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BANCHE
Il Monte dei Paschi di Siena
tra due fuochi
La Bce avrebbe ricevuto varie ipotesi ma non ancora un piano definitivo per Siena. Un mosaico contraddittorio di regole e organismi in Europa rischia di portare l’istituto
senese in un labirinto
di Federico Fubini
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Il dilemma del prigioniero è una situazione del tipo di quella in cui rischia di trovarsi il Monte dei Paschi nei prossimi giorni. Dimostra soprattutto un punto: l’estrema difficoltà di soggetti razionali nel mettersi d’accordo per cooperare, ed evitare così guai peggiori per tutti, anche se sarebbe nell’interesse di ciascuno farlo. Malgrado tutti gli errori commessi in Italia sulla banca di Siena, la sua vicenda sta rivelando ogni giorno le incongruenze di un insieme di regole e istituzioni europee nelle quali orientarsi è diventato quasi impossibile.
Nel caso di Montepaschi i protagonisti sono gli investitori privati, le autorità italiane, l’Autorità bancaria europea (Eba), la Commissione Ue e un consiglio di vigilanza della Banca centrale europea al quale sarebbero pervenute varie ipotesi — ma non ancora un piano definitivo — per risanare la banca. Proprio Francoforte ha imposto a Siena un’accelerazione improvvisa nel liberarsi di crediti inesigibili per un controvalore teorico di 27 miliardi, eppure il progetto comporta una preparazione necessariamente lunga e complessa. I tempi dei regolatori rischiano di essere incompatibili con quelli consentiti dal mercato, ma sono tali che ogni ora a questo punto è importante.
Già venerdì prossimo l’Eba pubblicherà i risultati degli stress test, le «prove di sforzo» sulla banche più grandi e verranno a galla le fragilità di Montepaschi nell’ipotesi di una nuova recessione; subito dopo il mercato pretenderà chiarezza immediata su come la banca potrà essere rafforzata. Eppure un aumento di capitale di Mps aperto a tutto il mercato, ma con una garanzia pubblica in caso di scarso interesse, rischia di rivelarsi impraticabile: visto il modo attuale di applicare le regole da parte della Commissione europea, proprio la rete di sicurezza dello Stato tiene a distanza gli investitori privati, perché questi ultimi sono preoccupati dalle conseguenze punitive di un eventuale intervento pubblico.
Così un mosaico imperfetto e contraddittorio di regole e organismi in Europa rischia di portare Monte dei Paschi in un labirinto, invece di facilitare una soluzione adeguata. Nel dilemma del prigioniero descritto in teoria dei giochi, il quadro è molto simile: due sospetti, interrogati separatamente dalla polizia, sanno che subiranno solo una lieve condanna se nessuno dei due confessa; ma ciascuno dei due sarà libero se accusa l’altro e quest’ultimo a sua volta non parla confidando che anche il primo resti in silenzio. In questo caso il secondo avrà una condanna pesante. Se invece i due si accusano a vicenda, finirà nel peggiore dei modi per tutti.
Montepaschi stretto fra le pretese della Commissione Ue, la pressione dell’Eba e le richieste di capitale della Bce rischia di trovarsi in una situazione che ricorda quel dilemma. Lo si è capito giorni fa quando Matteo Renzi ha convocato a Palazzo Chigi l’amministratore delegato di Generali, Philippe Donnet, per uno scambio su Mps. Il premier chiede alla compagnia assicurativa (e ad altri gruppi) un nuovo contributo per ricapitalizzare il fondo Atlante e metterlo in condizioni di contribuire ancora di più a una soluzione per la banca senese. Di certo Renzi, ormai coinvolto direttamente nella gestione quotidiana del caso, ha deciso di fare tutto il possibile per evitare qualunque salvataggio pubblico. Intende farne a meno a qualunque costo proprio perché porterebbe il mercato, la banca e il governo in un vicolo cieco.
Una ricapitalizzazione di Mps lanciata con la rete di sicurezza di un intervento del governo nel caso in cui mancassero gli investitori privati, rende infatti probabile che gli investitori privati finiscano davvero per mancare. Il motivo è sempre lo stesso: la Commissione Ue impone che, in caso di aiuto di Stato per Siena, subiscano perdite degli obbligazionisti esposti per almeno due miliardi di euro; poco importa se ciò può innescare crolli delle quotazioni in tutto il settore bancario. Non si tratta di un’ipotesi astratta perché di recente BlackRock, il più grande gestore finanziario al mondo e il primo investitore della Borsa italiana, ha fatto capire in privato che valuterebbe molto negativamente per il Paese le conseguenze di un taglio al valore dei bond di Mps. Così proprio la richiesta di Bruxelles di colpire chi detiene le obbligazioni crea un problema insolubile: nessun privato vorrà comprare parte delle azioni dell’aumento di Montepaschi, perché teme di essere poi coinvolto in una tempesta se gli altri investitori del mercato non lo seguissero: lo Stato dovrebbe infatti intervenire innescando il colpo di falce sui bond. Senza capirlo, la Commissione Ue ha creato un deterrente all’intervento nella banca dei nuovi protagonisti privati che sostiene di volere.
A Renzi non resta che andare avanti sul percorso già avviato. Il progetto per togliere 27 miliardi di crediti inesigibili è ormai precisato: una parte «junior» (cioè più rischiosa e di cattiva qualità) viene abbattuta a valore zero e tenuta sui bilanci della banca in attesa di eventuali plusvalenze; una parte «mezzanina» (rischio e qualità intermedi) viene ceduta al fondo Atlante, privato ma voluto dal governo; la parte «senior» (la migliore) verrà prelevata da Mps grazie al sostegno di JpMorgan, impacchettata e venduta con garanzie pubbliche a condizioni di mercato.
Resta il dettaglio più rilevante: un piano per un aumento di capitale adeguato, da presentare alla Bce in pochi giorni. Ma su questa cifra essenziale fra Siena e Francoforte, palesemente, non c’è ancora accordo.Corriere della Sera