Diciotto Giovanni Azzolini
Prostitute con la partita iva. Questi gli scenari da finanza creativa che potrebbero aprirsi se andasse in porto il quesito proposto dal
sindaco leghista di Mogliano Veneto, Giovanni Azzolini, 40 anni. Sul sito istituzionale del Comune in bella mostra compare la sua proposta di raccolta firme per l’abrogazione parziale della Legge Merlin, quella che cancellò le “case chiuse” (iniziativa annunciata sulla Gazzetta Ufficiale del 19 luglio 2013 n. 168). Un refrain che periodicamente ritorna. Ma oggi c’è chi pensa di affrontare la crisi e i rigori della spending review tassando le donne e non solo che esercitano il mestiere più antico del mondo. Ma sempre in questi casi ci si chiede. E’ morale che lo Stato si erga a “pappone”? Azzolini è partito con le idee chiare come un treno con l’obiettivo entro il 30 settembre di rastrellare per ogni dove 500mila firme. Non si tratta, secondo Azzolini, di abrogare il reato, ma di regolamentare il fenomeno.
Sindaco Azzolini, Mogliano Veneto, si è conquistata uno spazio nella ribalta nazionale. Per la vostra iniziativa di Referendum abrogativo della legge Merlin, la 352 del 1970. Come è nata l’iniziativa?
In realtà è partita da me. Se ne parlava da anni. Ma poi nessuno faceva niente. Io sono partito e basta. Ora anche molti altri sindaci hanno aderito anche se tutti all’inizio erano un po’ diffidenti. E una questione che ora va oltre le appartenenze politiche
Fare cassa con le prostitute o opporsi al degrado urbano. Quali gli obiettivi?
Io ne faccio una questione economica e una questione di decoro urbano. In tutta Italia ci sono strade dove viene esercitata la prostituzione. La nostra è la statale 13, il cosiddetto “Terraglio”, che da Venezia arriva a Treviso e la stessa che percorrevano i ricchi veneziani per venire nelle loro ville del Trevigiano progettate dal Palladio. Oggi il Terraglio è diventata la strada della prostituzione.
A quali altri mezzi avete fatto ricorso per contrastare il fenomeno?
Io ho provato in tutti i modi. Anni fa, per provocazione, feci mettere dei cartelli con raffigurate donnine in minigonna e tacchi alti con la scritta “Pericolo”. Una provocazione, appunto, per porre l’accento sulla questione. Poi abbiamo provato con le multe, sia al cliente sia alle prostitute. I clienti pagavano subito. Nel territorio di nostra competenza dove operano circa una sessantina di prostitute ogni sera comminavamo multe per oltre 7 mila euro. Poi ci si siamo avvalsi del Decreto Maroni che consentiva ai sindaci di emanare delle ordinanze in materia di sicurezza urbana. Ma questo Decreto venne poi dichiarato incostituzionale in quanto le ordinanze posso essere emesse dai sindaci solo per situazioni contingibili ed urgenti e non possono dare disposizioni permanentemente. Quindi, per un certo periodo, ho emesso una ordinanza solo per 90 giorni.
Dai vostri riscontri di quale nazionalità sono le prostitute che esercitano a Mogliano Veneto?
Sono una mescolanza di nazionalità, ci sono anche i transessuali. Sono tutte maggiorenni. Alcune sono sudamericane, altre nigeriane, altre italiane, altre, il 60%, europee. I nostri vigili urbani effettuando i controlli hanno verificato che molte hanno il passaporto ungherese o romeno anche se non sono poi nate effettivamente in Ungheria o in Romania. Abbiamo inoltre verificato che molte esercitano in piena autonomia, non hanno infatti un pappone, o un magnaccia che le sfrutti. Sono donne che decidono di fare le prostitute per professione. In questi anni abbiamo cercato di adottare varie misure. In stretta collaborazione con i carabinieri sono stati effettuati molti arresti degli sfruttatori, sono stati inoltre fatti degli accordi per garantire la sicurezza con il prefetto, abbiamo avviato dei percorsi di recupero delle prostitute, impiegano molti soldi. Ne abbiamo recuperate solo due. Il dato importante è che abbiamo scoperto che moltissime lo fanno come fosse una normale professione. Da qui deriva la conseguenza di considerarle tali e tassarle, individuando una specifica categoria di Partita Iva, come le altre professioni. Cosa che oggi non è consentita dalla legge Merlin laddove all’art.7, del quale chiediamo l’abolizione, non consente di procedere a forme dirette o indirette di registrazione. Abbiamo avuto finora le armi spuntate.
Cosa prevede in particolare il quesito del referendum abrogativo da voi proposto?
