SE SIAMO TUTTI D'ACCORDO IO PASSEREI DIRETTAMENTE AL 2022 PER ESSERE PIU' SICURI

Ora che abbiamo chiarito in cosa consiste questo sofisma, sarà opportuno riflettere sulle possibili controindicazioni allo stesso,
sugli antidoti logici e dialettici in grado di depotenziarne la portata.

Direi che sono sostanzialmente tre:

. 1) quello più semplice lo abbiamo già esplicitato: la falsa analogia è una fallacia proprio perché è falsa,
perché l’analogia tra squadre sportive e nazioni libere e democratiche è basata su pochissime proprietà comuni e non consente ulteriori, e indebite, estensioni. 


. 2) La fallacia è smentita dalla storia e dalla cronaca.
Anche nell’economia contemporanea e nel mondo globalizzato ci sono innumerevoli esempi di Paesi che vivono, anzi prosperano addirittura,
senza essere inseriti all’interno di qualche colossale entità statuale o sovrastatuale con le dimensioni di un impero.
Pensate agli Stati, pur di dimensioni ragguardevoli, estranei all’Unione europea
(insomma, non stiamo parlando di realtà micro come San Marino, Liechtenstein, Monaco, Città del Vaticano o Andorra):
oltre al Regno Unito, ufficialmente uscito dall’UE, la Norvegia, la Svizzera, l’Islanda, la Turchia, la Serbia e il Montenegro.

Ma non basta: non hanno l’euro un bel po’ di Paesi aderenti all’Unione europea: la Croazia, l’Ungheria, la Polonia, la Romania, la Repubblica Ceca, la Bulgaria, la Svezia, la Danimarca. 


. 3) Infine, l’ultimo punto, il più importante: la falsa analogia è anche atrocemente contraddittoria
rispetto ai presunti “valori” fondanti sbandierati ai quattro venti e propagandati a piene mani dai filo-europeisti a oltranza.
Tale fallacia presuppone, infatti, che il mondo sia un campo di battaglia dove l’unico rapporto concepibile tra i popoli sia quello di una spietata competizione.
Mors tua vita mea, dicevano gli antichi.
L’esatto contrario dei principii di pace, cooperazione e democrazia cui si ispirerebbe, secondo i suoi paladini, la UE.


Questa fallacia talora viene declinata in modo leggermente diverso:

siccome il mercato domina incontrastato a livello planetario e quindi porta inevitabilmente a fusioni
di “realtà” economico- aziendal-finanziarie sempre più forti, allora – per analogia –
anche gli Stati devono unirsi e federarsi in realtà sovra-nazionali se vogliono competere.


Ma anche in tal caso, il sofisma è “guasto” fin da principio:

uno Stato non è un’azienda e, in quanto tale, proprio perché sovrano indiscusso sul proprio territorio,
può imporre leggi a chiunque vi transiti, multinazionali comprese.
Fino al punto da nazionalizzare, se serve, interi comparti dei settori industriali ed energetici del Paese.
Nel caso dell’Italia, abbiamo addirittura uno straordinario articolo della Costituzione, il 43,
totalmente inevaso a oggi, cioè mai realizzato, ma ancora vigente, che recita così:

«A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato,
ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali
o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».


Eppure, la falsa analogia è usata spesso e volentieri dagli europeisti tutti d’un pezzo.

Prendiamo una recente intervista concessa da Massimo D’Alema a «Il Foglio» dove l’indimenticabile “Baffino” dice testualmente:

«In un mondo dominato dal confronto tra Stati Uniti e Cina, i singoli Paesi europei sono destinati a non avere alcun peso,
perciò la risposta alla domanda di sovranità cui accennavo all’inizio, non può essere un ritorno ai nazionalismi ma è invece l’affermazione di un sovranismo europeo».


Quando Napoleone occupò mezza Europa – a vale lo stesso per qualsiasi altro conquistatore precedente e successivo –
adoperava la stessa fallace giustificazione con chi si ostinava a non comprendere le sue ottime “ragioni”:
bisognava sostituire il sovranismo degli Stati sottomessi con un nuovo sovranismo allargato
(per la precisione, nel caso del generale còrso: un sovranismo “francese”).


