I morti covid si potevano evitare
se non si fosse deciso di applicare lo sciagurato protocollo ministeriale della Tachipirina & vigile attesa.
A dirlo non è il solito sito complottardo no vax, ma niente meno che il presidente di Aifa Giorgio Palù.
Invitato a Porta a Porta per la trasmissione celebrativa della fine della pandemia il 10 maggio scorso,
ha detto cose condivisibili sugli errori della strategia ministeriale e comunicativa utilizzata in pandemia.
Peccato che Palù sia un complice di quel sistema di potere che ha negato fermamente ogni tipo di cura,
mettendo alla gogna anche i medici bravi che le portavano avanti sul territorio,
per unirsi alla narrativa ufficiale del vaccino come unica salvezza a disposizione.
E con quanto emerge dagli
Aifa leaks sappiamo a che cosa fosse finalizzato tutto questo:
cioè ad affermare i benefici dell’inoculo persino accettando il rischio di accantonare gli effetti avversi che via via emergevano.
Tutto ha inizio quando Bruno Vespa gli chiede se sono stati commessi degli errori e se dobbiamo rimproveraci qualcosa.
E lui ha risposto in qualità di virologo qual è,
quasi come se tra lo scienziato e la guida dell’ente di controllo del farmaco,
ci fossero due anime in un corpo solo.
«Gli errori si fanno – esordisce -
in alcune cose abbiamo fallito».
E in particolare su che cosa avremmo fallito?
«Non abbiamo dato ascolto ai governatori che dicevano di vigilare alle frontiere»
Poi però, il discorso di Palù fa riferimento ad alcuni aspetti più medici.
«Non abbiamo considerato sbagliato – per esempio parlo di studi clinici -
che negavano l’efficacia di un farmaco già dimostrato molto attivo nei confronti di precursori del Sars Cov 1 e Maers».
Non tragga in inganno la doppia negazione e la successione delle parole secondo uno stile colloquiale.
Palù qui si sta riferendo al cosiddetto Lancet gate, il caso dello studio di Lancet,
che smontava l’utilizzo dell’idrossiclorochina nella cura del covid.
Lo studio poi fu ritirato dalle pubblicazioni per molti vizi,
primo dei quali quello legato al fatto che fosse completamente assente di verifiche.
Ma ormai il destino del farmaco era segnato per sempre
e uscì da tutti i protocolli di cura
nonostante i successi evidenti testimoniati da molti curanti.
Insomma, detta così, en passant, il capo dell’Aifa ammette
che fu sbagliato non considerare l’utilizzo dell’idrossiclorochina nel trattamento del covid.
Eppure,
di medici che la utilizzarono con successo ce ne furono,
e tra questi veri e propri simboli della lotta al covid, come il dottor Paolo Gulisano (
QUI)
e il
professor Luigi Cavanna di Piacenza che fu tra i primi a curare precocemente a domicilio
proprio con il tanto dileggiato farmaco guadagnandosi nel maggio 2020 la copertina del
Time.
Poi Palù prosegue e fa altre due importanti ammissioni.
«In alcune condizioni si sarebbe potuto capire prima che il virus era a diffusione nosocomiale»
e cita ancora una volta il Sars Cov 1:
«Lo capimmo subito nel 2003 quando tutto l’ospedale di Toronto si era infettato».
Eh sì, la diffusione in spazi angusti e comuni
sembra essere stato il veicolo principale della diffusione del virus.
E noi che cosa abbiamo fatto?
Abbiamo chiuso la gente in casa in lockdown
in modo che si contagiasse per bene,
poi non abbiamo curato come si sarebbe dovuto
e abbiamo così costretto il paziente ad andare in ospedale
dove l’effetto contagio è decuplicato.
In questo modo abbiamo contagiato sanitari e pazienti non positivi
che hanno preso il covid in ospedale.
Ma è con la terza affermazione che Palù raggiunge la vetta.
Ed è quando dice che i medici finalmente
«capirono che si soffocava per tromboembolia
e quando si è capito che bisognava usare gli antinfiammatori
che sono stati un aiuto importantissimo.
Non serviva certo la Tachipirina e la vigile attesa».
Eureka, verrebbe da dire. O: meglio tardi che mai.