CERCA DI ESSERE IL GIOCATORE DI SCACCHI, NON IL PEZZO SULLA SCACCHIERA

Nella noiosa, vaga, deprimente illustrazione del cosiddetto programma di governo, tra una invettiva e un’altra,
l’unico Presidente del Consiglio della storia nominato per dare discontinuità a sé stesso
ha indicato due priorità del nuovo esecutivo: l’introduzione del salario minimo legale
e l’attribuzione dell’efficacia erga omnes ai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative in attuazione dell’art. 39 della Costituzione.



L’ex avvocato del popolo ha dimostrato di non essere consapevole degli impatti devastanti che le due misure avrebbero sul mercato del lavoro e sulle relazioni industriali.

Sotto questo profilo, l’attuazione del quarto comma dell’art. 39 della Costituzione limiterebbe il principio della libertà sindacale
in quanto occorrerebbe costituire una rappresentanza sindacale unitaria abilitata a sottoscrivere il contratto collettivo nazionale
con efficacia erga omnes nell’ambito del comparto così come avveniva nel sistema corporativo del ventennio fascista
mentre con l’attuale sistema possono coesistere più contratti collettivi efficaci all’interno dello stesso settore produttivo
stipulati da varie sigle sindacali utili per ampliare i margini di flessibilità nella definizione delle retribuzioni e dell’organizzazione del lavoro.

Anche se i suddetti contratti sono vincolanti solo per le parti, nella prassi le pattuizioni salariali sono estese
anche nei confronti dei soggetti non firmatari poiché nelle controversie in materia di lavoro i giudici
applicano la previsione contrattuale più favorevole al lavoratore al fine di assicurare una retribuzione adeguata alla qualità ed alla quantità del lavoro.

L’estensione per via giurisprudenziale dell’efficacia dei contratti collettivi di settore a garanzia del salario minimo
dei (pochi) lavoratori non coperti dalla contrattazione e impiegati a condizioni economicamente svantaggiose,
priva in radice di ogni validità la proposta di salario minimo stabilito per legge che altro non è se non l’imposizione
di un minimo salariale calato dall’alto senza tener conto delle reali dinamiche del costo del lavoro
prescindendo dalla principale esigenza di tutela della platea dei beneficiari della misura che è la conservazione del posto di lavoro.

Non è necessaria una laurea in economia ma è sufficiente una laurea in storia per comprendere che la povertà
non può essere sconfitta per legge e che il salario minimo riguarderebbe lavoratori poco qualificati
impiegati da aziende marginali incapaci di sostenere un aumento del costo del lavoro non correlato all’aumento della produttività
e che, pertanto, licenzierebbero i destinatari della misura che non è affatto posta a tutela dei lavoratori.


La soglia del salario minimo lordo a 9 euro l’ora così come è fissata nella proposta del M5S
comporterebbe per le imprese con dipendenti un aggravio di costo che se non trasferito sui prezzi porterebbe ad una compressione del margine operativo lordo;
se trasferito sui prezzi determinerebbe una perdita di competitività delle aziende nazionali a favore di imprese che, situate all’estero
(nei Paesi dell’Est la paga oraria è 1/3 della media europea), possono contare su un minore costo del lavoro e quindi su prezzi più competitivi.


Un ulteriore effetto da non sottovalutare sarebbe la conflittualità tra lavoratori in quanto se i 9 euro sono la paga più bassa per i prestatori meno qualificati,
dovrebbe crescere proporzionalmente il salario minimo dei lavoratori più qualificati svolgenti mansioni di maggiore responsabilità.

Il Presidente del Consiglio non sa che un salario minimo troppo alto, fissato a 9 euro (ovvero in misura superiore al 50% della retribuzione mediana),
avrebbe un effetto distorsivo sulla domanda di lavoro in quanto alle aziende verrebbe vietato per legge di assumere lavoratori pagandoli meno di 9 euro.

Viceversa, se il minimo legale venisse fissato ad un livello più basso, la misura sarebbe praticamente inefficace
e le imprese potrebbero avere un forte incentivo alla fuoriuscita dal sistema contrattuale
applicando così il solo salario minimo legale che, in ultima analisi, alimenta la conflittualità e crea disoccupazione.

