa.


Entro la fine del mese dovrebbero essere consegnati in tutte le elementari del Nord Italia.

Nel Lazio e nelle scuole del Sud, dovranno aspettare anche fino alle prime settimane di ottobre.

A seguire si procederà con le forniture per medie e superiori.



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Stando ai termini previsti dal bando, tutti i banchi dovrebbero esser nelle aule entro il 31 di ottobre,
ma perchè scattino le penali per il ritardo dei produttori “potrebbe passare ancor una dozzina di giorni”,
spiega Emilio Salvatorelli, della Vastarredo, una delle ditte che ha vinto un lotto da 500mila banchi e 300mila sedie.


Gli studenti senza banchi, con i quaderni sulle sedie, i presidi in attesa agonizzante, gli insegnanti in alto mare,
che devono riuscire a gestire la situazione e i produttori sommersi dalle incertezze:

“ci cambiano spesso il luogo in cui dobbiamo consegnare”, infatti negli ultimi giorni,
“invece di mandare una forntura di banchi nel Lazio, abbiamo dovuta spedirla in Piemonte per coprire il ritardo di un’altra azienda”.



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Il governo ‘del mistero’, non si è smentito nemmeno con l’istruzione,

“non sono stati ancora resi publici i contratti firmati con le 11 aziende vincitrici del bando di gara per la produzione/fornitura degli arredi scolastici.

Stando a quanto dichiarato da Salvatorelli, le cifre da aspettarsi sono alte.

A incidere molto è soprattutto la consegna, “portare tutti questi banchi rapidamente in posti diversi fa sì che il prezzo arrivi anche a raddoppiare”.



Tra le tante altre cose che non sono state prese in considerazione vi è il dubbio di dove i banchi sostituti andranno a finire.

“I presidi temono, una volta ricevuti quelli nuovi, di non sapere dove mettere quelli vecchi”.
 
SE avessimo ancora la sovranità monetaria, altro che debiti mes e quant'altro .......


Da oggi (16 settembre) il Giappone ha un nuovo primo ministro: Yoshihide Suga, presidente del Partito Liberal Democratico
ed ex ministro degli affari interni e delle comunicazioni e segretario generale del governo negli esecutivi guidati da Shinzō Abe.

Sotto la sua guida, possiamo essere certi che il Giappone continuerà a impartire lezioni di macroeconomia al mondo
e a sfatare i molti miti che, ahinoi, continuano ancora a circolare in materia di deficit e di debito pubblico, soprattutto nella nostra disgraziata Europa.



Solo qualche giorno fa, nel corso di un’intervista, Suga ha dichiarato chiaramente

che non c’è alcun limite al volume di titoli di Stato che può emettere il governo giapponese

e dunque al rapporto debito/PIL del paese, che quest’anno dovrebbe raggiungere il 270 per cento (sì, avete letto bene).

«L’unica cosa che conta in questo momento è migliorare le condizioni economiche: creare posti di lavoro e proteggere le imprese», ha aggiunto.




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Suga si è limitato a enunciare una banalissima verità, che, però, in un tempo di inganno universale

(soprattutto sui temi economici) quale quello che viviamo da anni, acquista una valenza quasi rivoluzionaria.



Detto molto semplicemente, per uno Stato che dispone della sovranità monetaria e che emette debito nella propria valuta,

non c’è alcun limite intrinseco alla quantità di debito che esso può emettere, né in termini assoluti né in rapporto al PIL;

non c’è alcuna “soglia” oltre la quale si va incontro a chissà quali conseguenze nefaste
(giusto qualche anno due economisti di fama mondiale pubblicarono un celebre paper, poi smontato da un studente ventenne,
in cui affermavano che il debito pubblico diventava un problema una volta superata la soglia del 90 per cento del PIL:
in pratica il Giappone, con il suo rapporto debito/PIL del 270 per cento, dovrebbe essere messo peggio della Libia).


