dalla suizzera

Borghezio e l'urlo "rossocrociato"

L'euro-parlamentare a Strasburgo ferma la plenaria: "Svizzera libera!" - VIDEO
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STRASBURGO - Mario Borghezio, controverso europarlamentare italiano della Lega Nord, oggi ha interrotto il dibattito sulle relazioni tra Svizzera e Ue in corso al parlamento europeo a Strasburgo agitando una bandiera rossocrociata e gridando "rispettate il voto del popolo" del 9 febbraio. Il commissario europeo per l'occupazione Laszlo Andor (Partito socialista), facendo riferimento alla Croazia, stava ribadendo di fronte al legislativo che l'Ue non può tollerare alcuna discriminazione di Paesi membri in materia di libera circolazione. Intanto Bruxelles ha indicato che gli studenti elvetici non potranno beneficiare del programma Erasmus dal prossimo anno accademico, quest'autunno.
Lo scorso 15 febbraio, in seguito all'accettazione dell'iniziativa "Contro l'immigrazione di massa", Berna ha informato Zagabria di non poter firmare l'accordo nella sua forma attuale.
La libera circolazione delle persone "è un diritto fondamentale" che "semplicemente non può essere negoziato", ha insistito Andor.
Fino a quando questa intesa non sarà sottoscritta, le altre trattative con la Svizzera rimangono sospese, ha affermato Andor, confermando la posizione ufficiale di Bruxelles dopo l'adozione della modifica costituzionale in Svizzera che prevede la reintroduzione di contingenti per tutte le categorie di stranieri.
L'intervento di Borghezio: "Basta con la dittatura Ue"
Proprio mentre Andor stava facendo il punto sui rapporti tra Ue e Svizzera, Borghezio ha si è avvicinato al banco della Commissione sventolando la bandiera rossocrociata ed urlando in francese: "E no, l'Europa deve rispettare la volontà del popolo sovrano. Sì al referendum, sì alla libertà del popolo. Basta con la dittatura europea sui popoli". Il commissario ungherese si è interrotto e il vicepresidente di turno del parlamento ha espulso il deputato della Lega.
 
"Andremo incontro a un disastro"

Diverse personalità svizzere puntano a creare gli "Stati generali europei"
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BERNA - Un gruppo di 33 personalità, tra le quali l'ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey, lancia oggi a Berna una sorta di "appello europeo", nell'intento di raggruppare tutti coloro che si sentono sconfitti e delusi dalla votazione dello scorso 9 febbraio Contro l'immigrazione di massa. Si vogliono organizzare gli "Stati generali europei".
Secondo i firmatari, sarà la stessa Svizzera e mettere fine agli accordi bilaterali con l'UE nel momento in cui introdurrà i contingenti di manodopera estera. Si andrà incontro a un "disastro" che il gruppo, appoggiato dal Nuovo movimento europeo (NUMES), vuole evitare puntando all'adesione all'Unione. Viene quindi lanciato l'invito per gli "Stati generali europei", da tenersi il prossimo 14 maggio a Berna.
"L'UDC ha ucciso il consenso svizzero e i cittadini ne sono le vittime", scrivono i firmatari nell'appello, tra cui il consigliere nazionale Jacques Neyrinck (PPD/VD) e l'ambasciatore Luzius Wasescha. Essi ritengono che l'economia, la diplomazia, la ricerca e gli studenti saranno i primi a risentire dell'esito della votazione.

27.02.2014 - 11:33
 
2 feb 2014 09:46 "Via ai negoziati per aderire all'UE"

Micheline Calmy-Rey raccomanda alla Svizzera di approfittare del sistema attuale
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BERNA - Micheline Calmy-Rey raccomanda alla Svizzera di avviare negoziati di adesione con l'Unione europea. "Approfittare del sistema di sicurezza e del mercato dell'Ue, riprendere il diritto europeo senza partecipare al processo decisionale, non è degno", afferma l'ex consigliera federale in un'intervista al "Matin Dimanche" pubblicata in occasione dell'uscita del suo libro "La Suisse que je souhaite" ("La Svizzera che desidero").
Per Calmy-Rey, l'UE sta cambiando "la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande militano per un approfondimento della zona euro e allo stesso tempo per un allargamento dell'Unione. La Svizzera potrebbe trovare più facilmente il suo posto in un modello a due velocità".
"La sovranità è anche dare la propria opinione sulle decisioni, non solo riprendere l'acquis comunitario senza avere voce in capitolo", afferma l'ex ministra degli esteri.
Mentre Berna sta negoziando un accordo quadro con Bruxelles per risolvere le questioni istituzionali, Calmy -Rey ritiene che "la via bilaterale non è l'unica alternativa disponibile" per la Svizzera.