Il Presidente del Consiglio che non è leader di partito, non ha una base politica propria,
è stato scelto dai 5 Stelle da cui ha preso nettamente le distanze ed è sostenuto dalla fiducia delle cancellerie europee
risponderebbe che non è nulla di grave, tanto vi è il reddito di cittadinanza che tutela chi non ha lavoro.


Il reddito di cittadinanza è una misura assistenzialistica che fa aumentare il debito pubblico e l’Europa che oggi blandisce il governo giallorosso, domani potrebbe cambiare idea.

“Uso i partiti allo stesso modo di come uso i taxi: salgo, pago la corsa, scendo”, diceva Enrico Mattei.

I burocrati di Bruxelles fanno lo stesso con i politici italiani.
 
Ultima modifica:
Cupi cupi ...stan tornando i giorni cupi....

"C'è un decreto in costruzione al ministero del Lavoro che interpreta il dettato del decreto 4 del 2019,
ovvero che dovrà essere emanato un decreto con la lista di Paesi stranieri per i quali non bisogna avere documentazione aggiuntiva",
ha spiegato ai giornalisti Pasquale Tridico, presidente dell'Inps, vorrebbe dire un aumento delle famiglie che hanno diritto a ricevere il reddito mensile.

Infatti, durante il governo gialloverde, Lega e Movimento 5 Stelle avevano stabilito un accordo,
per regolare gli assegni di cittadinanza, attorno ai quali si era già sviluppata una diatriba tra i due partiti alleati.

Da una parte, il Carroccio, che avrebbe voluto ridurre al minimo le possibilità di assegnare il reddito ai cittadini stranieri,
dall'altra i grillini, che invece avrebbero voluto comprendere nella manovra, diverse famiglie immigrate.

Alla fine, Luigi Di Maio aveva dichiarato che avrebbero avuto diritto al reddito di cittadinanza i cittadini stranieri residenti in Italia da almeno 10 anni.

Poi, dato che il numero sarebbe stato troppo elevato, erano stati messi a punto alcuni interventi tecnici.
In questo modo, i nuclei aventi diritto all'assegno si sono attestati sulle 150mila unità, rispetto a un totale di 1,3 milioni di famiglie.

La spesa, in questo modo, sarebbe stata intorno a un miliardo di euro.

Ma ora che la Lega non è più al governo, le cose cambiano e ottenere il reddito di cittadinanza potrebbe diventare più facile,
proprio grazie all'eliminazione dell'obbligo di depositare alcuni documenti.

In questo modo, si passerà a 265mila nuclei familiari in più, ovvero mezzo milione di persone.

E alla spesa calcolata lo scorso anno si aggiungerebbero 600 milioni in più.

A chiedere l'annullamento dell'obbligo di presentare una serie di documenti erano state diverse associazioni, che vorrebbero far saltare l'emendamento Lodi.

Questo obbliga gli stranieri a presentare una certificazione rilasciata dallo Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dal Consolato italiano,
per attestare il reddito del cittadino straniero e la composizione nel nucleo familiare.

Senza l'obbligo di presentare questo documento, ricevere il reddito di cittadinanza diventerebbe più facile.
 
Spartiti al punto giusto. 26 a testa.

L'elenco di sottosegretari e vice ministri

Stefano Buffagni sarà viceministro al Mise-Sviluppo Economico, dove i sottosegretari saranno - Alessandra Todde, Mirella Liuzzi, Gianpaolo Manzella e Alessia Morani.

Mentre Antonio Misiani e Laura Castelli sono i nuovi viceministri del Mef, insieme a Alessio Villarosa, Pierpaolo Baretta e Cecilia Guerra (i tre sottosegretari).

All'editoria il dem Andrea Martella,

mentre Marina Sereni e Emanuela del Re saranno i viceministri agli Esteri, dove i sottosegretari sono Ivan Scalfarotto, Manlio Di Stefano e Riccardo Merlo.

I due pentastellati Giancarlo Cancelleri e Pierpaolo Sileri saranno viceministri, rispettivamente, alle Infrastrutture (Roberto Traversi e Salvatore Margiotta i due sottosegretari),
e alla Salute (con Sandra Zampa sottosegretaria).

La vicepresidente del Partito Democratico Anna Ascani è andata all'Istruzione come viceministra, insieme ai sottosegretari Lucia Azzolina e Giuseppe De Cristofaro.

I vice di Luciana Lamorgese al Viminale sono Matteo Mauri e Achille Variati, Vito Crimi e Carlo Sibilia.

