Obbligazioni MPS

Roma, “Non vi sono le condizioni per mettere in discussione la dismissione della partecipazione” dello Stato in Mps. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, è categorico nel motivare davanti alle Commissioni Finanze di Camera e Senato, l’urgenza da parte del Tesoro di raggiungere un accordo con Unicredit sulla cessione del Monte dei Paschi.
 
Il Tesoro sta lavorando per vendere Monte dei Paschi a UniCredit (MI:CRDI) a condizioni che evitino agli obbligazionisti della banca toscana di condividere eventuali perdite, hanno riferito due fonti coinvolte nella trattativa. UniCredit ha annunciato il 29 luglio di aver firmato un accordo con il Tesoro che stabilisce le linee guida per una potenziale acquisizione di Mps (MI:BMPS), di cui il governo possiede il 64% dopo il salvataggio pubblico da 5,4 miliardi di euro nel 2017.
 
Il ministro di un governo a guida Pd salva Mps dal dissesto facendo entrare lo Stato nell’azionariato e si fa eleggere in parlamento nelle file del Pd nel collegio di Siena. Poi diventa presidente di UniCredit e lascia il seggio vacante, per il quale si candida l’attuale segretario dello stesso partito, Enrico Letta. Non dovrebbe meravigliare che l’avvio di una trattativa per l’acquisto di Mps da parte di UniCredit abbia riacceso le polemiche sui legami storici tra la sinistra, la banca, e le strutture politiche e sociali locali. Una storia ben nota e raccontata molte volte. Basterebbe questo per auspicare una rapida cessione e l’uscita definitiva dello Stato.
Invece sono cominciate le litanie affinché si mantenga in vita la banca col suo il marchio Mps e il radicamento territoriale, si evitino lo spezzatino (anche se non si sa bene che cosa voglia dire), gli esuberi, il salvataggio coi soldi dei contribuenti, e via discorrendo. Toni tragici per una realtà che assomiglia ai titoli di coda di una pochade.
Il Tesoro deve vendere Mps non perché lo imponga l’accordo con la Commissione stipulato al momento della ricapitalizzazione “precauzionale” con cui salvò la banca nel 2016, ma perché Mps non è sufficientemente patrimonializzata (senza la garanzia del continuo sostegno pubblico) e redditizia per assicurare la continuità aziendale.
Non c’è molto da discutere. O lo Stato fa un ultimo esborso di capitali a favore di Mps strumentale alla sua cessione, e mette la parola fine a questo salasso; oppure dovrà comunque fare un esborso (si prevede un aumento da 2,5 miliardi nel caso non venga ceduta) per continuare a operare stand alone, ma che difficilmente sarà l’ultimo perché Mps è sottodimensionata, inefficiente e poco redditizia per rimanere indipendente. Un altro buco nero come Alitalia. Senza cessione o un'ulteriore ricapitalizzazione pubblica c’è la risoluzione, che dimostra quanto il salvataggio del 2016 sia servito soltanto a rinviare il problema.
Si ripete che all’origine delle disgrazie di Mps ci sia l’acquisizione di Antonveneta nel 2007. Vero solo in parte. Se si paga troppo per una buona società, si sopporta solo un costo una tantum quando si svaluta l’acquisto, ma poi si incassano gli utili che la società produce nel tempo.
Acquistando Antonveneta invece, Mps non solo ha pagato troppo, ma si è accollata una montagna di prestiti clientelari che hanno generato soltanto sofferenze, e che si è andata ad aggiungere alla propria gestione clientelare del credito.
Con Antonveneta i prestiti sono così aumentati da 92 miliardi nel 2006 ai 135 del 2008, proprio alla vigilia della grande crisi e poco prima quella del debito pubblico del 2011 che, oltre all’impatto della recessione sulle sofferenze, hanno fatto anche emergere tutte le porcherie in bilancio di Mps. Ora del 2016 i crediti deteriorati al lordo degli accantonamenti fatti (ma del tutto insufficienti), erano arrivati al 30 per cento del totale dell’attivo e a oltre la metà dei prestiti. La banca era fallita.
Per evitare che Mps andasse in risoluzione, il governo ottenne dalla Commissione il permesso di salvare la banca con una ricapitalizzazione, tramite la quale lo Stato saliva al 60 per cento, a condizione di privatizzarla entro il 2021, una volta risanata. Ma a tutt’oggi la banca non è stata risanata perché lo Stato è un azionista che è condizionato dalla ricerca del consenso intrinseca alla politica, e perché il buco vero era molto più grande.