3 feb 2014 15:40
La Svizzera che vorrebbe Calmy-Rey

L'ex presidente pubblica un saggio "di apertura e integrazione modulata"
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BERNA - La Svizzera deve rafforzare la sua apertura al mondo e ha bisogno di alleanze. L'ex presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey pubblica oggi un saggio nel quale riafferma i suoi principi. Un'occasione per regolare alcuni conti in sospeso sulla Libia, il Kosovo o la vicenda del velo in Iran.
Nell'opera "La Suisse que je souhaite" (La Svizzera che vorrei) Calmy-Rey s'interroga sul suo Paese "allo stesso tempo aperto e chiuso al mondo". A suo avviso, la Svizzera, che non è una grande potenza, dovrebbe rafforzare le alleanze e i partenariati con altri Stati. Dopo aver difeso come consigliera federale la via bilaterale con l'UE, si dice di nuovo favorevole ad un'adesione.
Secondo Calmy-Rey, le recenti dichiarazioni del presidente francese François Hollande o della cancelliera tedesca Angela Merkel aprono la prospettiva di "un'integrazione modulata", ossia che tenga conto di alcune prerogative elvetiche quali la neutralità o il franco svizzero.
Nel suo testo, ritorna anche su alcune vicende per giustificarsi o regolare dei conti in sospeso. Una delle più emblematiche resta quella sulla crisi di ostaggi svizzeri in Libia. Una questione "molto dura" che ha culminato con un "ricordo terribile" di una domenica di febbraio 2010 quando Calmy-Rey ha incoraggiato gli ostaggi a lasciare l'ambasciata svizzera a Tripoli. Rachid Hamdani sarà liberato qualche settimana più tardi ma Max Göldi rimarrà imprigionato ancora per quattro mesi prima di poter tornare in Svizzera.
Altra polemica, quella sorta quando Calmy-Rey ha dovuto portare il velo per incontrare dirigenti iraniani. Ne aveva approfittato per parlare di diritti umani e nucleare. Oggi, denuncia "i moralisti" e i "ben pensanti".
Sul Kosovo, Calmy-Rey si difende dall'accusa di aver voluto "imporre" il riconoscimento dell'indipendenza della provincia serba. "Mi hanno detto che avrei avuto cattive relazioni con la Serbia, mi hanno accusato di aver violato la neutralità e di aver messo fine a ogni possibilità di mediazione".
Calmy-Rey svela anche alcuni momenti di emozione e vergogna. Come quando in Kenya ha dovuto tagliar corto durante una discussione con una rifugiata e il suo bebè. O quando non ha potuto ascoltare i racconti delle donne vittime di abusi sessuali in Repubblica democratica del Congo (RDC) "per paura di non essere all'altezza".
Ma Calmy-Rey evoca anche ricordi più piacevoli come l'incontro con Hillary Clinton o Kofi Annan, ex segretario generale dell'ONU. Ricorda inoltre come ha rischiato di mancare a un incontro importante con Barack Obama a causa del traffico o di quando ha brindato con una dozzina di vodka con un governatore russo, mentre faceva scalo verso il Pakistan.





11 feb 2014 17:32
"Affrontiamo l'UDC con coraggio"

Calmy-Rey: "Sbagliato non aver opposto alternative alla loro politica"
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GINEVRA - Secondo l'ex presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey, la tendenza persistente a non opporre alternative alla politica dell'UDC è uno dei motivi che ha portato domenica il popolo svizzero ad accettare l'iniziativa "Contro l'immigrazione di massa". L'ex ministra degli esteri ginevrina ha affermato oggi che bisogna avere il coraggio di affrontare questo partito.
"Mi è stato rimproverato di aver rotto un tabù evocando la soluzione di un'adesione della Svizzera all'Unione europea poco prima della votazione, ma bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno", ha sottolineato oggi l'ex consigliera federale durante la presentazione del suo libro "La Suisse que je souhaite" (La Svizzera che vorrei) al Club suisse de la presse a Ginevra.
Per Micheline Calmy-Rey è un errore reagire all'UDC solamente parlando di catastrofe ma senza proporre alternative o presentare altri progetti. È necessario "svegliare il can che dorme".
La via bilaterale in pericolo
Secondo l'ex ministra degli esteri, la via bilaterale per la quale "lei si è battuta per nove anni" rischia un "crash" dopo la votazione di questo fine settimana. "Auguro buona fortuna ai miei successori al Consiglio federale", ha aggiunto. A suo avviso l'isolamento porta unicamente ad impedire alla Svizzera di poter difendere i suoi interessi.
Micheline Calmy-Rey non riesce a spiegarsi come la popolazione abbia potuto votare sì all'iniziativa dell'UDC. Sebbene i problemi nell'arco lemanico e in Ticino siano simili, le due regioni hanno rispettivamente bocciato e accettato l'iniziativa, ha rimarcato l'ex presidente della Confederazione.
Per Calmy-Rey l'esito della votazione non dev'essere paragonato a quello sullo Spazio economico europeo (SEE) , ma a quello dell'iniziativa contro i minareti.
Il risultato di domenica può essere anche dovuto a una reazione contro l'UE che spinge la Svizzera ad adeguarsi al diritto comunitario, politica che a molti è apparsa un "diktat", ha notato Micheline Calmy-Rey.
 