Alla Giustizia, Vittorio Ferraresi e Andrea Giorgis,

mentre alla Difesa Angelo Tofalo e Giulio Calvisi.

Giuseppe L'Abbate alle Politiche Agricole

e Roberto Morassut all'Ambiente.

Al Lavoro ci sono Stanislao Di Piazza e Francesca Puglisi.

Infine, la cultura, con Anna Laura Orrico e Lorenza Bonaccorsi.
 
La prima settimana di vita del Governo Conte bis non piace agli italiani che nel sondaggio Ixé per Cartabianca (Rai3) del 10 settembre dicono un chiaro no all'esecutivo Pd-M5S.

Il primo riguarda il giudizio verso il nuovo esecutivo.
Solo il 37% degli intervistati dà infatti un giudizio positivo.

Addirittura il 30% degli elettori del Pd ha dubbi e negatività verso questa alleanza.

I contrari inbvece sono ben oltre la maggioranza assoluta, cioè il 57%.
Un dato addirittura in crescita rispetto a quanto rilevato da altre società nei giorni precedenti.

Il secondo dato legato ad un sondaggio di SWG per il Tg La7 riguarda la fiducia nel premier che la settimana scorsa,
dopo il famoso discorso duro contro Salvini e l'incarico ricevuto da Mattarella era al 51% in soli 7 giorni è crollato di 4 punti, arrivando al 47%.

Le indicazioni di voto segnano la tenuta come primo partito della Lega che recupera e sfiora il 34% (Euromedia Research e Img)
mentre cala il M5S;indicazioni di voto confermate anche al sondaggio di EMG.
Da cui emerge anche che la fiducia verso il premier Conte è in calo, al 42%, solo un punto in più di quella verso Matteo Salvini, al 41%.

L'ultimo sondaggio è di:

- Emg per Agorà del 12 settembre

Lega - 33,3%

Pd - 23%

M5S - 19,7%

FI - 7,8%

FdI - 7,4%



- Euromedia Research, per Porta a Porta del 10 settembre

Lega - 33,9%

Pd - 20,6%

M5S - 19,7%

FI - 6,6%

FdI - 6,4%


- Swg per il Tg La7 del 9 settembre

Lega - 33,2% (-0,2% rispetto al 2 settembre)

M5S - 20,4% (-1%)

Pd - 22,1% (+1%)

FdI - 7,2% (+0,3%)

FI - 5,2% (-1%)
 
Il 24enne, originario del Togo, che lunedi' scorso ha aggredito violentemente due donne nel sottopasso ferroviario della stazione di Lecco,
dopo essere stato fermato dalla Polfer, fortunatamente, non e' piu' ai 'domiciliari', ma in carcere.

Visto che si tratta di un cittadino 'regolare', in quanto figlio di una donna con cittadinanza italiana
la speranza e' che il percorso giudiziario si concluda con una sentenza esemplare e senza sconti di pena.

Va ringraziata la Polfer per aver individuato e fermato immediatamente il responsabile.

Resto convinto, ancora una volta, che nel nostro Paese in materia immigrazione, ci sia un'emergenza sicurezza.
 
Avanti popolo, le poltrone saranno nostre ........

Le mani sulla Rai passano anche per la defenestrazione di Marcello Foa.

Non era passato neppure un minuto dalla formazione del governo giallorosso e già il Pd ne chiedeva la testa.
Le poltrone fanno comodo, figuriamoci quella di Viale Mazzini. E i grillini assistono passivamente.

Come riporta Affaritaliani.it, Foa è considerato un dead man walking, un “morto che cammina”.

Contro gli hanno mandato il dem Michele Anzaldi, armato di lancia come gli antichi guerrieri.
Dietro le quinte c’è sempre lui, Matteo Renzi, che – secondo le indiscrezioni –
dispensa consigli anche ai nuovi alleati grillini, notoriamente inesperti.

In sostanza, il Pd è intenzionato a riprendere totalmente possesso della Rai, come ha fatto per decenni.
La democrazia televisiva esiste solo se l’informazione risponde ai canoni imposti dalla sinistra.

La scusa è quella di cancellare qualsiasi traccia della stagione un po’ gialla ma troppo verde leghista.
L’obiettivo vero è prendersi una poltrona importante e poi cambiare rete per rete, tutti devono essere scendiletto del governo e soprattutto del Pd.