La verità è che uno Stato che rispetta le suddette condizioni – cioè che emette la propria valuta ed emette debito nella suddetta valuta –

non potrà mai rimanere a corto di soldi, né potrà mai trovarsi impossibilitato a finanziare (e rifinanziare) il proprio deficit/debito,

per il semplice fatto che, nel caso in cui non vi fossero investitori privati disposti a comprare i titoli emessi dallo Stato al tasso di interesse fissato da quest’ultimo

– come dimostra il Giappone, lo Stato ha sempre il potere di determinare il tasso di interesse sui propri titoli –,

la banca centrale può sempre intervenire per comprare i titoli essa stessa o per rimborsare i titoli in scadenza

(quello che in gergo tecnico si chiama rollover) attraverso la creazione di denaro dal nulla.



Come viene riconosciuto persino in uno studio della BCE di qualche anno fa:

«In uno Stato che dispone della propria moneta fiat, l’autorità monetaria e quella fiscale

sono in grado di garantire che il debito pubblico denominato nella propria valuta nazionale non sia soggetto al rischio di default,

nella misura in cui i titoli emessi dal governo sono sempre monetizzabili in modo equivalente».



Questo è esattamente quello che la Banca del Giappone sta facendo da anni (ma che in misura minore stanno facendo un po’ tutte le banche centrali).

Oggi essa possiede quasi il 45 per cento di tutti i titoli di Stato emessi dal Giappone;
considerando che la variazione nella quota di titoli detenuta dalla Banca del Giappone negli ultimi anni
è aumentata molto più della variazione nel volume di titoli totali emessi, questo significa che la Banca del Giappone
negli ultimi anni ha effettivamente finanziato per intero – o “monetizzato” – il deficit di bilancio giapponese.


In quest’ottica, risulta evidente come il debito pubblico, in un regime di cooperazione tra banca centrale e Tesoro,
non sia altro che un debito che un ramo dello Stato ha nei confronti di un altro ramo dello Stato:


un debito, in altre parole, che lo Stato ha nei confronti di se stesso e dunque, a tutti gli effetti, fittizio.


Un debito, cioè, che esiste solo dal punto di vista contabile, ma che non comporta conseguenze di alcun tipo,
a prescindere dalla sua entità, perché non deve realmente essere ripagato.



Come riconosceva un economista tutt’altro che radicale come Luigi Spaventa già negli anni Ottanta
a proposito della cooperazione tra Tesoro e Banca d’Italia che era la norma prima del “divorzio” del 1981:

«Lo stock di base monetaria creata tramite il canale del Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente.
Ciò si vede bene qualora si consolidi il Tesoro con la banca centrale: in questo caso manca
un vero e proprio debito corrispondente alla base monetaria creata dalla Banca d’Italia per conto del Tesoro,
e in ciò consiste l’essenza del potere del signoraggio».



Ora, va da sé che in Giappone non si è manifestata nessuna delle piaghe bibliche che, a detta di tutti gli economisti mainstream,
dovrebbero manifestarsi per effetto della monetizzazione del deficit e/o del debito:

tassi d’interesse alle stelle,

inflazione galoppante

ecc.

I tassi di interesse continuano ad essere vicini allo zero – per il semplice fatto che, come detto, che li fissa la banca centrale –,
mentre l’inflazione, semmai, continua ad essere eccessivamente bassa, in Giappone come altrove.

Una conseguenze visibile della politica monetario-fiscale giapponese però c’è:

il Giappone è uno dei pochi paesi in cui il tasso di disoccupazione, nonostante la pandemia e la recessione globale in corso,
non è aumentato quasi per nulla, rimanendo sotto la soglia del 3 per cento.



A dimostrazione di come il tasso di disoccupazione sia sempre una scelta politica e del ruolo fondamentale della politica di bilancio nel regolare il tasso in questione.

