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Se de facto non esistono “paesi sicuri”,​

nessuno potrà mai più essere rimpatriato.​

Calpestati gli altri principi costituzionali coinvolti.​

 
A questo punto definirla magistratura politicizzata è persino riduttivo.

La sentenza con la quale il Tribunale civile di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione,
non ha convalidato i trasferimenti di migranti nei centri in Albania
in base al recente protocollo di intesa tra i governi di Roma e Tirana, è tecnicamente eversiva.

A tal punto, infatti,
viene estesa e distorta l’interpretazione del diritto all’asilo e alla protezione internazionale,
da calpestare praticamente tutti i principi coinvolti che godono di altrettanta tutela costituzionale,

dalla sicurezza dello Stato

alla difesa dei confini,

ma anche l’equilibrio di bilancio,

la tenuta dei diritti sociali ed economici,

che un’accoglienza indiscriminata metterebbe sicuramente in pericolo.


Non è infatti una sentenza contro i centri in Albania,
è una sentenza contro tutti i CPR (Centro permanenza rimpatrio),
pure quelli situati in territorio italiano,
perché praticamente più nessuno può essere rimpatriato:
non solo dal CPR in Albania, ma pure da un CPR a Ladispoli.
 
Gli italiani devono comprendere bene
il concetto che hanno voluto far passare questi giudici:

se nessun paese d’origine è sicuro per definizione,

nessun rimpatrio è permesso.

Nessuna deroga.

Nemmeno nei confronti di terroristi e delinquenti.

Ci dobbiamo tenere tutti.

Ci dobbiamo tenere chiunque scenda da un barcone,
pure se è un terrorista di Hamas.
 
Il secondo livello – al quale però il centrodestra fa di tutto per non arrivare – è sistemico
e riguarda l’ordinamento giudiziario e politico:

limitare lo strapotere dei giudici comunisti

e la pretesa supremazia dei Trattati sulla Costituzione
.

Bene quindi la riforma della giustizia, separazione delle carriere e riforma del Csm,
ma un vero cambiamento richiede soprattutto una Corte costituzionale non più piddina.

Come si fa?

Si fa scegliendo i nomi giusti quando si è in maggioranza in Parlamento,
ma si fa anche .......con l’elezione diretta del presidente della Repubblica.
 
Milan l'è un gran milan

Era partito da Kobe, in Giappone, ed aveva attraversato
India, Taiwan, Vietnam, Thailandia, Malesia, Singapore, Slovenia, Bulgaria, Tanzania, Kenya, Turchia.

Ma solo una volta arrivato a Milano,
il 19enne travel blogger Tatsuya Kushinara
si è visto rubare la sua bicicletta.


Il giovane, 17mila follower su Instagram, ha raccontato la dua disavventura al Corriere della Sera:

"Ho visto per terra i miei vestiti e gli oggetti da camping.
Erano dentro le quattro borse attaccate alla bici.
Che è sparita, mentre il resto sono riuscito a raccoglierlo"
.

I fatti si sono svolti nella notte di sabato 19 ottobre:
Kushinara aveva legato la sua bicicletta all'esterno del McDonald's in via Farini.

E una volta uscito, il mezzo che l'aveva portato in giro per il mondo non c'era più.

 

Ma i guai non erano ancora finiti per il 19enne,​

che è stato anche avvicinato da un uomo che gli ha rubato il telefono:​

"Ho cercato di reagire, ma sono arrivate altre persone.

Credo fossero almeno cinque. Mi hanno colpito con calci e pugni".​

Sparita anche la Go Pro.​

Dopo l'aggressione il giovane si è recato in Questura per denunciare la rapina.​


Quindi il giorno dopo, attivando un vecchio telefono,​

è riuscito a rintracciare quello rubato in un palazzo in zona Navigli.​

Ma recuperarlo si è rivelato impossibile.​

Una nuova denuncia pubblica dopo quelle recenti di Giulia Salemi ed Alba Parietti

che hanno riaperto il dibattito sulla sicurezza a Milano.​

 
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