Foa – scrive Affaritaliani.it – «è più di ogni altro l’incarnazione fisica di quell’atmosfera di “cambiamento” sovranista-populista che ha aleggiato
per un attimo di tempo e in un punto di spazio alla Rai, e come tale dev’essere abbattuto.
Intelligente e accorto, l’ex firma di punta del Giornale ha capito da tempo la malaparata, e si sta già muovendo per lasciare onorevolmente la Presidenza, magari ottenendo un prestigioso posto nel CdA Rai.

Per il Fatto Quotidiano
il presidente della Rai «è sotto assedio, chiuso nel suo ufficio del settimo piano, in attesa di essere destituito.
È stato breve ma intenso il dominio di Marcello Foa sulla Rai. Ora non si ragiona se mandarlo via, ma come e quando».

L’alternativa è la “via Anzaldi” «nel senso di Michele, l’uomo che presidia la Rai per il Pd: l’elezione di Foa sarebbe illegittima,
viziata da un paio di schede segnate, quindi irregolari. Anzaldi chiede da mesi l’accessi agli atti per verificare se sia davvero così, ma gli è stato sempre negato».

I
 
Sui social si è fatto conoscere come il Patriota a 5 Stelle,
e in queste ore è unanimemente riconosciuto come l’utente che ha scatenato il dibattito
e animato la discussione sulla fine del sogno (grillino) dell’innamoramento funzionale col Pd.

È bastato un tweet di un comune militante cinquestelle perché sul web si aprisse un dibattito sulla fragile alleanza M5S-Pd,
un’alleanza che, stando almeno a quanto si legge fra i “cinguettii” polemici, anche aspramente recriminatori, apparsi in rete,
non solo non piace, ma delude buona parte dei commentatori più ortodossi, sordi anche alle ragioni del Movimento e dei suoi capi.

«Patriota il sogno è finito: il M5S morto e svenduto al Pd»: ecco come apre e come chiude il dibattito social tra grillini furiosi,
lanciato da Patriota a cinquestelle e infervorato dalla rabbia degli utenti…

A dare il via alla discussione è l’utente “Patriota a 5 Stelle”, che nella mattinata di ieri ha dato libero sfogo sui social
alla frustrazione covata da giorni dopo l’apertura degli inediti e inaspettati scenari politici.

«Ma sono l’unico 5 Stelle impazzito? Solo io provo un senso di tristezza perché sento che il nostro sogno,
quello di Gianroberto, è svanito in 2 settimane? Come cavolo fate ad accettare un governo con il Pd? COME?»
.

Un interrogativo molto più che retorico lanciato nell’etere e che, una volta rimbalzato in Rete, ha dato la stura al libero sfogo dei grillini insoddisfatti e amareggiati.

Tanto che, alla richiesta dell’utente, ecco fioccare – in una sorta di confessionale social per cinquestelle delusi – oltre 1000 like,
centinaia di retweet e decine e decine di risposte
. «Non sei solo», la replica più gettonata.

Ma anche, «come si è potuto svendere il movimento ai peggior nemici? Solo per le poltrone.
Era meglio votare e rimanere fedeli al proprio elettorato
», il commento di Maria, seguita da Paolo, per il quale Gianroberto Casaleggio

«da tempo che si sta rivoltando nella tomba anche a vedere un figlio così indegno che gli ha distrutto tutto con la complicità del giullare ex comico»…
 
Prese di posizione dure che, senza sconti, segnano col rosso tutti gli errori fatti dai pentastellati nella stanza dei bottoni e incollati alle poltrone.

«Ridicoli – incalza Marizar – il Pd non vi lascerà fare nessun programma. Di Maio poteva diventare un eroe bloccando ‘sto inciucio e invece… che figura di m….».

E ancora, “il Deva” posta:

«Tre persone che conosco che votavano M5S perché non sopportavano Salvini ma non avrebbero mai votato Pd mi hanno detto
che al prossimo voto piuttosto che votare M5S o nulla o bianca la scheda ma cito testualmente “agli infami mai”».

«Secondo me siamo/siete in tanti – commenta a sua volta Bond, che accusa –: «Grillo ha ucciso il M5S è l’ha svenduto al PD».

«Siamo tantissimi, i poveri illusi!», gli fa eco ancora Ros.

E poi c’è Cristina, per la quale «si doveva andare al voto, non con il PD».