Un altro insuperabile esempio di questo sofisma è il seguente incipit di un articolo pubblicato su «Micromega»
da William Mitchel e Thomas Fazi il 13 novembre 2017 con il quale gli autori hanno ironicamente
“fatto il verso” a un certo modo “corrotto” di ragionare tipico dei fanatici europeisti e soprattutto, e paradossalmente, delle moderne sinistre continentali:


«Diciamo le cose come stanno: nell’odierna economia internazionale, sempre più complessa e interdipendente, la sovranità nazionale è diventata irrilevante.
La crescente globalizzazione economica ha reso i singoli Stati sempre più impotenti nei confronti delle forze del mercato.
L’internazionalizzazione della finanza e il crescente potere delle multinazionali hanno eroso la capacità dei singoli Stati
di perseguire autonomamente politiche sociali ed economiche – in particolare di carattere progressista-redistributivo – e di assicurare la prosperità ai propri popoli.
Pertanto, l’unica speranza di conseguire qualsiasi cambiamento significativo è che i paesi “mettano insieme” la loro sovranità
e la trasferiscano a istituzioni sovranazionali (come l’Unione europea) che siano abbastanza grandi e potenti da far sentire la loro voce,
riconquistando così a livello sovranazionale la sovranità persa a livello nazionale.
In altre parole, per preservare la loro sovranità “reale”, gli Stati devono limitare la loro sovranità formale».


In realtà, gli Stati non hanno affatto bisogno di mettersi insieme così da essere
«abbastanza grandi e potenti da far sentire la loro voce, riconquistando così a livello sovranazionale la sovranità persa a livello nazionale».



E ciò per il semplice fatto che la sovranità statale o è dello Stato o non è.

Ma anche qui la falsa analogia impera e il suo svolgimento, in parole povere, è il seguente:

siccome il nome di un’azienda, anche celebre, mettiamo pure la “Alfa Romeo”, continua a esistere
anche se l’Alfa Romeo è stata mangiata dalla Fiat e poi magari dalla FCA
(semplicemente, il suo management viene trasferito a un livello più alto della gerarchia aziendale),
allora anche l’Italia continua a esistere anche se viene “mangiata” dagli Stati Uniti d’Europa;
semplicemente, la sovranità italiana si esercita negli Stati Uniti d’Europa.


Senonché, in questo caso, avremmo non già una sovranità dello Stato italiano,
ma una sovranità sullo Stato italiano da parte di una entità terza.



La sovranità non è come il marchio di una fabbrica di automobili, trasferibile da un capitalista all’altro senza rischi di scoloritura.

È, piuttosto, la quintessenza della identità di una comunità civica di cittadini che si riconoscono in un patrimonio simbolico, tradizionale, linguistico, valoriale.


Uno Stato è uno Stato e, nel proprio territorio, fa e decide ciò che vuole e ciò che crede.



La Svizzera e la Norvegia stanno lì a dimostrarlo, ma non sarebbe neppure necessario scomodare tali esempi
se non ci fosse la falsa analogia in oggetto a inquinare il nostro corretto modo di ragionare.


Quindi, non è affatto vero che la globalizzazione ha reso i singoli Stati impotenti verso le forze del capitale.

Semmai, la globalizzazione rende impotente chi abdica alla propria sovranità sul capitale e sull’economia.

E ciò è ancor più vero laddove la realtà sovranazionale
(la quale de-sovranizza, cioè prosciuga l’autonoma indipendenza di una Nazione)
è qualcosa di analogo alla UE.


Cioè una organizzazione nata non per difendere gli Stati sovrani,
ma piuttosto per renderli impotenti di fronte al libero dispiegarsi delle forze del capitale trans-nazionale.


Da tale pseudo-analogia dobbiamo liberarci se non vogliamo cadere vittime di una “ansia da prestazione”.



Secondo la quale, l’unica logica accettabile nei rapporti tra popoli sarebbe quella del mercato:
dove i bravi esportano a rotta di collo e sono quindi virtuosi; gli altri invece, quelli “scarsi”,
sono obbligati a importare così da indebitarsi e da rischiare il default.