Quello che noi chiediamo è l’abrogazione parziale della legge Merlin. Una legge obsoleta, che non ha disincentivato il fenomeno dello sfruttamento e che deve essere cambiata. Non chiediamo di abrogare il reato di prostituzione ma l’abrogazione di alcuni articoli, quelli che impediscono di esercitare la professione “sotto un tetto”. L’abrogazione potrà consentire ai sindaci di individuare i luoghi dove poter collocare questi spazi. Chiediamo inoltre di abrogare quella parte della legge Merlin che vieta, come già detto, un albo o un registro impedendo di fatto oggi di trovare strumenti per tassare le prostitute. Le cose sono due. “Tolleranza doppio zero” che prevede di mettere in galera chi fa sfruttamento da un lato e dall’altro lato regolamentare, partendo dall’abrogazione parziale di alcune disposizioni della legge Merlin, del fenomeno.
Quanto si pensa di introitare?
La riapertura degli spazi per esercitare la prostituzione e la possibilità di introdurre tasse ci consentiranno di recuperare le risorse non riscosse oggi dall’Imu sulla prima casa. Si parla di una somma stimata dai 4 ai 20 miliardi di euro. In Germania l’introito si aggira tra gli 8 e i 10 miliardi. Si fa presto a fare le somme. Significa essere responsabili. Reperire risorse. Regolamentare il fenomeno e andare a fortificare con queste somme le politiche sociali anche per prevenire il fenomeno.
Anche le donne firmano il vostro referendum?
Quella della prostituzione è una ipocrisia tutta italiana. L’80% dei sottoscrittori della nostra raccolta di firme per l’abrogazione parziale della legge Merlin è costituito da donne, dai 30 in su, ma anche signorine molto giovani. Ritengono che sia giusta una regolamentazione. Se oggi andiamo in palestra ci chiedono un certificato di sana e robusta e costituzione. Per le prostitute, nonostante i rischi, questo oggi non richiesto. Finora le proposte, una cinquantina di proposte di legge in Parlamento, non hanno portato a niente. Stiamo utilizzando uno strumento di democrazia diretta come il referendum abrogativo per dare una risposta alle tante sollecitazioni. I cittadini ci marcano a uomo a uomo. Tutti dicono che un problema ma che ci sono prima altre priorità. Io ho deciso di avviare la raccolta di firme.
A che punto è la raccolta di firme?
Finora abbiamo raccolto circa un quinto delle firme necessaria, 100.000 circa. Ne servono 500.000. Siamo partiti i primi di agosto e abbiamo tempo almeno fino al 30 settembre. Molti sindaci hanno aderito. Anche Tosi si è detto favorevole. Anche Luca Zaia, il presidente del Veneto, lo farà probabilmente tra qualche giorno. Questa iniziativa non ha colore politico. A Montesilvano il sindaco vicino a Di Pietro si è detto favorevole, In Sicilia ci sono iniziative dei 5 stelle. Per ora i grandi Comuni non hanno aderito. Dal Comune di Genova hanno tentato di dire che non potevano stampare le fotocopie dei moduli causa i tagli della spending review che vietano di fare copie. Glieli abbiamo recapitati cartacei noi. C’è una circolare del ministero dell’Interno che invita i Comuni ad esporre i moduli dei raccolta firme, il nostro ma anche quelli dei radicali.
Lei è mai andato con una prostituta?
No. Se fossi nato qualche anno fa forse ci sarei andato. E’ stata una tradizione veneta. Una sorta di iniziazione del ragazzo.
La chiesa locale cosa ne pensa?
Si può parlare di una sorta di “silenzio assenso”.
Ha già individuato il luogo dove realizzare eventualmente una “casa” della prostituzione?
Quello che pensiamo e che le “case chiuse” non potranno essere collocate in zone residenziali. Pensiamo più ad una localizzazione in zone industriali o artigianali. Prendiamo il toro per le corna. Noi sindaci mettiamo nei nostri Piani Regolatori di dire dove mettere queste strutture.
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Una grottesca intervista che ci informa che il referendum chiederebbe di riaprire le “case chiuse”
per due sostanziali ragioni: il decoro urbano e gli introiti statali.
L’ipocrita intento sarebbe, in definitiva, quello di cacciare le prostitute dalle strade, sottraendo la loro indecorosa e immorale visione allo sguardo dei perbenisti benpensanti e delle loro famiglie. Poiché le cose si fanno ma, probabilmente, non alla luce del sole.
In quest’ottica,
la ghettizzazione pare la decisione più semplice, passata come “scelta di responsabilità”. Infatti, per il signore in questione,
le “case chiuse” non potranno essere collocate in zone residenziali (e figuriamoci!) ma in zone industriali o artigianali. “Prendiamo il toro per le corna” sentenzia.
In poche parole la necessità sarebbe quella di tenere lontano la sacralità delle famiglie, e delle “donne per bene” che le fanno prosperare, dalle “donne per male”, facendo i giusti distinguo tra i due ruoli imposti che dividono il genere femminile.