UDC esclusa dai lavori, è polemica

Per il presidente Toni Brunner è "un affronto inaccettabile"
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BERNA - Continua a far discutere l'esclusione dell'UDC dal gruppo di lavoro sull'attuazione dell'iniziativa contro l'immigrazione di massa (vedi Suggeriti). I rappresentanti delle associazioni economiche insistono in favore di un coinvolgimento del partito che, per bocca del suo presidente Toni Brunner, parla di un "affronto inaccettabile". Il consigliere federale Johann Schneider-Ammann si difende, sottolineando che il dossier è ora di competenza del governo.
Sabato, nel corso di una tavola rotonda con i rappresentanti delle associazioni economiche, al ministro è stato espresso l'auspicio che al processo di attuazione dell'iniziativa partecipi anche l'UDC. Questo fronte comune del mondo economico ha rallegrato il presidente dell'Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam), il democentrista Jean-François Rime, che ha ricordato come nel gruppo di lavoro istituito dal Consiglio federale ci siano rappresentanti dei partner sociali, dei cantoni, delle città, dei comuni, ma non dell'UDC.
In una nota diffusa venerdì, il partito si è detto "costernato" per la decisione presa dal governo venerdì 28 febbraio. Oggi, intervenendo sulle colonne di "Le Matin Dimanche", il presidente Brunner ha definito la scelta dell'esecutivo un "affronto inaccettabile" e ricordato che dieci giorni fa il suo partito aveva scritto al Consiglio federale per chiedere che gli iniziativisti fossero integrati nelle discussioni.
"Il lavoro principale sarà effettuato dal gruppo di esperti, ma i promotori dell'iniziativa saranno consultati", si è da parte sua difeso Schneider-Ammann in un'intervista pubblicata oggi dalla "SonntagsZeitung". Il processo per giungere all'applicazione del testo è solo agli inizi, secondo il consigliere federale, ed è dunque troppo presto per speculare sui dettagli.
Tempi brevi e flessibilità, ma anche richieste specifiche
Al di là di questo aspetto, le discussioni avute sabato con Schneider-Ammann "sono state costruttive", ha affermato Heinz Karrer, presidente di Economiesuisse. "Sono state proposte molte idee per evitare che quanto approvato il 9 febbraio pesi troppo sull'economia svizzera, ha precisato, auspicando che si possa giungere rapidamente a una soluzione flessibile e non burocratica, che tenga conto della specificità dei frontalieri.
Sulla necessità di agire in tempi brevi si è espresso anche Aymo Brunetti, intervistato dalla "Zentralschweiz am Sonntag". Se le misure di attuazione dovessero rimanere troppo vaghe, "gli investimenti potrebbero rallentare", ha messo in guardia il professore di economia, che dirige un gruppo di esperti della piazza finanziaria elvetica.
L'apparente unità di vedute del mondo economico nasconde tuttavia una serie di richieste e inquietudini specifiche ai differenti settori. In una nota diffusa sabato, l'Associazione svizzera dei banchieri (ASB), ha per esempio chiesto al Consiglio federale di considerare gli stranieri residenti nella Confederazione come gli Svizzeri, per consentire al mercato del lavoro di continuare a funzionare e a tutti i collaboratori delle banche di cercare un impiego senza difficoltà.
In un'intervista a "Le Matin Dimanche", il presidente di Novartis, Jörg Reinhardt, si è dal canto suo detto preoccupato per "le ricadute a lungo termine" della votazione del 9 febbraio. "Sul nostro campus circolano persone provenienti da un centinaio di paesi e speriamo che in futuro possa essere ancora così", ha aggiunto.
Il direttore dell'Usam, Hans-Ulrich Bigler, in un'intervista alla "NZZ am Sonntag", ha invece lanciato un appello a una "giusta ripartizione dei contingenti", affermando di temere che le grandi industrie, in particolare farmaceutiche, vengano favorite, a scapito di settori come quello delle costruzioni o alberghiero.
In 10.000 manifestano per una Svizzera aperta
Le conseguenze della votazione continuano a far discutere non solo l'economia. Sabato pomeriggio 10.000 persone (12.000 secondo gli organizzatori) si sono riunite in Piazza federale a Berna per manifestare in favore di una Svizzera aperta e solidale. La dimostrazione è stata indetta da una sessantina fra partiti, sindacati e organizzazioni.
Oltre a mettere in guardia dai pericoli di uno smantellamento dei diritti dei migranti, i dimostranti hanno chiesto di mobilitarsi per impedire la reintroduzione dello statuto di stagionale e lanciato un appello contro l'iniziativa Ecopop, giudicata "ancora più radicale". Prima della manifestazione, circa 300 persone hanno sfilato lungo le vie della città per condannare il razzismo.


