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Che fine ha fatto il salvataggio di MPS, Veneto banca e Popolare di Vicenza? Sulle banche è calato un silenzio assordante
di Marta Panicucci @martapanicucci
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Banca Mps reuters
Nella testa di molti risparmiatori italiani forse sta ronzando una domanda che, giorno dopo giorno si fa più pressante e non trova risposta alcuna: ma che fine hanno fatto i salvataggi di banca MPS, Popolare di Vicenza e Veneto banca?

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Sono mesi che la politica (italiana e europea) annuncia che il salvataggio da parte dello Stato è ormai dietro l’angolo e sono mesi che i giornali fanno titoloni sull’ok al salvataggio in arrivo. Ma la realtà è che a quattro mesi dall’approvazione dello scudo da 20 miliardi per il salvataggio di MPS, che aveva fallito l’aumento di capitale sul mercato, ancora tutto tace.

Ma mettere in sicurezza il sistema bancario italiano non era la priorità del Governo e delle istituzioni europee? Qualcosa, evidentemente, ci sfugge. A fine 2016 sembrava che cadesse il mondo da un momento all’altro senza un paracadute che mettesse in sicurezza il fragile sistema bancario italiano. Arrivata la soluzione, ovvero la ricapitalizzazione precauzionale con l’intervento dello Stato, il comparto bancario è stato avvolto da una silenzo assordante. Come se l’aver individuato la cura, fosse sufficiente a guarire il malato.

I risparmiatori però vorrebbero sapere come e quanto saranno coinvolti nelle perdite per il salvataggio e i dipendenti temono la conferma delle drammatiche cifre che stanno circolando sugli esuberi e sui tagli dei costi per mettere in sicurezza i conti delle banche salvate. E questo stallo clamoroso non è passato inosservato nemmeno per l’agenzia internazionale di rating Fitch che ha declassato l’Italia da BBB+ a BBB. Tra i motivi del declassamento la “persistente debolezza delle banche” che riprende il recente giudizio del Fondo Monetario Internazionale che ha spronato il Paese a “risolvere al più presto” il problema del settore bancario.

MPS: fu vera emergenza?

La ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato è dietro l’angolo. Ormai da qualche mese. Le ultime vicessitudini di MPS sono note: nel 2016 ha tentato di onorare le richieste della BCE con un piano in due fasi – cessione dei crediti deteriorati e ricapitalizzazione da 5 miliardi - fallito nel mese di dicembre. La BCE, vista l’urgenza e la gravità della situazione, aveva fissato come termine ultimo e inderogabile per il salvataggio di MPS il 31 dicembre 2016. Fallito l’aumento di capitale sul mercato, il Governo tra un panettone e l’altro in fretta e furia ha dovuto approvare uno scudo di 20 miliardi di euro per ricapitalizzare la banca ed evitare che la BCE la mettesse in risoluzione per Capodanno.

Tutta questa urgenza, poi, all’improvviso, è scomparsa. A quattro mesi dalla richiesta di ricapitalizzazione precauzionale manca ancora il via libera di Commissione europea e BCE che intanto ha alzato l’asticella del fabbisogno a 8,8 miliardi. Secondo le ultime notizie il piano dovrebbe partire a metà maggio quando MPS si libererà in un colpo solo di 28 miliardi di sofferenze per spianare la strada a giugno all’ingresso dello Stato. Restano da sciogliere due nodi delicati: il coinvolgimento dei risparmiatori e gli esuberi.

Salvandosi tramite ricapitalizzazione precauzionale, MPS scampa il rischio bail-in, ma dovrà comunque attivare il Burden sharing. La regole europee prevedono che in caso di salvataggio bancario con soldi dei contribuenti parte delle perdite debba andare a carico di obbligazionisti subordinati: con il Burden sharing infatti le obbligazioni subordinate saranno convertite forzatamente in azioni.