Nel primo semestre di quest’anno Mps dichiara un utile da 200 milioni, e calcola che, sulla base del risultato finale, l’ammanco di capitale a giugno 2022 sarebbe di “appena” 500 milioni. Risanata? Non proprio a ben vedere. L’ammanco di 2,5 miliardi è coerente con i risultati degli stress test in cui il patrimonio della banca viene azzerato nello scenario avverso.
La struttura di Mps rimane eccessivamente costosa: i costi amministrativi e del personale rappresentano il 74 per cento del margine di intermediazione (al netto dei profitti da trading che sono volatili) rispetto al 54 medio stimato nel 2021 per Intesa e Unicredit. Anche dopo l’accordo con l’ex socio Fondazione, rimangono circa 6 miliardi di rischi legali, molti classificati come probabili.
Nonostante la cessione di 7 miliardi di crediti deteriorati alla Amco, pure questa dello Stato, ne rimangono altri 4 in bilancio a prezzi (36 e 64 centesimi rispettivamente per sofferenze e inadempienze probabili) che sono superiori a quelli presumibili di cessione, senza contare le possibili ricadute dalla crisi da Covid. E l’utile da 200 milioni per 179 è dovuto a profitti da trading, intrinsecamente instabili, 59 di imposte negative (crediti di imposta), e una poco convincente riduzione degli accantonamenti.
Ma, soprattutto, Mps ha soddisfatto i requisiti patrimoniali non tanto risanando la gestione e accumulando utili nel tempo, ma prevalentemente con operazioni per ridurre il rischio degli attivi, a scapito della sua redditività, e quindi sostenibilità.
Così a fronte di 145 miliardi di attivi, quelli pesati per il rischio sono appena 49; i prestiti alla clientela sono 81 (molti mutui che assorbono poco capitale, ma che rendono meno), mentre tutto il resto sono depositi presso la Bce e titoli di stato il cui margine per la banca è pressoché nullo.
La cessione è pertanto una strada obbligata e UniCredit è l’unica banca italiana (che in quanto tale ha un interesse relazionale col Tesoro) grande a sufficienza per poter beneficiare della dote dei 2,6 miliardi di crediti di imposta e, ai prezzi correnti, dei circa 5 di badwill (profitto contabile pari alla differenza tra prezzo pagato e patrimonio netto). Dover vendere a un unico compratore non è la migliore posizione negoziale per il governo, ma la responsabilità è dei suoi predecessori.
O il Tesoro vende l’intera banca Mps a UniCredit, pagando una dote e tenendosi rischi legali, esuberi e sofferenze residue; oppure le cede un ramo di azienda composto da sportelli, crediti, depositi e masse in gestione e si tiene quel che resta di Mps, molto rimpicciolito, oltre a sofferenze e rischi legali. Se questa seconda alternativa fosse “lo spezzatino”, sono anche io per il no: resterebbero, amplificati, tutti i problemi di Mps e gli intrecci pericolosi con la politica locale.
Quanto al mantenimento del marchio e dell’indipendenza di Mps, è illusorio chiederlo a UniCredit nata proprio dalla fusione di tante banche locali. Sarebbe la sorte di Mps.
Infine, le polemiche per l’ennesimo salvataggio coi soldi dei contribuenti. Le crisi bancarie del 2008 e 2011 erano sistemiche e in quanto tali i capitali privati erano insufficienti ad affrontarle. Tutti gli Stati, a cominciare da Usa, Germania, Francia, Spagna e UK , sono dovuti così intervenire a ricapitalizzare le loro banche, assorbendone le perdite. Unica eccezione l’Italia perché tutti i governi italiani, da Monti in poi, non hanno voluto accettare le condizionalità che questo intervento avrebbe probabilmente comportato.
Lo hanno fatto lo stesso, ma con interventi estemporanei, mascherati, diluiti nel tempo, sull’onda dell’emergenza, senza una precisa strategia. Quello di Mps è dunque la coda (si spera) di quello che si sarebbe dovuto fare 10 anni fa. Inutile scandalizzarsi ora. Meglio tardi che mai.
DOMANI/Penati
 
Il titolo Mps viaggia in rosso e volatile, oggi, dopo il balzo di ieri sera con la pubblicazione della trimestrale in utile per 82,8 milioni di euro, contro un consenso che si aspettava ancora perdite. La sorpresa arriva, spiegano oggi gli analisti di Bestinver, dalle voci una tantum, margini di guadagno migliori delle attese (del resto l'economia è ripartita) e da oltre 50 milioni di euro di rivalutazione delle Dta, le imposte anticipate. La banca, però, non sta in piedi da sola. Non a caso l'ad di Mps, Guido Bastianini, ieri si è detto ottimista nei confronti di un'operazione straordinaria con Unicredit spiegando poi che il Monte non ha ancora avuto il via libera della Bce al nuovo piano industriale.