Ticino: frontaliere un occupato su 4

Nel nostro cantone si sfiorano le 60 mila unità - In Svizzera +3,8% nel 2013
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NEUCHÂTEL - Cresce il numero di frontalieri. Nel 2013 i lavoratori di nazionalità straniera occupati in Svizzera sono aumentati del 3,8%. La metà di essi è domiciliata in Francia (52,4%); un quarto risiede in Italia (23,7%) e un quinto in Germania (20,5%). In proporzione al numero di frontalieri e al totale della popolazione occupata, in Ticino un lavoratore su quattro giunge da oltreconfine, per una percentuale che si attesta al 25,6%. Dal terzo al quarto trimestre dello scorso anno, si è registrata un leggera progressione: il numero di frontalieri raggiunge in effetti quota 59.807 unità, 498 in più rispetto al trimestre precedente.
62.000 frontalieri in più nell'arco di 5 anni
Alla fine del 2013 i frontalieri di nazionalità straniera che lavoravano in Svizzera erano 278.500, di cui il 64,2% uomini e il 35,8% donne. Il numero totale è aumentato di 10.200 unità, pari al 3,8%, tra la fine del 2012 e la fine del 2013, segnando un incremento inferiore all'anno precedente (+6,0%).
Nell'arco di cinque anni il numero di frontalieri è passato dalle 216.400 persone nel 2008 alle
278.500 unità nel 2013, pari a una crescita del 28,7%. La crescita ha interessato in modo simile sia i lavoratori uomini (+29,3%) che le donne (+27,7%). Nello stesso intervallo di tempo, il numero totale di attivi occupati (secondo la statistica delle persone occupate) è passato da 4,581 milioni a 4,899 milioni, segnando un aumento del 6,9%.

Aumento più o meno marcato secondo il gruppo di professioni
L'aumento del numero di frontalieri varia a seconda del gruppo di professioni: rispetto all'incremento generale del 28,7% registrato nell'arco di cinque anni, gli aumenti sono stati maggiori nei gruppi di professione «impiegati d’ufficio e di commercio» (+72,5%), «professioni non qualificate» (+56,2%) e «dirigenti» (+40,1%). Anche tra gli occupati non frontalieri, il numero di persone che esercitano la professione di dirigente è salito in maniera superiore alla media (+26,4%). Per contro, il numero di occupati attivi nella categoria «impiegati d’ufficio e di commercio» è sceso del 4,3% nell'arco di cinque anni, segnando una tendenza contraria a quella registrata tra i frontalieri in questa categoria.

I lavoratori frontalieri esercitano chiaramente più spesso professioni non qualificate rispetto al resto della popolazione attiva occupata (17,9% contro 3,7%). In generale, questa categoria di lavoratori tende a svolgere prevalentemente mansioni poco qualificate. La loro presenza è particolarmente limitata nelle professioni di tipo intellettuale e scientifico (l'11,6% dei frontalieri contro il 22,5% degli altri occupati).

I quattro quinti dei frontalieri lavorano in tre Grandi Regioni
Circa i quattro quinti dei lavoratori frontalieri sono concentrati in tre Grandi Regioni: circa un terzo nella Regione del Lemano (34,7%), un quarto nella Svizzera nordoccidentale (23,5%) e un quinto in Ticino (21,5%). Anche se il numero assoluto di frontalieri è maggiore nella Regione del Lemano, la situazione cambia se si considera la rispettiva percentuale sul totale della popolazione attiva occupata. Nella Regione del Lemano, infatti, come nella Svizzera nordoccidentale, un occupato su dieci è frontaliere. In Ticino, invece, la proporzione è molto diversa, dato che i frontalieri rappresentano il 25,6% degli occupati.