Non solo. Le autorità internzionali hanno anche chiesto una dura cura dimagrante per MPS. Ancora incerto il numero degli esuberi, ma si parla di circa 5mila persone da mandare a casa. Sul punto sarà importante capire se i lavoratori della banca senese avranno accesso ai prepensionamenti finanziati dallo Stato oppure no, ma comunque il sindacato si è già detto pronto a “scatenare l’inferno”.

Questa vicenda rivela chiaramente che l’Europa è ancora ben lontana dal saper affrontare in modo efficiente i problemi del comparto bancario. L’unione bancaria e la supervisione fanno acqua da tutte le parti anche a causa delle implicazioni politiche, nazionali ed europee, legate ad un salvataggio bancario. Mettere d’accordo esigenze e necessità di un Governo nazionale, di una banca bollita, le richiesta dei sindacati, di un organo tecnico come la BCE e un’istituzione politica come la Commissione europea sembra ad oggi utopia. Soprattutto se bisogna farlo in tempi brevi.

LEGGI ANCHE: MPS: tutto tace da Bruxelles e Francoforte sul salvataggio. Fu vera emergenza?

Veneto banca e la Popolare di Vicenza

Altro discorsi, ma stessa sostanza per la banca Popolare di Vicenza e Veneto banca, i due istituti del nordest sull’orlo del fallimento. Con il naufragio delle due operazioni di aumento di capitale e quotazione in Borsa tentate disperatamente la scorsa primavera, la ricetta per il salvataggio delle due banche è una sola: salvataggio pubblico, dieta drastica e fusione. Solo la ricapitalizzazione precauzionale con soldi pubblici eviterà la risoluzione e il bail-in per azionisti, obbligazionisti e correntisti con più di 100mila euro in deposito, ma non può non passare, anche in questo caso, attraverso la condivisione delle perdite.

Ma Veneto banca e la Popolare di Vicenza sono un passo dietro MPS. Nel senso che i due istituti non hanno ancora ricevuto l’ok alla ricapitalizzazione precauzionale da parte di Bruxelles. Per MPS è ormai scontata la ricapitalizzazione precauzionale, ma ancora non si sa come e quando, mentre per le due banche del nordest il salvataggio pubblico non è ancora confermato al 100%. Intanto anche qui, la BCE alza il tiro: l'aumento di capitale non sarà di 5 miliardi, ma di 6,4 miliardi.

Nelle scorse settimane la BCE ha fatto un passo avanti confermando la solvibilità delle banche: per rispettare le regole UE della direttiva BRRD sui salvataggi pubblici infatti, i soldi dei contribuenti devono andare a istituti che rispettano i coefficienti minimi di capitale per operare, e non possono essere utilizzati per ripianare perdite già subite o prevedibili. Secondo le indiscrezioni che arrivano da Bruxelles però, tra i cosiddetti falchi europei ci sarebbe qualcuno sensibile all’ipotesi far fallire gli istituti per dare una sorta di lezione all’Italia e agli altri Paesi europei sulla gestione dei problemi del comparto bancario. Ma alla fine prevarrà la posizione più conciliante e la commissione confermerà il salvataggio pubblico.

Ma quando? Non è dato saperlo. Intanto come per MPS sale la tensione tra i clienti che saranno coinvolti con il Burden sharing e tra i dipendenti. Anche in questo caso le cifre degli esuberi sono ballerine, ma si parla di numeri tra i 2mila e i 3mila licenziamenti per l’inevitabile sovrapposizione di filiali data dalla fusione di due banche presenti sullo stesso territorio.

I negoziati tra Governo, banche, BCE e commissione europea proseguono, ma i continui ritardi e rinvii alimentano un clima di incertezza che non fa bene a nessuno, né agli istituti, sempre al centro del ciclone, né a clienti e dipendenti che vogliono risposte sul loro destino. Se queste sono le modalità con cui l’Unione bancaria europea intende affrontare i problemi urgenti degli istituti di credito, teniamoci forte per le prossime turbolenze
 

Onoff

Forumer attivo
B.Mps: ultimi ritocchi al piano (MF)


MILANO (MF-DJ)--Per il salvataggio di Banca Mps potrebbe essere ormai questione di qualche settimana. Il via libera dell'Europa al piano dell'istituto senese e alla ricapitalizzazione precauzionale da 8,8 miliardi è atteso in tempi brevi. Oggi intanto il consiglio di amministrazione si riunirà a Siena per approvare la trimestrale e, congiuntamente, la versione aggiornata della strategia condivisa nelle scorse settimane con DgComp e Bce. Trovato l'accordo sul capitale, sembra che i due nodi ancora sul tavolo siano rappresentati dalla dismissione dei non performing loan e dagli esuberi.