Non dimentichiamoci che proprio la frenesia del capitalismo predatorio
è alla base di fenomeni come il colonialismo e l’imperialismo.
 
Tatà taratatatà ora non speriamo che superino la soglia del 4%.


Forza Italia è pronta a votare lo scostamento dopo che il governo ha accolto gran parte delle proposte avanzate dal centrodestra.


A comunicarlo, riporta l'Agi, è stata una autorevole fonte del gruppo che ha di fatto annunciato il parere favorevole dei forzisti.

Il via libera sarebbe arrivato direttamente dal leader Silvio Berlusconi
nel corso di un collegamento con l'Assemblea della Camera questa mattina con i deputati azzurri per fare il punto sulla manovra.

"Sono state accolte dal governo tutte le proposte del centrodestra", riferisce la fonte.

E le conferme, si legge sull'Adnkronos, iniziano ad arrivare anche da vari parlamentari.

In particolare sarebbero state accolte due proposte di Forza Italia:

più risorse per 2 milioni di autonomi e professionisti

e il cosiddetto semestre bianco.

A questo punto la posizione dei forzisti è indipendente da quella degli alleati della coalizione.

"Forza Italia vota a favore. Gli altri decideranno cosa fare".

A stretto giro però dovranno accodarsi all'ok oppure rompere l'azione coordinata del centrodestra.


Il cambio di marcia, stando all'Huffington Post, sarebbe stato intrapreso a serata inoltrata, con il Cavaliere che non avrebbe usato giri di parole:

"Il governo ha accolto le nostre richieste sul sostegno economico agli autonomi e sul rinvio delle scadenze fiscali.
Mi sono esposto in questa trattativa e non posso perdere la faccia. Noi sullo scostamento di bilancio voteremo sì".

Intanto è iniziata la seduta dell'Aula della Camera che sarà chiamata a esaminare e votare
la relazione del governo mediante cui si chiede un nuovo scostamento di bilancio di 8 miliardi di euro.

Il voto sulle risoluzioni vi sarà solamente in seguito all'illustrazione dell'esecutivo e al relativo dibattito.

Per l'approvazione è necessaria la maggioranza assoluta, ovvero almeno 316 voti favorevoli.

Anche la componente del gruppo Misto Centro democratico della Camera e le Minoranze linguistiche voteranno a favore,
mentre il gruppo di +Europa-Azione si asterrà.
 
Analizzando senza i paraocchi della tifoseria politica le recenti aperture di Forza Italia nei confronti del Governo,

in primis sembra evidente la ricerca di visibilità di un partito in costante perdita di consensi.



Dopo essersi appiattiti per anni sulla Lega di Matteo Salvini, la compagine guidata da Silvio Berlusconi
punta chiaramente a distinguersi in ruolo, almeno così si ritiene, di opposizione responsabile,
pensando in tal modo di riguadagnare parte della perduta centralità.

Una opposizione responsabile che dovrebbe a occhio concretizzarsi soprattutto sulle sempre più delicate questioni di bilancio,
considerata la voragine nei conti pubblici che la gestione della pandemia in atto ha creato.

In tal senso, malgrado il crollo della produzione e dei consumi, in gran parte determinato dalle dissennate chiusure decise dal Governo giallorosso,
è possibile che il Cavaliere i suoi più fedeli consiglieri ritengano possibile che alla fine della fiera,
pur in mezzo ad un disastro economico e finanziario senza precedenti, l’Europa nel suo complesso finisca per salvare capra e cavoli, per così dire,
realizzando una colossale monetizzazione dei nuovi debiti, così da impedire all’Italia di sprofondare in un catastrofico default.


Tuttavia, osservando le lungaggini con cui il chimerico Recovery fund,
che attualmente rappresenta il principale strumento di salvataggio per i Paesi dell’Unione europea in difficoltà,
si sta implementando l’eventuale scommessa di Forza Italia di intestarsi, insieme all’attuale maggioranza,
una brillante uscita dalla crisi economica e finanziaria pche otrebbe rivelarsi perdente.