Importanza crescente nel terziario
Nel 4° trimestre 2013, la maggior parte dei frontalieri (61,0%) era attiva nel settore dei servizi. L'industria dava lavoro al 38,2% dei frontalieri e l'agricoltura soltanto allo 0,7%. Secondo la statistica delle persone occupate del 3° trimestre 2013, la percentuale di occupati raggiungeva il 3,7% nell'agricoltura, il 22,4% nell'industria e il 73,9% nel settore dei servizi. I frontalieri, dunque, lavorano prevalentemente nel settore secondario rispetto alla media degli occupati, anche se nell'arco di cinque anni si è registrato un lieve aumento del loro numero anche nel settore terziario (dal 56,6% al 61,0%) a scapito dell'industria (dove si è registrato un calo dal 42,6% al 38,2%).

Oltre la metà dei frontalieri viene dalla Francia
Oltre la metà dei frontalieri è domiciliata in Francia (52,4%). Numerosi anche i frontalieri residenti in Italia (23,7%) e in Germania (20,5%). Solo una piccola percentuale di frontalieri vive in Austria (2,9%) o in altri paesi (0,5%).

3.03.2014
 
Libera circolazione, ecco cosa fare

Avenir Suisse: fissare un limite globale al saldo migratorio per dieci anni
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ZURIGO - La Svizzera non è obbligata ad abbandonare la libera circolazione con l'UE per mettere in pratica l'iniziativa dell'UDC "contro l'immigrazione di massa". Lo sostiene Avenir Suisse, che propone in alternativa di fissare un limite globale al saldo migratorio per i prossimi dieci anni. Si potrebbe ad esempio decidere che entro il 2025 la popolazione residente non superi, a seconda di varianti fissate a livello politico, una soglia fra gli 8,84 e i 9 milioni di persone, hanno affermato i responsabili di Avenir Suisse davanti alla stampa oggi a Zurigo.
Secondo il "think tank" dell'economia, si dovrebbe fare ricorso a dei contingenti soltanto nel caso ci si dovesse accorgere, nel 2021, che la soglia globale non potrà essere rispettata. Questo sistema inciterebbe l'economia a mettere in pratica un sistema di autoregolazione efficace. Esso permetterebbe allo stesso tempo di evitare una rottura degli accordi bilaterali, come pure di ridurre l'immigrazione e di evitare una burocrazia eccessiva. I valori globali della popolazione residente calcolati da Avenir Suisse presuppongono un saldo positivo delle nascite rispetto ai decessi di 17'000 persone all'anno. Il saldo migratorio potrebbe così raggiungere, a seconda delle varianti scelte, fra le 40'000 e le 55'000 persone l'anno. Gli esperti di Avenir Suisse si dicono convinti che "a preoccupare gli svizzeri non è l'immigrazione in quanto tale, ma l'accelerazione della crescita degli ultimi anni".
A titolo di paragone, la popolazione residente è cresciuta in media fra il 2002 e il 2013, ossia dopo l'introduzione della libera circolazione, di 70'000 persone all'anno, con un saldo migratorio di 61'000 persone in più all'anno. Fra il 2007 e il 2013 l'aumento complessivo è stato addirittura di 90'000 persone (di cui 75'000 legate al saldo migratorio). Nei 20 anni precedenti si registravano invece fra i 40'000 e i 50'000 residenti in più all'anno. Per realizzare il suo piano, Avenir Suisse elenca una serie di misure rivolte sia all'economia che alla politica. Le aziende potrebbero ad esempio venire obbligate a versare in un apposito fondo contributi per l'acquisizione di personale straniero, in modo da favorire l'assunzione di dipendenti svizzeri. A livello politico, la fucina d'idee finanziata dall'economia propone di rinunciare alle misure di promozione regionale, come pure ai vantaggi fiscali concessi alle ditte straniere che si trasferiscono nella Confederazione. Nel medesimo contesto, Avenir Suisse si dice convinta che "i frontalieri non sono il problema, ma una parte della soluzione". I frontalieri - si legge in una nota - non vanno considerati come popolazione immigrata, perché continuano a vivere nel loro paese e non creano una pressione sugli alloggi, ma soltanto sulle infrastrutture stradali.
 
"Per l'energia saranno anni difficili"

