Derivati, futures e certificati, sugli indici e commodities - Cap. 1

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EUROSTOXX 50 – Chiusura - 16/06/14 – entrato FLAT


L’ EUROSTOXX 50 X4-TS è entrato FLAT , Entry Long/Short leggibili sul grafico

 
Caos Iraq ma non solo: le previsioni di Prometeia sulle commodities

Al di là della situazione in Iraq, che ha fatto schizzare il valore del petrolio, Prometeia prevede, in media, una relativa stabilizzazione dei prezzi delle materie prime in euro nel prossimo biennio.


I ribassi che sembravano poter emergere sul mercato petrolifero sono recentemente andati disattesi di fronte all’instabilità che continua a caratterizzare lo scenario politico del Nordafrica. La ripresa delle esportazioni di Tripoli, che appariva imminente, alla fine non si è materializzata: i prezzi del greggio – a fronte di una domanda che ha trovato ulteriore sostegno dall’inizio della stagione di maggior consumo di benzine – hanno così guadagnato terreno nelle ultime settimane. Inoltre, nei giorni più recenti, con l’intensificarsi delle tensioni in Iraq, il prezzo del barile ha “sforato” la banda di oscillazione (105-110 Us$/b.) in cui fluttuava da ormai diversi mesi, arrivando a superare i 112 Us$.

Si conferma elevata la tensione tra Russia e Ucraina, ma l’epicentro si è spostato a nord, lontano dalla Crimea: di conseguenza i prezzi delle materie prime agricole, che tra marzo e aprile hanno sperimentato forti aumenti (legati proprio alla possibile interruzione delle consegne di cereali da questa regione), si sono riallineati su livelli più coerenti con i fondamentali. Il prezzo del gas naturale sulle borse europee, nonostante le preoccupazioni riguardo a una possibile interruzione delle forniture all’Ucraina (attraverso i cui territori passano le pipeline per l’Europa) ha continuato a cedere terreno, beneficiando di un mercato che, a livello continentale, si conferma sovra-rifornito. I prezzi dei metalli hanno mantenuto un andamento piuttosto eterogeneo nelle ultime settimane, anche se le tensioni rialziste sembrano avere prevalso su quelle ribassiste. In generale comunque, le quotazioni dei prodotti industriali (acciai compresi) si mantengono su livelli storicamente contenuti, se paragonati alla media del triennio 2010-’12.

Prometeia prevede, in media, una relativa stabilizzazione dei prezzi in euro nel prossimo biennio. Nel complesso, secondo la view Prometeia, lo scenario delle materie prime si mantiene comunque orientato a una sostanziale stabilizzazione dei prezzi in Us$ nel 2014, cui seguirà un deprezzamento (stimato nell’ordine dei cinque punti percentuali) l’anno successivo. Nel 2015 i prezzi in euro delle commodity manterranno invece un profilo improntato a una generale stabilità, per effetto delle dinamiche valutarie. Possibili rischi al rialzo rispetto a questo quadro sono riconducibili soprattutto al comparto delle commodity energetiche.
 
Ultima modifica:
Mercati del petrolio in fibrillazione

Le quotazioni al record degli ultimi nove mesi sono state smussate dalle parole di Obama, che potrebbe intervenire per evitare il naufragio del governo di Baghdad – Però le difficoltà sono enormi e le riserve irachene di greggio non sono facilmente sostituibili – A parte i rischi politici, la situazione favorisce soprattutto i sauditi.