Sul primo punto, scrive MF, la banca è obbligata a deconsolidare l'intero portafoglio (circa 28,7 miliardi lordi) in un'unica soluzione. Solo così infatti sarebbero sterilizzati gli effetti sui modelli interni, come già previsto nel tentativo di salvataggio privato non andato in porto alla fine dello scorso anno. La modalità tecnica però non è ancora stata definita. L'ipotesi più accreditata prevede una riedizione della cartolarizzazione organizzata lo scorso anno dagli advisor Mediobanca e Lazard. Come in quel caso, sulla tranche senior (quella più sicura) potrebbe essere applicata la garanzia pubblica, mentre Atlante 2 dovrebbe intervenire parzialmente sulla mezzanina o sulla junior insieme ad altri investitori internazionali. Una cessione in blocco è meno probabile perché il fire sale potrebbe deprimere notevolmente il prezzo rispetto alle aspettative della banca che punta a incassare attorno al 25% del nominale.

(END) Dow Jones Newswires
 

Vet

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Gia' e' un " po' strano" ...... che dalla fretta di dicembre da parte della Bce .... si sia passato al dimenticatoio oramai arrivati a maggio...... a malpensare forse hanno in mano in europa qualcosa di assai piu pesante..... che ora conviene lasciare nel silenzio insieme alle italiche mps e veneto
 

stefanofabb

GAIN/Welcome
Gia' e' un " po' strano" ...... che dalla fretta di dicembre da parte della Bce .... si sia passato al dimenticatoio oramai arrivati a maggio...... a malpensare forse hanno in mano in europa qualcosa di assai piu pesante..... che ora conviene lasciare nel silenzio insieme alle italiche mps e veneto
A mio modo di vedere è l'obiettivo loro Vet..cioè di arrivare al risultato prefissato (ed ora visti i fondamentali dell' ultimo bilancio negativo),anche la pianificazione delle prossime mosse a bocce ferme.Innanzi tutto sedare la tensione che si era creata!!..poi via via anche una sorta di "non abitudine"nel senso di zittire il più possibile il retail e dare notizie molto vaghe.Infine il tempo prezioso che gioca a favore degli istituti di credito ;non hanno nessuna fretta.Secondo il mio punto di vista ,se andrà tutto bene,riammetteranno ad inizio 2018,buona sera
 

Fabrib

Forumer storico
"La Stampa"

ALESSANDRO BARBERA GIANLUCA PAOLUCCI

«È stato un caso», assicura il sottosegretario all’Economia con delega alle banche, Pier Paolo Baretta. Sta di fatto che la modifica dei parametri dell’Ace (sigla che sta per Aiuto alla crescita economica) previsto dalla manovrina rischia di rivelarsi un boomerang, una brutta figura, un maggiore onere per le casse dello Stato e un regalo per le banche in crisi. Tutto in un colpo solo.

Per Monte dei Paschi, l’unica che finora ha spiegato con piena chiarezza gli effetti della nuova norma nel comunicato dell’ultima trimestrale, vale 891 milioni di euro sottoforma di minori tasse nel prossimo trimestre, con conseguente miglioramento dell’utile e del patrimonio netto. Effetti analoghi si avranno anche per le due venete, le prossime in lista d’attesa per ricevere gli aiuti di Stato. Di fatto, un pezzo dell’aumento di capitale arriverà con questa misura.