Quindi, una volta rinsaviti dal delirio di una malattia che vede la guarigione del 99,7 per cento di chi la contrae,
ci ritroveremo a fare i conti con un Paese profondamente impoverito e ancora più diviso tra garantiti e produttori privati di reddito.

Stando così le cose, un elementare interesse di natura politica, il quale sempre si cela dietro le scelte dei partiti,
dovrebbe sconsigliare fortemente agli amici di Forza Italia di fornire una comoda stampella
ad una maggioranza che ha trovato nel Covid-19 un insperato fattore di sopravvivenza.

Oltre a ciò, proprio per chi ha fatto delle libertà in senso lato il suo principale elemento distintivo,
aprire un dialogo costruttivo con un esecutivo che, dopo aver letteralmente terrorizzato la popolazione,
si è messo sotto i piedi la Costituzione, sarebbe una vera contraddizione in termini.



A mio modesto parere, nessuno sconto può essere fatto ad un potere arbitrario che ci chiude in casa,
che ci spiega come comportarci fin nei minimi dettagli e che, in estrema sintesi, anziché concentrarsi sulla organizzazione sanitaria,
tende a scaricare sui cittadini, trattati come sudditi, la responsabilità del contenimento di una malattia che colpisce essenzialmente gli immunodepressi.


Da questo punto di vista sbaglierò ma credo fermamente che l’unico modo che ha Forza Italia, per risalire la china,
è quello di una opposizione intransigente, soprattutto dal lato delle continue libertà violate, le quali, in moltissimi casi,
non possiedono neppure uno straccio di studio scientifico che possano giustificarle.

Libertà violate che, infine è doveroso sottolineare, non paiono aver sortito particolari effetti sul piano della medesima pandemia,
dal momento che nella seconda ondata gli impietosi numeri ci dicono che l’Italia ha fatto peggio di tutti i Paesi europei,
compresi quelli che hanno chiuso poco o non hanno chiuso affatto.
 
Mentre gli annunci roboanti dei colossi di Big Pharma sul vaccino si rincorrono in tutto il mondo,
con modalità in stile “mercato delle vacche grasse” in cui ognuno alza il tiro sostenendo che il proprio sia più efficace degli altri in percentuale,
il lato oscuro delle grande case farmaceutiche continua a venire a galla e ricordarci chi c’è davvero dietro le tante sigle delle aziende
già impegnate a contare i ricchi guadagni in arrivo grazie agli accordi (segreti) stretti con i governi di tutto il mondo.


L’ultimo caso arriva dagli Stati Uniti ed è venuto alla luce in queste ore.



Il lato oscuro di Big Pharma: un'azienda si dichiara colpevole per la crisi degli oppioidi americana



L’azienda farmaceutica statunitense Purdue Pharma si è infatti dichiarata colpevole delle accuse rivolte a suo carico

nel caso riguardante la crisi sanitaria da dipendenza da oppioidi, una tragedia che negli ultimi anni ha causato centinaia di migliaia di morti negli Stati Uniti.

Responsabilità chiare in merito, da parte dell’azienda.

Tra le quali l’ammissione di aver ostacolato il lavoro dell’agenzia federale antidroga nel contrastare la diffusione della dipendenza da oppioidi.



Il lato oscuro di Big Pharma: ecco perché è bene non fidarsi troppo dei colossi del farmaco



Purdue Pharma si è anche riconosciuta colpevole di non aver impedito che i suoi farmaci venissero dirottati verso il mercato nero

e ha ammesso di aver fornito informazioni fuorvianti alle agenzie di controllo così da evitare che il problema venisse correttamente identificato per tempo.

Inoltre, ha anche confessato di aver spinto alcuni medici alla prescrizione di antidolorifici e di aver inviato loro informazioni su pazienti a cui poterli prescrivere.

Il lato oscuro di Big Pharma: ecco perché è bene non fidarsi troppo dei colossi del farmaco



Ha così finalmente fine un caso che si trascinava da anni.