Leuthard a Nant de Drance: "Senza accordi con l'Ue siamo un Paese terzo" - FOTO
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SION - Il "congelamento" dell'accordo sull'energia con l'Unione europea ha gettato un'ombra oggi sull'inaugurazione della "caverna" destinata ai macchinari del futuro complesso idroelettrico vallesano Nant de Drance. Secondo Doris Leuthard, questa centrale dimostra l'importanza dell'accesso al mercato europeo. (vedi Gallery)
La centrale di pompaggio-turbinaggio di Nant de Drance - una delle più grandi in Svizzera - sarà operativa fra cinque anni. Entro questa data il mercato europeo sarà cambiato. I prezzi poco elevati dell'energia e le capacità eccessive rendono la situazione attuale difficile per le centrali di questo tipo, ha sottolineato nel suo discorso la consigliera federale.
"I prossimi 15 anni saranno sicuramente difficili, ma queste centrali sono costruite per durare", ha detto la ministra. Dal 2015 il mercato dell'elettricità sarà globalizzato nell'Unione europea; in assenza di un accordo la Svizzera sarà considerata come un paese terzo.
Qualora le trattative non dovessero riprendere entro l'estate, i termini per la conclusione di un accordo "saranno troppo brevi", ha rilevato la responsabile del Dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni.
Situato sopra Martigny, fra le dighe di Vieux Emosson e Emosson, il complesso Nant de Drance sarà in grado di fornire in pochi secondi fino a 900 megawatt di energia, l'equivalente della produzione di una centrale nucleare del tipo di Gösgen.
La caverna - lunga 194 metri, larga 32 e alta 54 - si trova ad una profondità di 600 metri. Per accedervi è stata costruita una galleria lunga 5,4 chilometri.
Gli azionisti del complesso - la cui costruzione rappresenta un investimento di 1,9 miliardi di franchi - sono Alpiq (39%), FFS (36%), Industrielle Werke Basel IWB (15%) e Forces Motrices Valaisannes FMV (10%).
Grazie alla centrale, che funzionerà come una gigantesca batteria, le FFS sperano di poter risolvere i problemi dovuti ai picchi di consumo dell'orario cadenzato.
 
I contingenti non sono ammissibili

Pierre Moscovici: "Il principio della libera circolazione non li permette"
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BERNA - "Il principio della libera circolazione non ammette contingenti". Lo ha dichiarato oggi all'ats il ministro dell'economia e delle finanze francese Pierre Moscovici riferendosi ai 145'000 frontalieri francesi che giornalmente varcano il confine per recarsi in Svizzera a lavorare. In merito a quest'ultimi, Moscovici, dopo l'incontro con una delegazione del Consiglio federale, ha rassicurato: "i diritti acquisiti non verranno toccati".
Dal canto suo la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf ha ribadito che la libera circolazione rimane per ora in vigore visto che ci sono ancora tre anni di tempo per applicare l'iniziativa dell'UDC contro l'immigrazione di massa. "I cittadini svizzeri e francesi che attraversano la frontiera potranno continuare a farlo liberamente", ha spiegato la ministra delle finanze.
Moscovici, giunto allo scalo di Berna/Belp verso le 13.00 e intrattenutosi per una colazione di lavoro con i consiglieri federali Eveline Widmer-Schlumpf, Johann Schneider-Ammann e Alain Berset, ha dichiarato ai media che le discussioni si sono svolte in un clima amichevole e costruttivo. "Vogliamo avanzare assieme alla Svizzera su determinati dossier, in particolare quelli fiscali", ha sostenuto.
Moscovici ha parlato di progressi nell'ambito dello scambio di informazioni fiscali tra Berna e Parigi: a tale riguardo è stato adeguato un protocollo volto a migliorare lo scambio di informazioni su domanda.
In merito alla regolarizzazione del passato, il ministro del governo Hollande ha ricordato che la Francia ha lanciato l'anno scorso un programma di regolarizzazione per gli averi detenuti all'estero dai cittadini del suo Paese. Il piano non prevede il rimpatrio dei fondi, ma nemmeno l'anonimato o la negoziazione.
Moscovici spera nella collaborazione delle banche elvetiche, affinché queste ultime incitino i propri clienti francesi ad uscire allo scoperto. Il programma di regolarizzazione messo a punto da Parigi sembra in ogni caso avere successo: stando a Moscovici, in pochi mesi i servizi finanziari del suo Paese hanno ricevuto 17 mila domande in tal senso.
Convenzione successioni non verrà rinegoziata
L'incontro odierno con una delegazione del Consiglio federale, ha spiegato Moscovici precisando che era dal 1983 che un ministro francese delle finanze non si recava in Svizzera (all'epoca Jacques Delors), ha permesso anche di affrontare il problema della nuova convenzione sulle successioni tra i due Paesi, testo che tanto ha irritato i parlamentari elvetici, specie romandi, che l'hanno respinta al Nazionale giudicandolo iniquo.
Ebbene, "la Francia non è disposta a rinegoziare la convenzione destinata contrastare la frode fiscale qualora anche il Consiglio degli Stati (il dossier è in agenda per il 17 di marzo, n.d.r) dovesse confermare il voto del Nazionale", ha affermato Moscovici, sottolineando che il testo in questione "non è stato imposto alla Svizzera, ma è un documento equilibrato diversamente da quanto taluni pretendono".
Moscovici ha respinto con forza le accuse di "imperialismo" lanciate al suo Paese, spiegando che simili accuse sono avulse dalla realtà. Se la Svizzera non dovesse ratificare il nuovo documento, la Francia denuncerà la convenzione, tutt'ora in vigore, del 1953, ha detto.
Standard globale OCSE, Parigi preme sull'acceleratore
Moscovici ha poi ribadito l'impegno francese per giungere presto all'elaborazione di uno standard globale per lo scambio automatico di informazioni in ambito fiscale, sottolineando che il suo Paese, assieme ad altri partner europei come l'Italia e la Germania, intendono mettere in vigore le future regole - in fase avanzata di elaborazione - entro la fine del 2015.
A tale riguardo, Francia e Svizzera hanno convenuto che, in futuro, questa via potrebbe essere seguita per adeguare, dopo l'adozione del nuovo standard internazionale, le relazioni bilaterali di entrambi i Paesi. Widmer-Schlumpf ha in ogni caso puntualizzato che le procedure elvetiche per arrivare a tanto sono più laboriose di quelle in uso nel Paese vicino, dal momento che è necessario passare dal parlamento e, forse, anche davanti al popolo.
Voto 9 febbraio non ci ha lasciato indifferenti
Interrogato sul voto del 9 di febbraio, Moscovici ha detto che non si tratta né di giudicare né di esercitare qualsivoglia tutela politica sulla Confederazione. Tuttavia, "è chiaro che l'esito del voto non ci lascia indifferenti e che ci saranno delle conseguenze". La Svizzera non è membro dell'Ue, "ma è un Paese europeo", ha ricordato Moscovici.
Il ministro francese delle finanze ha spiegato che da parte del suo Paese c'è disponibilità nella ricerca di soluzioni future, ma che la libera circolazione è un grande principio dell'Unione europea e, come ribadito da molti altri suoi colleghi europei, "non è negoziabile".
 
