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A Venezia, Boetti inedito: “Così ho scoperto che mio padre fotocopiava il mondo”
Agata Boetti, figlia del grande artista concettuale, presenta alla fondazione Cini, un aspetto del lavoro di suo padre non ancora noto: «Alla fine della sua vita avrà composto 15 libri, ciascuno con 111 fotocopie per 1665 fogli».
L’emozione di Agata Boetti sta tutta nella scoperta. Cura l’archivio di suo padre Alighiero da 23 anni, eppure del grandissimo artista concettuale nato a Torino nel 1940 e scomparso a Roma nel 1994, qualcosa ancora le sfuggiva. Ora ha trovato l’inedito persino per lei, così è tornata a una comprensione che credeva esaurita. «È successo per caso - rivela Agata - recuperando certe regole del gioco che appaiono e scompaiono tra ordine e disordine. Si lavorava a questa grande mostra che non mi piace definire retrospettiva e ho capito». Inaugurata martedì 9 maggio presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, all’interno della Biennale Arte: «Alighiero Boetti: Minimum/Maximum», opere che per tipologia vanno dalla più piccola alla più grande, «un percorso creato per apprezzare le regole del gioco e il lavoro stesso di Boetti. E poi ecco un progetto speciale curato da me e da uno dei curatori più cool di questo momento storico: Hans Ulrich Obrist. Ho voglia che la gente scopra qualcosa d’inaspettato in questo artista. Per esempio quanto fosse moderno e come avesse intuito con decenni d’anticipo la forza evocativa dei social. Boetti e le fotocopie, in due periodi, dal 1969 al 1971 e poi gli ultimi anni della sua vita». Racconta Michele Casamonti, titolare della TornabuoniArte, che ha fortemente voluto la mostra: «Per la prima volta il focus è sulle fotocopie con i ritratti e gli autoritratti più i dossier postali. Boetti inventa la fotocopiatrice e tenta di fotocopiare l’universo, compresi la pioggia e i pulcini. Alla fine della sua vita avrà composto 15 libri, ciascuno con 111 fotocopie per 1665 fogli».
«Fino alla sua morte - ricorda ancora Agata - fu un febbrile lavoro di rilegatura, fotocopie rappresentative di tutto il suo mondo, poi divenute libri. Fotocopiava tutto quello che gli interessava senza gerarchie, il biglietto del cinema, un’opera di Ontani, un mio disegno infantile. Tanti ritagli di giornale e riviste. I 15 libri ora sono anche una installazione che ha anticipato i social e Internet, un Google boettiano, il tutto Boetti, miscuglio di immagini, vita privata, vita pubblica come accade su Facebook e Instagram. Qualcosa di tutto questo sarà stato visto ma certamente mai è stato spiegato, il suo volto fotocopiato con le lettere dell’alfabeto muto impresse ci aiutano a entrare nella sua testa». Così, per tuffarcisi completamente interverrà l’artista messicano Mario García Torres con un omaggio a Boetti, una performance che coinvolgerà il pubblico: saranno messi a disposizione dei primi 11.111 visitatori, altrettanti fogli rossi sui quali il pubblico potrà fotocopiare quello che desidera e per la prima volta sarà appunto nel colore rosso, ossessione di Boetti e non in bianco e nero. Chi lo vorrà potrà inserire questa fotocopia nel catalogo fotocopie che prevede un posto dedicato. «Mio padre era molto attratto dall’informazione cartacea, teneva tutto, molti saggi politici e scritti sull’Afghanistan, le stoffe prese al mercato di Kabul, le sue amate classificazioni, di aerei, fiumi, montagne, il lavoro di Sol LeWitt. Il fil rouge era la bellezza e l’interesse, in totale libertà di pensiero». Una parte rilevante hanno i dossier postali: «Attraverso questi creava un network - spiega Casamonti - una busta con un indirizzo inesistente tornava indietro non prima di aver viaggiato. L’insieme di queste buste è al Moma. Boetti ha fotografato il viaggio e ha creato un dossier che è esposto in mostra alla Fondazione Cini, (curata con Luca Massimo Barbero). Nessuno come lui ha avuto l’intuizione dei social media e dell’arte come immensamente riproducibile, usare la fotocopiatrice era per lui come usare un pennello. Questa è una prima azione di marketing in comunicazione che sia mai esistita».
Una mostra costata due anni di lavoro e per Agata anche molto di più, in termini sentimentali. Le manca non potergli dire che cosa? «Non poter ridere con lui del timbro postale del Liechtenstein con un’opera di Boetti e dell’arte povera...In un paese di ricchi... Mio padre ne sarebbe estasiato». E poi riflette: «Quando sono stanca e giù di morale sfoglio questi 15 libri che in un primo approccio mi trasmettevano allegria. Il matrimonio di Lady Diana ha un grande spazio e poi Clinton e le pubblicità delle sigarette con un fax della mia prima ecografia. Libri giocosi, così li avevo classificati. Ora capisco che in realtà sono estremamente tristi, immagini di guerra e di violenza con iconografie della sue opere regalano alla somma una voglia di testamento. Aveva deciso di realizzare i libri in cento esemplari, poi si è ammalato ed è morto rapidamente. Un atto finale, un bilancio, un tutto me. Ringrazio questa mostra per aver scoperto cose e opere di cui non conoscevo l’esistenza. E la ringrazio anche perché mio padre adorava andare a Venezia e andarci con mia madre, scomparsa da poco. Ora in Fondazione Cini ci sarà il ritratto di mia madre in xerox, le lettere d’amore fotocopiate che testimoniano la simbiosi eccellente tra due persone. Ecco che a Venezia ce li portiamo in coppia».