Dodici mesi fa, Purdue Pharma aveva dichiarato tra l’altro bancarotta e le ammissioni formali rientrano nell’accordo recentemente raggiunto con il Dipartimento di Giustizia,

il quale prevede anche una sanzione di 8 miliardi di dollari e 225 milioni da corrispondere direttamente al governo federale.

I membri della famiglia proprietaria, che sulla base dell’intesa raggiunta non riceveranno accuse penali, subiranno confische fino a raggiungere la cifra di 2 miliardi di dollari.
 
Stare sulle piste da sci - ed è risaputo che dalle piste si scende da soli -
fa il paio con chi andava - solo - a prendere il sole al mare o a chi vorrebbe
andare a camminare in montagna od in bici sugli sterrati. SOLI ED ALL'ARIA APERTA.


In Germania niente vacanze sulla neve a Natale con divieto dell’Unione europea.

A questo punta la Merkel che chiederà a Bruxelles di vietare le piste da sci fino al 10 gennaio.

Nonostante l’opposizione dell’Austria, che invece si prepara alla stagione sciistica.

Dopo una riunione fiume di oltre sette ore, la cancelliera Angela Merkel e i 16 Stati regionali
hanno deciso di rivolgersi alla Ue, di cui la Germania detiene la presidenza del Consiglio fino alla fine dell’anno.


Il divieto delle gite sugli sci fa parte delle nuove restrizioni anti-contagio imposte dalla Merkel,
come la chiusura di ristoranti, bar o luoghi culturali e club sportivi fino all’inizio di gennaio.

In vista delle vacanze natalizie inoltre “tutti i viaggi d’affari e privati non essenziali, in particolare i viaggi turistici,
compresi i viaggi all’estero per la stagione sciistica, dovrebbero essere evitati“, si legge nel testo concordato dalla Merkel con i 16 Lander.

“Il governo è invitato a lavorare a livello europeo affinché il turismo sciistico non sia autorizzato prima del 10 gennaio”, precisa il testo.


Anche il premier Giuseppe Conte chiede uno stop agli sci a livello europeo.


In Francia, invece, il governo ha studiato un protocollo sanitario in caso di riapertura delle stazioni sciistiche.

10 miliardi di benefici economici, 120 mila posti di lavoro stagionali, che raggiunge il 13% delle sue presenze sotto Natale.


Vienna invece non vuole sentire ragioni: “Penso che andare a fare sci alpinismo non sia più pericoloso del fare running“,
ha tagliato corto mercoledì il cancelliere Sebastian Kurz.

Le vacanze invernali in Austria saranno sicure. Le nostre località dispongono già di procedure di sicurezza complete per le vacanze sulla neve”,
ha aggiunto il ministro del Turismo Elisabeth Kostinger.


In caso di stop a livello europeo l’altro nodo da sciogliere è quello dei cosiddetti ristori.

Il caro Conte spera che i settori coinvolti nella stagione sciistica verranno risarciti con fondi Ue, in caso di chiusura.
 
Ecco perchè il berlusca si muove .........


Tutti la cercano, molti la vogliono, altrettanti la detestano.

E’ Vivendi, l’azienda francese al centro di alcune delle partite industriali e finanziarie in Italia

che hanno al centro Mediaset, Tim e il progetto di rete unica voluto dal governo.


Come raccontato nei giorni scorsi da Start, una proposta di maggiori sinergie commerciali e anche azionarie
era stata avanzata a grandi linee da Mediaset a Vivendi, ma il gruppo francese l’ha rispedita al mittente.


Si percepisce silenzio, invece, al Tesoro sulla posizione di Vivendi per il progetto di rete unica fra Tim e Open Fiber.


“Gualtieri ha avuto una conversazione telefonica con il ceo di Vivendi, de Puyfontaine,
chiedendo di astenersi dall’interferire sul progetto di rete unica, ma non è stato possibile conoscere la risposta dei francesi”, ha svelato oggi il Sole 24 Ore.