Per gli importatori di greggio è un bene che i mercati ufficiali siano a poche ore dalla pausa di fine settimana. Servirà infatti un momento di riflessione sulla situazione reale dell’Iraq, sulle ipotesi di intervento americano nell’area, sui probabili sviluppi in tutto il Medio Oriente e sui rischi, attuali e futuri, che incombono sulle forniture di petrolio e sull’andamento dei prezzi.
Le ultime giornate hanno visto consistenti acquisti sia sul Brent negoziato in Europa, sia sul Wti scambiato a New York. I prezzi all’Ice di Londra hanno toccato picchi di 115 dollari al barile, i più alti degli ultimi nove mesi, mentre il West Texas al Nymex si è avvicinato a 107 dollari, cifra mai sorpassata dopo l’inizio del settembre scorso. Guardando alle possibili conseguenze degli scontri in territorio iracheno, viene spontaneo ritenere che i mercati siano allarmati e abbiano ricevuto crescenti ordini d’acquisto, specialmente da Pechino, interessata a creare scorte strategiche di dimensioni sufficienti ad affrontare periodi di crisi (nelle aree di produzione petrolifera) senza bloccare la crescita economica cinese.
Ma quello degli operatori sembra un allarme in qualche modo riluttante: il rincaro è stato di 5-6 dollari in una decina di giorni, non poco, certamente, ma è bastato un commento generico del presidente Obama sul coinvolgimento americano nell’area per assistere a un arretramento delle quotazioni. Queste, è noto, anticipano i tempi, e ogni ribasso, oggi, finisce per indicare che l’opinione dei mercati punta verso una normalizzazione in Medio Oriente, con grandi tensioni, certo, ma con un probabile stallo nei rapporti di forza.
Il sollievo però fatica a farsi strada quando si guardi agli sviluppi sociali, politici ed economici dell’Iraq e dei paesi vicini. Il nodo che sta venendo al pettine in queste ore riguarda l’incauto e prematuro abbandono delle forze americane. Un errore, con il senno di oggi. Che richiama altri tragici sbagli delle precedenti Amministrazioni Usa, dalla conquista di Baghdad nel 2003 (ma con forze insufficienti a garantire il ritorno alla normalità nel paese) da parte di George W. Bush alla mancata conquista nel 1991 da parte di Bush senior, quando si “accontentò” di liberare il Kuwait. E si potrebbe andare ancora indietro nel tempo.
Un intervento americano adesso avrebbe difficoltà persino nel decidere le modalità e gli “amici”. Ovviamente sarebbero gli esponenti del governo in carica. Che tuttavia ha il “difetto” di essere espressione della maggioranza sciita, quindi vicina ai nemici iraniani. Contro Teheran e le sue velleità nucleari è ancora in atto uno scontro a colpi di sanzioni, benché queste siano state recentemente “ammorbidite”. Inoltre pare oggettivamente complicato muoversi senza far danni, quando si è al centro di uno scacchiere dinamico e variegato: c’è l’ovvio coinvolgimento nella crisi siriana, finora trascurata per non inasprire i rapporti politici con Mosca e Pechino; c’è la questione curda, con i peshmerga che stanno difendendo i loro pozzi, ma non lo fanno certamente per favorire Baghdad; c’è la Turchia che guarda ai suoi confini di sud-est; ci sono il regno saudita e gli emirati che temono un asse sciita capace, se organizzato, di dominare anche nelle aree dove la “tranquillità” era garantita da regimi spietati, ma di connotazioni laiche. Quei regimi che Washington ha combattuto, come Saddam Hussein, oppure ha abbandonato al loro destino, come Hosni Mubarak.
In buona sostanza, lasciarsi tranquillizzare oggi, in vista di un nuovo intervento americano, sembra un atteggiamento troppo ottimistico. L’intervento è forse doveroso, ma sui risultati sembra opportuno dubitare. Ammesso che le premesse siano a grandi linee quelle fin qui esposte, occorre guardare ancora con grande attenzione agli effetti sui mercati del greggio. Già da un paio di mesi, prima che la situazione irachena esplodesse, sia le stime dell’Agenzia internazionale dell’Energia, che rappresenta gli interessi dei paesi industrializzati, sia le valutazioni dell’Opec, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, mostravano che lo scenario si stava modificando: la domanda di greggio prodotto dal cartello è destinata a salire, proprio mentre diverse zone di estrazione sono in difficoltà.
Iraq a parte, l’offerta risente della mancanza quasi assoluta di merce proveniente dalla Libia e vede calare anche la disponibilità di greggio nigeriano e iraniano. Il successo delle operazioni statunitensi di fracking, la fratturazione idraulica degli scisti rocciosi, ha in parte attenuato, a livello globale, le carenze verificate altrove. Ed ha anche fatto pensare a Washington che l’interesse americano verso il Medio Oriente avrebbe potuto progressivamente attenuarsi, fatti salvi i principi incrollabili della difesa di Israele e della lotta contro Al Qaeda.
Non è proprio così. Intanto, l’Iraq, con 3,3 milioni di barili al giorno estratti il mese scorso, è il secondo produttore Opec dopo l’Arabia saudita e ha il 9% delle riserve mondiali di greggio. Un patrimonio di risorse che non può essere lasciato in balìa di una guerra civile, come sta già accadendo alla Libia e alla Siria. Troppo semplicistico però l’invito del ministro iracheno del petrolio, Abdul Kareem al-Luaibi, che vorrebbe fossero bombardati i territori settentrionali, dove si sta muovendo Al Qaeda.
Sarebbe eccessivo anche confidare sulla produzione saudita, che ha una disponibilità produttiva supplementare poco superiore a 2,5 milioni di barili al giorno, insufficiente a colmare l’eventuale carenza combinata di Libia e Iraq. Quindi a frenare i rincari oggi sono soprattutto una certa apatia dei trasformatori e la consapevolezza che, almeno per il momento, i pozzi nel nord del paese sono in mano curda (ma gli oleodotti sono a rischio) e quelli nel sud intorno a Basrah (Bassora) sono ancora controllati dal Governo centrale. Chi per il momento può fregarsi le mani è Ali al-Naimi, il potente ministro saudita del Petrolio, ben lieto di garantire al proprio paese esportazioni sempre più forti e sempre più remunerative.
 
eppure a me sto grafico dice di shortare:

V7aOnBYW
 
WHEAT (Grano/Frumento) – Chiusura - 16/06/2014 – sempre SHORT


Il WHEAT – X4-TS – è sempre SHORT sul contratto ZWN14 – Jul ’14 , Flat & Reverse leggibili sul grafico

 
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