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翠鸟科
http://www.cdt.ch/primo-piano/approfondimenti/93520/il-web-aiuta-chi-nega-l-olocausto.html
"Il web aiuta chi nega l'olocausto"
Dopo i disordini attorno ai funerali di Priebke parla l'esperto Claudio Vercelli
La confusione seguita alla morte di Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, se ha avuto il merito di ricordare a tutti gli orrori della farneticante ideologia nazista ci ha mostrato anche la realtà turpe di chi, nel 2013, continua a negare l’evidenza della Storia inneggiando ad un credo violento e disumano. Nel suo testamento l’ex ufficiale delle SS, ben lungi da qualsiasi forma di pentimento, ha riesumato alcune delle assurdità che sono alla radice del negazionismo strisciante, vero humus pseudoculturale che impedisce al peggio del nostro passato di passare del tutto. Ne abbiamo parlato con lo storico Claudio Vercelli, ricercatore di storia contemporanea presso l’Istituto di studi storici Salvemini di Torino e recente autore, tra gli altri, de Il negazionismo. Storia di una menzogna (Laterza).
Il suo libro si conclude con un interessante capitolo dedicato al proliferare dei deliri filonazisti e negazionisti attraverso le moderne tecnologie di comunicazione globale, quanto è davvero pericoloso il web in questo senso e perché?
«Credo che lo sia molto. Non perché il medium sia di per sé pericoloso bensì per il fatto che tende a elidere la separazione tra reale e virtuale, alimentando, almeno in questo caso, una falsa percezione, ossia quella di un mondo ricreabile secondo coordinate mentali, culturali, relazionali ed estetiche proprie. Nel web il dubbio è una moneta comune in alcune comunicazioni. Non sempre alimenta la ricerca, in sé legittima, di riscontri, trasfondendosi semmai in sospetto sistematico e, quindi, in successiva negazione. Il diffondersi di teorie cospirazioniste, che sono l’ossatura del negazionismo, è in tal modo agevolata. Poiché viene vissuta come una spiegazione plausibile della realtà materiale, altrimenti troppo complessa per essere ricondotta a pochi fattori interpretativi. Non di meno, nello "spazio virtuale" esiste un solo tempo, quello presente. Il passato è una variabile occasionale, che può essere riscritta così come si fa con certi testi, quali quelli, per esempio, di Wikipedia, dove ognuno può apportare un suo contributo. Se in quest’ultimo caso, però, subentrano successivamente dei criteri di valutazione, nella blogsfera non sussiste nessun vaglio che non sia quello della persuasività di affermazioni senza obbligo di riscontro».
Lei ha studiato a fondo il fenomeno: che idea se ne è fatto? E come è possibile che nel 2013 si possa ancora negare la storicità dell’Olocausto?
«Credo che il negazionismo abbia un futuro, purtroppo anche piuttosto consistente. Non si tratta di una corrente storiografica ma di una spregiudicata, e per questo anche seduttiva, strategia manipolatoria dei dati della storia. Piace, o comunque risulta non ripugnante e quindi degno di una qualche attenzione, perché si basa su un assunto, in ragione del quale Auschwitz e lo sterminio razzista non sono mai esistiti se non come una menzogna creata ad arte dai vincitori della Seconda guerra mondiale. Tra questi, sostengono i negazionisti, gli stessi ebrei. Che quindi avrebbero tutto l‘interesse a presentarsi come vittime quando invece sarebbero i veri "carnefici", quelli del popolo tedesco, a sua volta l’autentica vittima della guerra. Si tratta di un capovolgimento dei dati di fatto, della creazione di una sorta di controfattualità che risulta, quanto meno a certuni, molto interessante se non verosimile».
"Il web aiuta chi nega l'olocausto"
Dopo i disordini attorno ai funerali di Priebke parla l'esperto Claudio Vercelli
Il suo libro si conclude con un interessante capitolo dedicato al proliferare dei deliri filonazisti e negazionisti attraverso le moderne tecnologie di comunicazione globale, quanto è davvero pericoloso il web in questo senso e perché?
«Credo che lo sia molto. Non perché il medium sia di per sé pericoloso bensì per il fatto che tende a elidere la separazione tra reale e virtuale, alimentando, almeno in questo caso, una falsa percezione, ossia quella di un mondo ricreabile secondo coordinate mentali, culturali, relazionali ed estetiche proprie. Nel web il dubbio è una moneta comune in alcune comunicazioni. Non sempre alimenta la ricerca, in sé legittima, di riscontri, trasfondendosi semmai in sospetto sistematico e, quindi, in successiva negazione. Il diffondersi di teorie cospirazioniste, che sono l’ossatura del negazionismo, è in tal modo agevolata. Poiché viene vissuta come una spiegazione plausibile della realtà materiale, altrimenti troppo complessa per essere ricondotta a pochi fattori interpretativi. Non di meno, nello "spazio virtuale" esiste un solo tempo, quello presente. Il passato è una variabile occasionale, che può essere riscritta così come si fa con certi testi, quali quelli, per esempio, di Wikipedia, dove ognuno può apportare un suo contributo. Se in quest’ultimo caso, però, subentrano successivamente dei criteri di valutazione, nella blogsfera non sussiste nessun vaglio che non sia quello della persuasività di affermazioni senza obbligo di riscontro».
Lei ha studiato a fondo il fenomeno: che idea se ne è fatto? E come è possibile che nel 2013 si possa ancora negare la storicità dell’Olocausto?
«Credo che il negazionismo abbia un futuro, purtroppo anche piuttosto consistente. Non si tratta di una corrente storiografica ma di una spregiudicata, e per questo anche seduttiva, strategia manipolatoria dei dati della storia. Piace, o comunque risulta non ripugnante e quindi degno di una qualche attenzione, perché si basa su un assunto, in ragione del quale Auschwitz e lo sterminio razzista non sono mai esistiti se non come una menzogna creata ad arte dai vincitori della Seconda guerra mondiale. Tra questi, sostengono i negazionisti, gli stessi ebrei. Che quindi avrebbero tutto l‘interesse a presentarsi come vittime quando invece sarebbero i veri "carnefici", quelli del popolo tedesco, a sua volta l’autentica vittima della guerra. Si tratta di un capovolgimento dei dati di fatto, della creazione di una sorta di controfattualità che risulta, quanto meno a certuni, molto interessante se non verosimile».
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