D’altronde le mosse del governo non sono granché apprezzate dal gruppo francese,
visto l’emendamento al decreto Covid – condiviso da Forza Italia ma bistratto dalla Lega –
che rimette nelle mani dell’Agcom il potere di stabilire cosa può e non può fare Vivendi nel Biscione,
dopo che il gruppo di Bolloré ha ottenuto dalla Corte di giustizia Ue una sentenza che ripristina i diritti di voto della media company in Mediaset.


Gli umori neri dei francesi si riversano anche su Tim.


Il gruppo francese ha i titoli in carico a 0,86 euro con le azioni che dopo i risultati trimestrali sono risalite a 0,38 centesimi.

E non sta andando meglio su Mediaset che ha comprato a 3,70 euro (1,99 euro ieri).



Fors’anche per questa corposa minusvalenza, i francesi sono nervosetti, visto quello che scrive oggi il Corriere della Sera:

“Nel corso dell’ultimo consiglio d’amministrazione raccontano che i rappresentanti di Vivendi avrebbero cambiato all’improvviso i toni
puntando il dito contro l’andamento deludente del titolo e lo scarso impatto che avrebbe avuto la gestione operativa sul prezzo di Borsa.
Una critica che ha certamente delle basi — nei giorni scorsi Tim ha toccato in Borsa il minimo storico a 0,29 centesimi —
ma che avrebbe sorpreso perché inattesa, nei toni e nei modi. E soprattutto perché arrivata al termine di un consiglio tranquillo,
in cui l’amministratore delegato, Luigi Gubitosi, aveva portato i risultati per i primi nove mesi, ottenendo l’approvazione all’unanimità”.


Le critiche – secondo alcuni osservatori – sono i prodromi delle prossime mosse di Vivendi in Tim,
visto che la prossima primavera scade il board dell’ex Telecom Italia, dove ora il fondo americano Elliot ha la maggioranza dei consiglieri
pur avendo liquidato la quota che le ha permesso di controllare il cda, mentre Vivendi ha il 23,94%
e la Cdp detiene il 9,89% (ma ora non ha rappresentanti nel consiglio di Tim).


Quindi – di riffa o di riffa, se gli assetti azionari non cambiano –

i francesi potrebbero tornare ad avere la maggioranza del board del gruppo (Tim)

perno di FiberCop e in prospettiva di AccessCo, ovvero l’agognata (in primis dal governo)

società unica della rete fra Tim e Open Fiber.

E con il dossier Mediaset sempre caliente.


Scintille in vista?
 
Ahahahahah che buffoni.


Tagliare, ancora, la sanità.

Come se l’emergenza coronavirus non ci avesse insegnato niente,
dopo anni e anni in cui è in quel settore che, puntualmente, si va a sforbiciare
per obbedire ai rigorosi diktat sul bilancio imposti dall’Unione Europea.


A spaventare le Regioni italiane è la Relazione tecnica allegata alla Legge di Bilancio
e che contiene una precisazione che rischia di portare a ulteriori depotenziamenti delle nostre strutture a partire dal 2023.


Come ha segnalato il Sole 24 Ore, infatti, l’articolo 72 del documento tecnico sottolinea innanzitutto che

“il fabbisogno standard è normativamente stabilito solo fino all’anno 2021”.

Per poi aggiungere:

“Dall’anno 2023 per effetto dei processi connessi alla riorganizzazione dei servizi sanitari

anche attraverso il potenziamento dei processi di digitalizzazione,

si prevede una minore spesa di 300 milioni di euro annui, con consegunte riduzione del livello del finanziamento”
.


Il che, in parole povere, significa che a partire da quella data il fondo sanitario nazionale rischia di trovarsi con 300 milioni in meno su cui poter far conto.


Si parla dei tagli, insomma, non delle risorse complessive.

Una sottrazione già certa a un totale ancora indefinito.


Notare, tra l’altro, come 300 milioni in meno non siano indicati sotto forma di tagli, quello che di fatto sono,
bensì come minore finanziamenti dovuti a una migliore digitalizzazione.

In sostanza, grazie alle nuove tecnologie, secondo il governo, si potrà tranquillamente risparmiare.