Il secondo fattore da non tralasciare sarebbe quello economico, altrimenti detto: affrontare crisi e spending review sul corpo delle donne. Poiché la tassazione consentirà allo Stato-pappone di “recuperare le risorse non riscosse oggi dall’Imu sulla prima casa”. Deduzione logica, no?
Non contento,
il sindaco ha la pretesa di travestire imprudentemente questa iniziativa da opera pia di protezione nei confronti delle prostitute perché “significa essere responsabili. Reperire risorse. Regolamentare il fenomeno e andare a fortificare con queste somme le politiche sociali anche per prevenire il fenomeno”. Quindi, paradossalmente, per questo confuso signore tassare la prostituzione risulterebbe funzionale alla raccolta di fondi e guadagni da impegnare per prevenirla? Un ragionamento che non fa una grinza!
Vale la pena ricordare che la riapertura delle case chiuse non è favorevole alle prostitute, soprattutto se sfruttate. Le case, infatti, rimarrebbero “chiuse” proprio per le donne che vi starebbero all’interno, costrette anche lì a pagare i magnacci legalizzati. Che queste donne siano schiave di sfruttatori o esercitino per scelta, di qualsiasi tipo di scelta si tratti, a questi signori, intenti a nascondere la sabbia sotto il tappeto, non interessa proprio nulla. Checché ne dicano.
Il sindaco ci rassicura, con una incomprensibile certezza, asserendo che sono tutte maggiorenni. “Alcune sono sudamericane, altre nigeriane, altre italiane, altre, il 60%, europee”. Albanesi e rumene, come dimostrano i dati.
Ma nessuno ha chiesto loro che se nelle case chiuse ci vorrebbero andare.
Anche il paragone con gli altri stati europei non regge, prima di tutto perché questi redentori non si danno certo la pena di andare a verificare direttamente quello che succede realmente all’interno delle altre nazioni e, secondariamente, perché la deriva della cultura italiana, traghettata dal principio della doppia morale, presenta peculiarità che non ritroviamo negli altri stati europei, tra cui la rappresentazione della sessualità femminile nell’immaginario collettivo e lo stigma nei confronti di chi si prostituisce.
Il controllo sanitario delle prostitute per accertarne il pedigree, inoltre, si traduce in un’oppressione patriarcale e fascista necessaria a chi vuole proteggere esclusivamente la salute dei padri di famiglia, delle loro mogli e i dei loro figli. “Se oggi andiamo in palestra ci chiedono un certificato di sana e robusta e costituzione. Per le prostitute, nonostante i rischi, questo oggi non è richiesto.”.
Ma perché mai allora non si parla di richiedere un certificato “doc” ai clienti? Perché è normale considerare “sporche” e “malate” le prostitute e non i brav’uomini che ci andrebbero lontano da occhi indiscreti. Se un uomo malato può contagiare una prostituta a nessuno importa, mentre una prostituta che può contagiare gli integerrimi padri di famiglia diventa invece un problema, in un vortice di ipocrisia senza eguali.
Insomma, Giovanni Azzolini ha deciso di passare dalle multe a clienti e prostitute e dai cartelli provocatori “con raffigurate donnine in minigonna e tacchi alti con la scritta ‘Pericolo’” alla raccolta di firme per la riapertura delle “case chiuse”,
dichiarando che a richiederla sono in maggioranza donne, anche “signorine molto giovani”, come se questo particolare lo preservasse da qualsiasi critica e dovesse portare noi donne a far fronte comune solo in quanto appartenenti ad un determinato genere sessuale. Se sono d’accordo anche “le donne”, allora…
La domanda pruriginosa nel finale dell’intervista non poteva certo mancare. Ed ecco che viene chiesto al sindaco se lui, a prostitute, ci è mai andato. Scontata la risposta: no. Ma… “
Se fossi nato qualche anno fa forse ci sarei andato.”. D’altro canto la prostituzione non è per lui un fenomeno complesso ma risolvibile banalmente, da intendere come “una tradizione veneta. Una sorta di iniziazione del ragazzo”. Una tradizione. Un rito di passaggio. Per i giovani maschi veneti.
Dulcis in fundo, a chi mai si potrebbe chiedere un parere sulla questione e sul referendum? Alle associazioni di vittime ed ex vittime di tratta? Al comitato per i diritti civili delle prostitute? Macché, alla Chiesa locale, che si trincererebbe dietro ad un ipocrita “silenzio assenso”, lavandosene le mani, come Ponzio Pilato.
D’altronde il sindaco sostiene che la questione vada oltre le appartenenze politiche. Ed è vero. Sono diverse le forze politiche che appoggiano il referendum, anche pd e pdl: molti sindaci, infatti, hanno portato avanti diversi provvedimenti in questi ultimi anni nell’ottica del decoro urbano.
Quindi questa iniziativa vedrebbe d’accordo tutti quanti. Tutti tranne le dirette interessate.