Sono circa
un milione i posti di lavoro che le Pmi potrebbero perdere tra l’inizio e la fine del 2020.
Questo è quanto emerge quanto emerge dall’indagine
Crisi, emergenza sanitaria e lavoro nelle Pmi,
condotta su 5000 professionisti (su 26mila) dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro.
Le piccole e medie imprese hanno pagato un prezzo carissimo per adeguarsi alle nuove normative in materia sanitaria (per contrastare la diffusione del Covid-19).
Al peggio, però, non c’è fine.
Il rischio di una “seconda ondata” con ulteriori restrizioni potrebbe vanificare tutti gli sforzi compiuti finora.
A pagare il prezzo più alto in questa crisi sono i settori meno protetti: ovvero la galassia delle Pmi.
Tutto questo purtroppo rischia di avvenire nonostante quasi tutti gli imprenditori abbiano adottato in maniera scrupolosa le nuove regole sanitarie.
A far paura è l’ipertrofia normativa che già caratterizzava la nostra burocrazia.
Leggendo l’indagine scopriamo infatti che “sebbene il 59% dei Consulenti reputi che le aziende
siano ad oggi attrezzate in materia di prevenzione (dispositivi di protezione, sanificazione ambienti, etc),
queste non sarebbero comunque pronte a dover gestire nuove situazioni emergenziali.
Il 44,7% dichiara, infatti, che le aziende sono mediamente poco o per nulla attrezzate
a gestire il personale in caso di contagi (diretti o indiretti) e il 37,2% a fornire la connessa informazione sul da farsi”.
C’è un grande panico. Ed il motivo è semplice:
basta un dipendente entrato in contatto con un positivo per bloccare tutto.
Le ripercussioni sul mondo del lavoro sono inevitabili.
Come si può svolgere la propria mansione a fianco agli altri se uno starnuto ha lo stesso effetto di un lancio di una granata?
Infatti, per i consulenti del lavoro “la preoccupazione di dover gestire un’emergenza sanitaria è peraltro secondaria
rispetto alla possibilità di doversi nuovamente trovare alle prese con le procedure per la cassa integrazione
(indicata come principale criticità da affrontare nelle prossime settimane dal 62,8%), ma anche l’avvio delle ristrutturazioni (42,8%),
l’inevitabile riduzione dei livelli di produttività (42,2%), la gestione delle esigenze del personale, alle prese con conciliazione e quarantene, e la sua riorganizzazione”.
Nelle Pmi il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente è diretto: si lavoro fianco a fianco.
Mandare a casa senza stipendio un collaboratore non è come un licenziamento fatto da una grande azienda.
L’imprenditore sa di essere responsabile non solo del suo reddito ma anche di quello dei suoi dipendenti.
Ed è per questo che le Pmi hanno anticipato la cassa integrazione (che avrebbe dovuto versare l’Inps) nella prima fase della crisi
.
Oggi, però, in caso di una seconda ondata solo pochi potrebbero farlo.
Ed è per questo che dalla suddetta indagine emergono dati a dir poco preoccupanti:
sono circa un milione i posti di lavoro che le Pmi potrebbero perdere tra l’inizio e la fine del 2020.
Un bilancio pesante per il milione e mezzo di imprese assistito dai consulenti del lavoro, i cui organici potrebbero contrarsi di circa il 10%.
Una batosta che rischia di essere letale in caso di un nuovo lockdown.
“Un nuovo lockdown generalizzato darebbe il colpo di grazia ad un settore che da 11 anni a questa parte sta costantemente diminuendo di numero”:
questo l’allarme lanciato dal coordinatore dell’Ufficio studi della
Cgia di Mestre, che sottolinea come
“
dal 2009 hanno chiuso definitivamente la saracinesca 185 mila aziende artigiane.
Questo ha avviato la desertificazione dei centri storici e delle periferie, contribuendo a peggiorare il volto urbano delle nostre città
che, anche per questa ragione, sono diventate meno vivibili, meno sicure e più degradate.
Sia chiaro: soluzioni miracolistiche non ce ne sono, anche se è necessario un imminente intervento pubblico
almeno per calmierare il costo degli affitti, ridurre le tasse, soprattutto quelle locali, e facilitare l’accesso al credito”.
Oltre alle tasse e alla burocrazia le piccole e medie imprese devono scontrarsi con il muro di gomma delle banche.
Nonostante tutti i partiti si proclamano amici delle Pmi nessuno le supporta realmente.
Eppure quest’ultime formano il tessuto connettivo della nostra economia.
In Italia esse impiegano ben l’82% dei lavoratori e costituiscono il 92% delle imprese attive.
Come mai, dunque, si è fatto pochissimo per supportare le imprese di piccole e medie dimensioni?
Il motivo è semplice: un’azienda di 10 dipendenti che fallisce non fa notizia.
Ma, se dovesse innescarsi un effetto domino (e le condizioni ci sono tutte) a nulla serviranno le mance del governo di Conte.