Questo luglio ho incontrato una donna di origine straniera.
Facciamo che la donna si chiama Tina e che viene da un paese del Nord Africa.
La donna era in PS, ricoverata con forti dolori alla pancia, derivati da un aborto spontaneo avvenuto pochi giorni prima.
L'ho incontrata, perché lei aveva raccontato che l'aborto era stato provocato dal marito (non entro nei dettagli), per cui il personale sanitario ha chiamato la Questura e poi me.
La signora, giovane, era in Italia da 5 mesi appena e non parlava nemmeno una parola in italiano. I medici avevano raccolto la sua confidenza perché avevano rintracciato il cugino che parlava la nostra lingua.
Parlava il francese e io anche. Così ci siamo parlate e capite. Era sollevata di trovare una donna con la quale poter parlare.
La sua storia era una storia come tante, troppe altre. Non entro nei dettagli.
Ma occorre tener presente che:
- era spaventatissima
- era piena di dolore per la gravidanza interrotta
- non conosceva NULLA della nostra cultura, del nostro modus vivendi, né aveva idea della nostra legge, di cosa fosse legale e cosa no qui da noi
Alla fine della lunghissima giornata, una macchina della Squadra Mobile ci ha portate via, perché il marito era fuori dal Pronto Soccorso ad aspettare Tina. Un paio di poliziotti hanno allontanato lui e altri due hanno preso in auto me e Tina, ci siamo nascoste, con la testa tra le ginocchia, abbassate e siamo andate in una casa rifugio.
Tina era piena di domande
Nei giorni seguenti, sono stata chiamata almeno 5 volte, perché lei aveva un interrogativo dietro l'altro e lei si fidava solo di me:
- sui suoi documenti sarebbe stato scritto che lei era stata trasportata in un'auto della polizia? (la cosa evidentemente per lei era una vergogna intollerabile)
- il marito aveva chiesto in giro dove lei fosse, glielo aveva detto la famiglia di origine che lei continuava a sentire. Lui in un primo momento aveva minacciato di rovinare le nozze che il cugino stava preparando. Potevamo fare qualcosa per suo cugino?
- dopo le minacce, il marito aveva chiesto scusa con formule "pubbliche" a tutta la famiglia di Tina. Queste scuse avevano un valore legale in Italia?
- Tina aveva il diritto di chiedere di studiare l'italiano?
In tutta questa confusione, con la famiglia che le ordinava di perdonare, io le avevo chiesto se avesse intenzione di sporgere denuncia- querela. Non ne capiva le implicazioni. Le abbiamo fissato un appuntamento nella casa rifugio con una nostra legale e una poliziotta che collabora con noi spesso e che, nel caso, sarebbe stata pronta a prendere la denuncia-querela, senza far uscire Tina e rimanendo tra donne, anche alla mia presenza.
Nel frattempo, però, la Questura si è fatta viva, dicendo che la denuncia dovevano prenderla loro e hanno forzato la mano, mandando a prendere Tina con una loro auto (e lei che temeva l'onta dell'essere etichettata perché portata via dalla Polizia!)
Tina ha chiesto che fossi presente.
Le hanno detto di no, perché dovevano verbalizzare la mia presenza e sarebbe stato poco utile perché qualcuno avrebbe potuto dire che io in qualche modo l'avevo manipolata (????)
E si è trovata sola, con una mediatrice culturale e il poliziotto.
Non aveva capito bene cosa significasse una denuncia-querela.
Dopo SETTE ore che parlava, ha capito ed è andata letteralmente in panico.
Il poliziotto è uscito urlando. Mi ha chiamata inferocito.
Tina ha iniziato a moderare quanto aveva fino ad allora raccontato: sì, il sesso col marito non era tenero e non le piaceva, ma lei era consenziente, sì lui la teneva chiusa in casa senza chiave, ma tanto lei non sarebbe uscita ecc ecc.
Morale? Una denuncia, dove FORSE si rintraccia un lieve maltrattamento, Tina che è tornata a casa col marito, con il tarlo di averlo denunciato e la ferma intenzione, alla Prima Udienza, di ritirare la sua denuncia - querela.