Il tutto senza però considerare le forti difficoltà che esistono nell’Italia di oggi, dove alcune zone hanno difficoltà persino a ottenere la banda larga.


Dietro una scelta così rischiosa, ovviamente, ci sono ancora una volta le regole europee,
quelle che prevedeno correttivi a partire dal 2023 per riportare il rapporto deficit-Pil al 3%.



Ancora una volta, dunque, si rischia di tagliare la sanità per accontentare Bruxelles.
 
Più ne fa più ne sbaglia e più ne sbaglia più i nastrini e le responsabilità aumentano.

Parliamo del commissario straordinario Arcuri.

Il super eroe a cui si affida, come un vero atto di fede nei suoi confronti, questo governo.

Mascherine, presidi vari di protezione, respiratori, banchi per le aule delle scuole, terapie intensive…

Non c’è una cosa in cui non vi sia di mezzo lui.


L’ultima delle sue bravate la racconta La Verità. Il commissario Arcuri non perde tempo a pasticciare, ancora e ancora e ancora.

Come se l’Italia non si fosse già fatta abbastanza male, come se la prima ondata non avesse insegnato nulla.


Tra le altre cose, il supereroe del governo di “Promettopoli”, si sta occupando del piano per il vaccino e

“nella circolare, con la quale ha chiesto alle Regioni di individuare in ogni provincia le strutture capaci di rispettare le indicazioni
per la consegna, la conservazione e la somministrazione del vaccino”, indica la data, entro la quale inviare la comunicazione.

Sbagliata.

“Venerdì 23 novembre” scrive, peccato che il 23 novembre fosse lunedì. Insomma, una premessa che non lascia presagire la speranza di un futuro roseo.



Nel frattempo sul governo piovono critiche internazionali.

Il soggetto da cui provengono in realtà non ha dimostrato grandi capacità durante la pandemia:
l’Oms, che, tra indicazioni contraddittorie e ritardi, ha dimostrato come anche queste istituzioni internazionali siano state incapaci di prevenire e gestire la vicenda Covid.


Tuttavia con un ‘esercizio di faccia tosta’ si lamenta dell’incapacità dei governi.

L’inviato speciale dell’Organizzazione mondiale della sanità, David Nabarro, infatti, dichiara:

“L’Europa rischia di dover affrontare una terza ondata.
I governi ripeteranno gli errori che hanno portato a una seconda ondata quest’anno.
Hanno mancato di costruire le infrastrutture necessarie durante i mesi estivi.
Se non costruiscono le infrastrutture necessarie avremo una terza ondata all’inizio del prossimo anno”.


Nulla esclude, considerando che queste sono le premesse, che la storia si ripeta,
nonostante gli ammonimenti, nonostante i numerosi sbagli già commessi,
nonostante l’Italia sia già stata portata allo stremo, anche per colpa di organismi non all’altezza, come l’Oms.
 
00:00 E non chiamatelo regime: un governo che, con il ministro Speranza, per impedire che voi espatriate vi obbliga alla quarantena.
Se la quarantena serve dovrebbe esserci già da oggi, se la mettete solo per non far sciare siete degli ipocriti dittatorelli.

03:00 Sul Daily Mail il ministro delle finanze inglese dice che pagheremo più tasse in futuro. E ha ragione!

06:55 Vaccino, il Fatto Quotidiano dice che ci salverà ma solo dai sintomi.

07:42 Il debito pubblico secondo il Sole 24 Ore è sceso allo 0,66%.

12:05 Antonello Piroso da leggere sulla Verità in merito alla farsa del commissario in Calabria che ancora non hanno trovato.

15:48 Mercato immobiliare, scendono le transazione e crollano i prezzi, il report sul Sole 24 Ore.

16:20 L’assurda politica di non dare dividendi contestata dal nuovo capo di Axa.

16:48 Giustizia all’italiana: Marco Tronchetti Provera, coraggioso, rinuncia alla prescrizione
e viene assolto dopo sette anni anche dalla Cassazione.
Toc toc, dove sono oggi i fenomeni di Repubblica che gli montarono quella scandalosa campagna mediatica colpevolista?
 

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