Un piano che prevede un aumento da 2,5 miliardi per rendere l'istituto autosufficiente ma che, ha aggiunto Bastianini, potrebbe non aver luogo se intervenisse il merger con il gruppo milanese. Oggi gli analisti di Intesa Sanpaolo apprezzano "l'evoluzione dei ricavi del Monte e la riduzione del deficit di capitale" da 1 a 0,5 miliardi, sottolineano, però, che bisogna "monitorare il seppur contenuto deterioramento della qualità dell'attivo".

Gli analisti di Bestinver aggiungono che "non è ancora chiaro se il rafforzamento patrimoniale sia necessario, come possa essere fatto e in quale quadro legislativo sarà necessario eseguirlo", cercando di capire gli effetti dell'operazione sui bond emessi da Mps, per il timore che "qualcosa possa mettere a rischio i detentori delle obbligazioni Tier 2". Sono le emissioni subordinate che a inizio settimana avevano perso fino al 9% (poi i prezzi hanno recuperato) per timore che non rientrino nel perimetro di acquisizione di Unicredit.

Nel frattempo, il sindaco di Siena, Luigi De Mossi, ha chiesto un incontro "urgente" con il presidente del Consiglio, Mario Draghi e il ministro dell'Economia, Daniele Franco, per discutere la "grave e urgente" situazione di Mps, invocando una soluzione politica per lo storico istituto della città toscana dove si trova la sede centrale del gruppo che occupa 2.500 persone. Durante l'audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, nei giorni scorsi, il ministro Franco ha spiegato comunque che il governo intende tutelare l'occupazione e la città toscana.

Il Monte ha confermato durante la conference call di non aver rivisto il capital plan sulla base dell'esito dello stress (in caso di situazione avversa, al 2023 la banca potrebbe avere un Cet 1 negativo, -0,1%, il dato peggiore in Eu) e che il rafforzamento patrimoniale resta una soluzione subordinata rispetto al perseguimento della cosiddetta soluzione strutturale con Unicredit, la cui realizzazione è il principale obiettivo dell'azione dei manager.

Il tema del rafforzamento da 2,5 miliardi resta da chiarire, perché se non viene effettuato prima della fusione con Unicredit, il deficit di capitale dovrà in qualche modo essere appianato. Il Mef, che ha il 64% delle azioni Mps, ha avuto il via libera da Bruxelles per iniettare 1,5 miliardi, mentre dal canto suo il ceo della banca milanese, Andrea Orcel, è stato fermo nel ricordare che l'operazione deve essere neutrale sul Cet 1 (quindi non intaccarlo) compresi gli oneri di ristrutturazione e addirittura aumentare in via prospettica l'utile per azione.

Ad

Nel frattempo gli analisti di Goldman Sachs hanno confermato il rating buy su Unicredit con un prezzo obiettivo a 12 mesi di 13,6 euro. Secondo gli specialisti della banca d'affari americana, il titolo vale standalone 13,11 euro (calcolo fatto sul Rote) ponderato all'85% e un valore di M&A di 16,46 euro per azione, ponderato al 15% che riflette per ora un grado moderato di M&A. Nello scenario base, Goldman Sachs incorpora il 30% riduzione dei costi condiviso al 50% fra le due banche che si fondono. Oggi Unicredit sale dello 0,5% a 10,2 euro per 22,91 miliardi di capitalizzazione. (riproduzione riservata)

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Praticamente entrambe le banche si avvantaggeranno dalla aggeegazione
 
DBRS Morningstar said on Monday it had downgraded Monte dei Paschi's (MPS) subordinated debt, citing increased risks that holders of the state-owned Italian bank's junior debt may have to bear losses as part of its re-privatisation.
The credit rating agency said in a note it had cut the rating on the bonds to 'CCC' from 'B(low)'. The trend is stable.
The action "reflects the increased risk of burden-sharing on these instruments as the Italian government gets closer to finding an exit strategy for its ownership," DBRS said.
RTRS
 
Il titolo azionario lo tengono come da esempio calibrato (una benzodiazepina ad azione ipnotica ) ad un prezzo di sfida che non faccia troppo male. Troppo bravi; si potrebbe scrivere un libro sulla banca nata proprio quando si è chiuso il periodo medievale. Fenomenali!! Buona sera
 
A mio modesto, insensato, inqualificabile e non richiesto parere il burden sharing e’ stra certo.

Poi bisogna vedere quanto tosano.
Quanto tanto.
E' cosi sandrino..passami il termine "insensato"!! :oops: Non si ricorda il passato e solo guardando il futuro si immagina di essere invincibili. Per quello ci sono ancora quelli che amano la diatriba,quella fatta di momenti euforici e disforici. La mente umana ha memoria corta ed anche i più preparati dimenticano . O vogliono essere gli eroi del tempo che verrà . Una buona serata.
 

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