Mercati e condizioni psicologiche sottostanti
Molte volte ci innamoriamo di uno strumento. Di un titolo. Cosa vuol dire?
Che lo prendiamo a prescindere dai segnali tecnici. Ma quando succede questo?
Quando in precedenza ci ha fatto guadagnare molto! Ci piacciono perché ci hanno fatto guadagnare.
Ma siamo sicuri che anche nel futuro sarà così?
Non dobbiamo mai innamorarci di uno strumento finanziario. Se poi adottiamo una strategia di accumulazione raddoppiamo il rischio con la possibilità di perdere tutto il guadagno: quando raddoppiamo la somma in gioco, da un lato duplichiamo la possibilità di guadagna, ma anche la velocità di perdita se abbiamo sbagliato l’entrata.
Capita spesso che vediamo sfumare il guadagno in corso. Lo abbiamo visto via via ridursi fino ad azzerarsi ed ora rischiamo addirittura di perdere. Cosa faremo allora? Teniamo ancora o vendiamo.
E’ la delusione e l’impazienza ad entrare in gioco. Saltano i controlli tecnici. Se siamo impazienti, vendiamo. Ma difficilmente incrementeremo nella stessa direzione dell’entrata: vogliamo solo uscire dalla situazione che ci si è rivoltata “improvvisamente” contro!
Il fatto è che quando perdiamo non vogliamo mai ammetterlo! E cosa facciamo allora?
Attendiamo.
E attendiamo
E attendiamo
E attendiamo
Attendiamo che i prezzi ritornino verso il nostro punto di entrata.
Poiché di pull back ce ne sono in ogni seduta di borsa, la speranza si nutre anche di piccolissimi movimenti che riportano i prezzi nella nostra direzione.
Ma che vengono immancabilmente smentiti poco dopo aumentando la nostra delusione e il nostro malessere.
E se i prezzi aumenteranno la nostra perdita ulteriormente ancora una volta sarà la pazienza a saltare per prima. Risultato?
Venderemo. Quando la pazienza si è esaurita, allora vendiamo.
Qual è il meccanismo psicologico che ci porta a questa scelta?
Guardiamo di quanto sciamo scesi, di prezzo e di tempo, e giudichiamo che per rivedere i prezzi di acquisto l’attesa è troppo lunga. Di solito la paragoniamo al tempo di incremento della perdita. Così se ad esempio siamo entrati a rialzo e i prezzi subito dopo sono scesi per 10 giorni causando una perdita di 1000 punti noi penseremo che ci vorranno altrettanti giorni per risalire. Anche se non c’è niente di tecnico a supporto di questo pensiero.
E allora perché perdiamo la pazienza e giudichiamo che l’attesa è ormai tale per cui un recupero diventa difficile e comunque troppo lungo nel tempo?
Perché durante la discesa ci siamo abituati all’idea che abbiamo perso. Ci siamo fatti una ragione della perdita, ne abbiamo trovato le cause, per cui abbiamo cominciato ad orientarci verso la ricerca del prezzo migliore per uscire.
Contemporaneamente è sorta in noi la sete di rivincita! La voglia di rifarsi subito prevale su tutto il resto. Dobbiamo vendicare subito l’onta subita con il loss.
Durante l’attesa siamo passati dalla speranza di rivedere il nostro punto di entrata all’accettazione ineluttabile della perdita per arrivare al sentimento di riscossa!
Purtroppo appena usciamo dalla posizione, in perdita, ed entriamo nella nuova, ci dimenticheremo con una velocità sconcertante di quando appena successo appassionandoci alle nuove vicende. E correremo il rischio di commettere lo stesso errore.
Cosa ci fa capire questo?
Che uno strumento finanziario non viene comprato o venduto solo per le sue motivazioni tecniche o fondamentali, ma anche sulla base dello stato d’animo e dell’emotività di chi lo compra o lo vende.
Cosa vuol dire?
Che un titolo può continuare, ad esempio, la sua corsa a rialzo se detenuto dalla maggior parte degli investitori che sono entrati bene. Ma se quel titolo è in gran parte in possesso di persone “entrate male” sarà destinato a scendere. Anche se i suoi “fondamentali” sono buoni.
E’ quello che vediamo accadere delle volte, per fortuna non molte, quando nonostante i dati americani usciti siano buoni, gli indici scendono.