La volontà di pesantezza dei primi due è evidente. Il nero è certo colore drammatico (non si dica che non è un colore: balle). Ora, l'artista può esprimersi intervenendo sulla realtà oppure facendosene dominare. In questo secondo caso siamo ad un livello "più indietro". Il monocromo, poi, esalta le forze dell'oggetto, del colore esterno e materiale, ma a prezzo di un grande passo indietro del soggetto (il pittore), soprattutto quando le forze espresse siano quelle elementari, e non elaborate, del mezzo.
Sono tutti figli illegittimi di Kline
che però, quantomeno, cercava di valorizzare anche lo sfondo bianco come colore.
Breve, ogni imbianchino sa ormai che se si schiarisce il colore di una parete man mano che ci si avvicina al soffitto avremo un effetto di leggerezza, o che se il colore delle pareti è scuro avremo un effetto di cupezza. Mirò sfugge alla materialità dei due precedenti proprio perché modula, disegna, alleggerisce ciò che di per sé è pesante: interviene. Un po' come l'attore che non si appoggia sulla parola più drammatica, assecondando le aspettative più logiche, ma, viceversa, si astiene dal sottolineare quanto è già di per sé evidente.
Pesantezza, dunque, di Soulages e Kounellis e, come logica conseguenza, prevedibilità, noia, risultati scontati e non elaborati. A.M.I.O. (a mia immodesta opinione).
Poi, uno può anche notare che se nei due i segni tendono quasi sempre al rettangolare, in Mirò abbiamo una varietà di forme molto vasta, con angoli, figure circolari, stelle. Una ricerca di armonia vs un atteggiamento sostanzialmente violento.
Arte per masochisti?
Sì.