Come notava qualche tempo fa Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazionale (FMI),

«far aumentare in maniera significativa il deficit primario e il debito pubblico è stata la scelta giusta [per il Giappone].
Il disavanzo primario, in particolare, che ha registrato una media del 5,4 per cento dal 1999 ad oggi,
ha giocato un ruolo cruciale nel sostenere la domanda e la produzione».


In sintesi: il Giappone rappresentata la smentita vivente di tutte le mistificazioni del mainstream economico sulla natura e il ruolo del deficit e del debito pubblico,

nonché sulle conseguenze devastanti che si sarebbero presumibilmente dovute avere per via dell’aumento del deficit e del debito pubblico,

inculcateci in questi anni per giustificare brutali politiche di austerità che non avevano alcuna ratio tecnica o scientifica.



Ovviamente, quanto detto a proposito del Giappone e degli altri paesi che dispongono della sovranità monetaria
non si applica a quei paesi che si indebitano in una valuta che non controllano, come avviene nell’eurozona.

Come scrive la stessa BCE nel succitato rapporto:


«Sebbene l’euro sia una moneta fiat, le autorità fiscali degli Stati membri della zona euro hanno rinunciato
alla possibilità di emettere debito esente dal rischio di insolvenza (non-defaultable debt)».



Sarebbe a dire che, sebbene oggi anche la BCE stia praticando una parziale monetizzazione del debito,
i singoli Stati rimangono comunque alla sua mercé:

in qualunque momento la BCE può rivedere la propria politica monetaria e far ripiombare uno Stato nelle fauci della speculazione.


La differenza, alla fine, sta tutta qua:


in Giappone (e in tutti gli altri Stati che dispongono della sovranità monetaria), la banca centrale è effettivamente dipendente dal governo;


nell’eurozona, invece, sono gli Stati ad essere dipendenti dalla banca centrale.
 
Mentre da noi funziona così. SVEGLIA


I prestiti del Recovery Fund

«se non compensati da riduzioni di altre spese o aumenti delle entrate, contribuiranno ad accrescere il deficit e l’accumulazione di debito».


Lo si legge nelle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) inviate al Parlamento.

Per questo, viene spiegato,

«al PNNR dovrà pertanto affiancarsi una programmazione di bilancio volta a riequilibrare la finanza nel medio termine dopo la forte espansione del deficit».




Insomma, come avevamo anticipato, i fondi del Recovery Fund non andranno a pesare solo sul debito ma anche sul deficit.


La trappola sta tutta qui:

da un lato si chiederà all’Italia di continuare a tagliare le spese
(e dunque di ridurre l’entità della spesa pubblica sotto il proprio controllo)
e/o aumentare le tasse per finanziare il nostro avanzo primario e lo stesso Recovery Fund (di cui siamo anche contribuenti),


mentre dall’altro ogni nuova spesa verrà a dipendere dal Recovery Fund e quindi “passerà” per Bruxelles.



Insomma, più soldi prenderemo dall’Europa – che a sua volta deciderà come dobbiamo spenderli –, più saremo costretti a tagliare la spesa pubblica.



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Questa è la vera polpetta avvelenata del Recovery Fund:

l’usurpazione definitiva di quel minimo di autonomia di bilancio – e dunque di democrazia – che ci era rimasta.


Finalmente, a colpi di crisi e di emergenze (spesso e volentieri costruite a tavolino),

le élite nordeuropee sono riuscite ad ottenere, con la complicità di una classe dirigente italiana venduta e pusillanime,

quello che vanno agognando da sempre: un controllo politico pressoché totale della politica economica dei paesi mediterranei.
 
Galloni a Futuro e Identità organizzato da Vox e Francesca Salvador il week end scorso a Stra (Venezia)

descrive le 4 opzioni di fronte all’emergenza Covid:

da quella dello sterminio di massa

alla moneta non a debito

passando dal prestito internazionale che ci rende schiavi

e dalla soluzione “Draghi” meno austera ma pur sempre nel paradigma del debito.

 

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