Vaccino

Avrei un migliaio di persone alle quali consigliare l'assunzione della vitamina "D"


La vitamina D potrebbe aiutare a prevenire la demenza”.

E’ la conclusione di un nuovo studio su larga scala,
condotto da ricercatori dell’Hotchkiss Brain Institute dell’Università di Calgary in Canada
e dell’Università di Exeter nel Regno Unito.

Gli autori del lavoro – pubblicato su Alzheimer’s & Dementia: Diagnosis, Assessment & Disease Monitoring-
hanno valutato la relazione tra integrazione di vitamina D e demenza in più di 12mila persone
incluse nel database del National Alzheimer’s Coordinating Center americano,
che al momento dell’inserimento avevano un’età media di 71 anni e non soffrivano di demenza.

Sul totale il 37% ha assunto integratori di vitamina D.

Gli scienziati hanno osservato che tale assunzione “era associata a più tempo vissuto senza demenza
e a un 40% in meno di diagnosi di demenza”.

“Sappiamo che la vitamina D produce nel cervello alcuni effetti​

che potrebbero avere implicazioni nel ridurre la demenza.​

I nostri risultati forniscono informazioni chiave sui gruppi ai quali mirare in modo specifico un’eventuale integrazione di vitamina D.​

Nel complesso, le evidenze raccolte suggeriscono che un’integrazione precoce potrebbe essere particolarmente vantaggiosa, prima dell’inizio del declino cognitivo”.​


 
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Non poteva succedere altro, con un ministro così sciatto.
 
Mercoledì si è svolto a Milano un convegno
organizzato dalla Commissione Medico-Scientifica Indipendente (CMSI) (Home | CMSi)
sul nuovo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) che è in fase di approvazione.

Esso prevede una serie di inoculi, spesso fatti con molteplici prodotti mescolati assieme, nel corso di tutta la vita;
si è calcolato che si potrebbe arrivare a ben 60 vaccini, con somministrazioni annuali o persino semestrali,
oltre a quelle fatte tre o quattro volte nel primo anno di vita.

La CMSI chiede un confronto tecnico approfondito e sottolinea che non esiste alcuna urgenza,
né pericolo del ritorno delle epidemie del passato (polio, difterite)
e che anche un’eventuale revisione dell’obbligo vaccinale non potrebbe destare preoccupazioni per la sanità pubblica.
 
La parte introduttiva del PNPV è caratterizzata da un’ampia serie di affermazioni di principio, molto generiche, come:

“Lo Stato ha il dovere di garantire la tutela della salute di tutti i cittadini”;

“il Piano Nazionale della Prevenzione è teso a promuovere interventi e strategie innovative per la salute,
che siano fondate sui principi responsabilizzazione, collaborazione, interdisciplinarità e intersettorialità”;

“i vaccini hanno rappresentato uno strumento fondamentale per contrastare disastrose epidemie”;

“grazie alle vaccinazioni siamo in grado di allontanare il rischio delle malattie prevenibili”;

“l’agenda dell’OMS sull’immunizzazione 2030 rappresenta la nuova strategia globale per non lasciare nessuno indietro”;

“offrire servizi vaccinali efficaci, efficienti e resilienti accessibili per tutti”;

“promozione delle vaccinazioni durante tutto il corso della vita, anche rafforzando le collaborazioni con attori non sanitari”,


ecc..

Purtroppo queste dichiarazioni di intenti
non sono tradotti nella concreta e fattuale decisione su quali vaccini proporre,
a chi sarebbero utili e con quale rapporto tra benefici e rischi.
 
Un certo tipo di “ideologia vaccinista”
continua a considerare la somministrazione di vaccini
come se fosse sempre e indiscutibilmente utile al singolo e alla collettività,
ricorrendo alla cosiddetta “protezione comunitaria” (altrimenti detta “immunità di gruppo” o “di gregge”)
senza precisare di quali vaccini si stia parlando e in base a quali dati epidemiologici.


Ad esempio, nel documento si legge che

“Ciò costituisce quel valore sociale della pratica vaccinale,
espresso dal fenomeno della protezione comunitaria tramite il raggiungimento di un’elevata copertura vaccinale
.”

Gli autori del documento omettono di dire
che molti dei vaccini in uso possono dare una protezione individuale
(anche se il rapporto benefici/rischi andrebbe valutato, appunto, individualmente),
ma non hanno alcuna possibilità di realizzare il fenomeno della “protezione comunitaria”.

Questo vale certamente per i vaccini del tetano, difterite, polio IPV, epatite B, pertosse, meningite, influenza
e probabilmente anche per quello della parotite, che ha mostrato di decadere rapidamente
tanto che si sono verificate epidemie tra gli studenti universitari.


In poche parole: la tesi è che più si vaccina e meglio è.

Manca l’analisi dei risultati finora conseguiti (in termini di efficacia e di sicurezza)
e mancano dati analitici e previsioni nel concreto dell’efficacia delle misure proposte.


Il lettore dovrebbe convincersi che i vaccini sono buoni e utili
“a prescindere” dai dati epidemiologici per ciascun vaccino, che non sono forniti.
 
In particolare, è necessario mobilitare i medici e le strutture sanitarie del territorio
e promuovere efficaci campagne d’informazione, comunicazione ed educazione
finalizzate a illustrare l’importanza delle vaccinazioni a livello individuale e collettivo
e a richiamare i cittadini a scelte consapevoli e fondate su evidenze scientifiche nel proprio stesso interesse.
A tale proposito, non si può non stigmatizzare il diffondersi di informazioni false e pregiudizi,
come ad esempio l'esistenza di una presunta correlazione tra vaccinazioni e l’insorgenza di alcune patologie,
ipotesi ampiamente smentite da innumerevoli studi scientifici
.”


La genericità del documento si dimostra in tali affermazioni,
che vogliono lasciar intendere che le vaccinazioni sono sicure forse perché non provocano “alcune patologie”,
senza menzionare quali sarebbero e senza dire che altri studi scientifici (e i dati della farmacovigilanza attiva)
dimostrano che alcuni vaccini possono provocare eventi avversi anche gravi.



Si ignorano persino le prescrizioni della legge “Lorenzin”
n. 119/2017.
 
Sono trascorsi ormai tre anni dall’inizio della cosiddetta pandemia Covid-19.

Quotidianamente emergono notizie
che paiono disegnare uno scenario clamoroso di omissioni, complicità e gravissime responsabilità.

Il tutto mentre a livello di mainstream e di condivisione sociale
permane un muro di granitico silenzio e apparente normalizzazione,
nel quale addirittura si affacciano proposte
per prolungare e rinnovare sperimentazioni sanitarie e pressioni sociali allarmanti.



Ma ogni giorno che passa a questo muro di silenzio risponde un silenzio ancor più cupo e doloroso:

è quello dei morti che cadono nel dimenticatoio della storia;

è quello degli ammalati la cui voce non viene ascoltata da nessuno;

è quello di quanti hanno subito minacce, ricatti e ritorsioni per sottoporsi a vaccinazione;

di chi rimane prigioniero di incubi, paure e depressioni, a volte spinte fino al grido silenzioso dell’estremo gesto contro sé stessi;

soprattutto è quello di bambini e giovani, egoisticamente sacrificati per un presunto interesse degli anziani,

ed ora esposti ad avversità anche fatali.

Tutte vittime del Covid-19 o dei relativi vaccini,
dell’impedimento alle cure e dell’assenza di prevenzione e di ricerca,
della malasanità e di un forzato distanziamento sociale
che nei fatti è divenuto "abbandono del prossimo".
 

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