"Il voto di febbraio, grido di dolore"

Marco Solari: "L'Europa farebbe bene a non considerarlo come una sfida"
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MILANO - Il ticinese Marco Solari - presidente del Festival internazionale del Film di Locarno - parla a ruota libera al Corriere della Sera di venerdì: gli argomenti portanti dell'intervista sono la Svizzera e l'Europa. "È profondamente ingiusta - commenta Solari - la reazione europea che tende a demonizzare la decisione svizzera di arginare l'immigrazione: in fondo gli stranieri nella Confederazione sono il 25% della popolazione totale. Senza quell'equilibrio interno che è la nostra ragione di vita diventiamo un'appendice dell'Europa, il Ticino diventa un'appendice della Lombardia e così via".
Nell'intervista, pure una dichiarazione di voto: "Anche se personalmente - dice Solari - ho votato per la minoranza accetto le decisioni popolari. È il prezzo della democrazia diretta. L'Europa farebbe bene a considerare il voto svizzero come un grido di dolore e non come una sfida".
 
6 mar 2014 06:00 Abbiamo ancora forza contrattuale

Trattative su fisco e ristorni: parla il presidente del Governo Beltraminelli
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Sono passati ormai nove giorni dalla visita della consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, venuta in Ticino per fare il punto sulle trattative fiscali con l’Italia. La reazione del mondo politico è stata negativa sia perché la direttrice del Dipartimento federale delle finanze non ha voluto presentarsi di persona davanti alla stampa sia perché, contrariamente agli auspici del Cantone, ha detto che l’Accordo sull’imposizione dei frontalieri non sarebbe stato disdetto. Ma per il presidente del Governo Paolo Beltraminelli, intervistato dal Corriere del Ticino, la reazione è stata eccessiva e si rendono necessarie alcune puntualizzazioni. Dall’incontro con Widmer-Schlumpf sono anzi emerse indicazioni che andrebbero viste in un’ottica più positiva, soprattutto per quanto riguarda la posizione svizzera nelle trattative e le possibilità di trarre maggiori benefici, diretti e indiretti, dall’imposizione dei frontalieri.
Il mondo politico ha reagito negativamente alla visita di Eveline Widmer-Schlumpf. È stato fatto passare un messaggio sbagliato o quanto accaduto ha un fondamento?
«Il Ticino è un po’ esasperato dalla continua pressione dovuta alla crisi italiana, teme per il lavoro, desidera delle soluzioni rapide per frenare l’afflusso dei frontalieri che non arrivano. Anche se la questione fiscale non è legata a quella dell’immigrazione, dopo il voto del 9 febbraio (la cui applicazione dev’essere seguita attentamente per evitare di svantaggiare il Cantone!) il Paese si aspettava molto, forse troppo, dalla visita di Widmer Schlumpf. Da anni si cerca di arrivarne a una con l’Italia e per questo ci si attende da Berna qualcosa di concreto, non sia solo comprensione. Ma la reazione è stata a mio modo di vedere troppo negativa, perché ci sono anche elementi positivi, anche se la partita è ancora molto aperta, non dobbiamo esasperare la situazione».
Parentesi: ma come giudica il fatto che la consigliera federale non abbia voluto rilasciare dichiarazioni? Questo forse non ha contribuito a peggiorare il clima?
«La consigliera federale avrebbe dovuto partecipare alla conferenza stampa. Il fatto che non si sia confrontata con i giornalisti non ha certamente aiutato. Anche se il clima nei suo confronti non era particolarmente favorevole si è persa un’occasione importante, peccato».
Se le cose non stanno nei termini usati dal mondo politico allora come stanno?