Il decreto, che deve essere ancora convertito in legge e potrebbe dunque essere modificato, dispiegherà i suoi effetti a partire dal prossimo trimestre e a quel punto sarà più chiaro anche l’onere per lo Stato. Dice Baretta: «L’effetto fiscale prodotto dalla rimodulazione della base imponibile della cosiddetta “Ace” non è stato voluto. Durante la discussione la nostra attenzione si è concentrata su come reperire il gettito necessario a finanziare la manovra. Se poi il caso ha voluto che ciò possa essere d’aiuto ad un istituto in difficoltà come Mps, ben venga».

Il problema è che la norma avrebbe dovuto portare un risparmio per le casse dello Stato - la stima del Mef era di 311 milioni quest’anno e di 600 milioni negli anni successivi - e che invece potrebbe rivelarsi un maggiore onere almeno per quest’anno.

Tutto ruota attorno agli incentivi dell’Ace. Introdotti nel 2012, dovrebbero premiare gli imprenditori che investono nell’impresa, concedendo uno sgravio fiscale sugli apporti di capitale effettuati. La norma originaria prevedeva che il beneficio poteva essere cumulato negli anni a partire dal 2011. L’articolo 7 del decreto 50 (la cosiddetta «manovrina») lo limita agli ultimi cinque esercizi e riduce l’aliquota dello sgravio. L’effetto è quello di aumentare la base imponibile e dunque le tasse per le imprese. Per questo Confindustria ha pesantemente criticato le decisione. «Quello che doveva essere un pilastro del nostro sistema tributario, l’Aiuto alla crescita economica (Ace) viene ulteriormente depotenziato e, di fatto, snaturato», ha detto lo scorso martedì il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, in audizione a Montecitorio. «Mi preme osservare che - ha proseguito - complessivamente, l’azione comporterà un incremento neppure troppo velato della pressione fiscale su almeno un quarto delle imprese operanti nel Paese, quando, sul piano internazionale, i governi sono notoriamente impegnati in politiche di segno opposto».

Lo scenario delineato da Confindustria non vale però per tutti. Per quelle banche che hanno avuto consistenti aumenti di capitale e forti perdite negli ultimi esercizi l’effetto è infatti radicalmente diverso e si traduce in un beneficio immediato, che tenderà a neutralizzarsi negli esercizi successivi. Alcuni istituti hanno infatti accumulato fuori bilancio ingenti crediti fiscali (Dta), effetto delle pesanti perdite subite negli anni. Sono fuori bilancio perché la normativa impone di non contabilizzarli se non sulla base degli utili attesi, sulla base di un test periodico di recuperabilità. Ma la modifica dell’Ace, aumentando la base imponibile, aumenta anche la recuperabilità di queste poste. Spiega un analista: «Di fatto, anticipo adesso quello che avrei dovuto aspettare anni per portare in bilancio». Mps ad esempio ha 1,15 miliardi di Dta fuori bilancio e nel piano di novembre prevedeva di smaltirle al ritmo di 100/150 milioni all’anno. Con il nuovo Ace - sempre che non venga modificato in sede di conversione del decreto -, l’effetto positivo sul patrimonio netto è di 891 milioni di euro.

Ma in attesa di conoscere i numeri puntuali è facile prevedere benefici analoghi anche per la Popolare di Vicenza, che ha 531 milioni di Dta fuori bilancio a fine 2016. E per Veneto Banca, che pure ha Dta fuori bilancio per «appena» 181 milioni di euro. Per tutte e tre, un bell’aiutino al ripristino dei parametri patrimoniali.

Per Unicredit, che ha avuto rilevanti perdite nel 2016 e dunque rilevanti Dta teoriche, l’effetto non si produce in questo esercizio malgrado l’aumento da 13 miliardi, ma potrebbe verificarsi in futuro. «Le Dta bancarie - dice Alvise Aguti di Finanza trasparente - potrebbero essere un tesoretto ed un volano economico. Ad esempio un deposito a tempo con interessi pagati in crediti d’imposta trasferiti dalle banche ai privati».
 

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