«La consigliera federale condivide che l’accordo è ormai superato e dev’essere cambiato, non ha assolutamente detto che l’accordo non si tocca. Anzi, negli intenti svizzeri si andrà verso un’abolizione dell’accordo o almeno verso un accordo completamente rivisto. Un’opzione è quella di tassare separatamente i frontalieri, in Svizzera e in Italia, dove attualmente i lavoratori che risiedono nella fascia di 20 chilometri dal confine non pagano imposte. È una direzione giusta. Per il frontaliere l’imposizione totale sarà superiore a quella attuale. Questo è un punto centrale. Resterebbero più soldi nel Cantone e ci sarebbe anche un interesse minore a venire a lavorare in Ticino, con una riduzione del rischio di dumping salariale e di sostituzione della nostra forza lavoro».
Ma uno splitting è compatibile con la richiesta di mantenere in vita l’accordo? Se ogni Stato tassa i frontalieri per conto suo non è come abolire l’accordo di fatto?
«Sì, ma per farlo ne serve un altro, si andrebbe verso una sorta di credito di imposta. La Svizzera preleva alla fonte senza più ristorni e l’Italia, dove le aliquote sono più alte, deduce dalle sue imposte quello che il frontaliere ha già pagato qui, secondo modalità proprie».
Ma l’accordo resta sempre un capitolo delle più ampie trattative con l’Italia. Quali sono le priorità della Confederazione?
«Le priorità sono di eliminare le black list, non discriminare le banche e le aziende svizzere in Italia e soprattutto sistemare la questione dei capitali italiani depositati in Svizzera: per i clienti, per le banche e per chi vi lavora. Bisogna trovare un accordo ponte tipo Rubik che metta a posto il passato e che non sia lo scambio automatico di informazioni. Lo standard OCSE arriverà, ma solo in futuro. È un punto fondamentale. Per prima cosa dobbiamo trovare una soluzione che ci permetta di proiettarci nel futuro. Se non si trova un’intesa rapida sul passato ci rimetteranno entrambi i Paesi, perché i soldi che usciranno dalla Svizzera non approderanno in Italia. Il Governo italiano ha un’esigenza chiara: avere soldi il più svelto possibile. Una certa forza contrattuale possiamo averla anche perché, per l’Italia, il rischio che la denuncia spontanea non funzioni è alto. A cosa servirebbe all’Italia lo scambio di informazioni se non ci saranno più soldi sui quali richiedere queste informazioni?»
Widmer-Schlumpf ha ribadito che lo scambio di informazioni non riguarda il passato?
«Esattamente, ha confermato questo proposito. Regolare il passato tramite una sorta d’imposta liberatoria e non con lo scambio automatico d’informazioni è la conditio sine qua non. Quindi a mio avviso la Svizzera ha ancora forza contrattuale. È importante è che il Ticino continui anche ad essere rappresentato nel gruppo che segue le trattative».
 
Scrive a Renzi: "Offeso in Ticino"

Un italiano fermato dalla Cantonale si è sentito urtato dalle frasi degli agenti
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LUGANO - È accaduto domenica sera: un cittadino italiano è stato fermato dalla Polizia Cantonale all’uscita autostradale di Mendrisio per un normale controllo.
Tuttavia, il diretto interessato ritiene che contro di lui gli agenti abbiano usato parole non di estrema correttezza. Per questo ha scritto alla Polizia del Canton Ticino e al premier italiano Matteo Renzi: "La presente dopo l’ennesimo incontro avuto con degli agenti svizzeri. Pur indossando una divisa si sono permessi di utilizzare frasi e comportamenti non solo offensivi nei confronti di un popolo, quello italiano, ma anche delle persone, nella fattispecie il sottoscritto e chi era con me".
Gli agenti, scrive l'uomo, hanno usato frasi del genere: "Cos’è, non capite nemmeno i gesti e i segni voi italiani? Quante volete bisogna ripetere perché capiate? Se parlo l’italiano che ci insegnano qui in Svizzera capisce o ha problemi ad afferrare il concetto?".
A raccontare la vicenda è stato il quotidiano la Provincia di Como.
 

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