Ma, si sa, «il potere – cita “Il Risorgimentale” – logora chi non ce l’ha e loro non volevano logorarsi».

Un dato su cui concorda anche Salev, che poi aggiunge anche «tristemente. Ammetto di essermi allontanato da tempo.
Continuo a rispettare chi ci ha creduto (gente per bene). E, forse, chi ci crede ancora. Ma, obiettivamente, il movimento è finito. Non volevo né mi aspettavo questo».

E ancora: «Caro Patriota sicuramente non sei l’unico – interviene Fabbonas – e spero ce ne siano tanti come te idealisti
e coerenti che non hanno svenduto la loro dignità per un pezzo di potere
».

Seguito da Marco, che vuole andare alla conta: «Mi piacerebbe sapere quanti siamo, credo molti», dice.

Poi Mauro, che ci va giù durissimo: «A dire il vero – scrive – più che un senso di tristezza dovresti provare un conato di vomito visto che
sono stati traditi tutti gli ideali in cambio di poltrone
e per il terrore del voto».

Ma per Maurizio tutto è «semplice: io non li voterò mai più, scegliendo il tradimento dei valori fondanti non hanno più alcun motivo di esistenza,
di partiti che predicano A e fanno Z ne abbiamo già in abbondanza, uno in più – sottolinea – non serviva».

Della stessa opinione Rosaria, che non li rivoterà, «sempre che torneremo al voto in un futuro. Ormai – punta il dito – siamo in pieno regime comunista.
Li avevo votati per gli ideali anche se alcune facce (Grillo, Di Maio) non m’ispiravano alcuna fiducia. Così come non mi piacque Conte. E avevo ragione».

E spesso tutto culmina con l’invito a cambiare casacca e voto.

«Mollateli. Votate Lega. Non sono certo la perfezione ma almeno sono davvero contro l’establishment e le élites (basta vedere come si agitano contro Salvini)», è l’appello.

E sulla fine del sogno qualcuno chiosa laconico: «Caro patriota, smetti di sognare. Il M5s è morto».
 
Inciucio, inciucio, inciucio .......

Contrordine compagni: Pierpaolo Sileri (5stalle) è personalità a esclusivo servizio delle istituzioni, sulla cui etica professionale non esistono dubbi.
Appena promosso viceministro alla Salute da presidente della Commissione sanità che era,
il senatore M5S ha incassato le attestazioni di stima dell’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato. (PD)
Una conferma del clima di ritrovata perfetta armonia tra M5S e Pd.

Il fatto è che Sileri è finito al centro di un tipico caso in cui uno vale uno, ma qualcuno sembra poter capitalizzare per due.

«Evidentemente al governo non interessa il fatto che Sileri abbia operato sia come dipendente di una struttura pubblica,
il policlinico Tor Vergata, sia per una struttura privata accreditata alla Regione Lazio come Villa Claudia», è stato il commento alla promozione del chirurgo a ministro.

«Per l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte non è una causa di incompatibilità con il ruolo che è stato chiamato a svolgere»,
che in passato aveva «sollevato la questione chiedendo una verifica alla Regione Lazio
e, successivamente, con un esposto-denuncia alla procura di Roma, all’Anac e alla Corte dei Conti».

«Chiedevo di verificare e accertare se sia normale che un dipendente di una struttura pubblica possa prestare la propria opera
anche in una struttura privata accreditata alla Regione Lazio. Evidentemente per il governo questa non è considerata una circostanza ostativa».

L’affaire del doppio lavoro non era stata presa benissimo nemmeno da D’Amato,
che dall’alto del suo incarico istituzionale di assessore competente aveva tuonato contro il presidente grillo della Commissione sanità:

«Vi invito ad andare sul sito dottori.it e potrete vedere che questo che è attualmente presidente della commissione al Senato ha anche un doppio lavoro
perché fa attività in strutture private accreditate della Regione Lazio con visite a 150 euro – e queste sono cose che dico formalmente basta andare sui siti
– ed è anche un dipendente di Tor Vergata…». Dunque, D’Amato rinfacciava a Sileri non due, ma tre poltrone: le due da medico e quella da senatore presidente di Commissione.

Allora, però, a fare da cornice ai rapporti tra i due c’erano gli scontri tra M5S e Pd, con l’aggravante che Sileri si era permesso di attaccare Zingaretti:
«Non riesce a governare la Regione, fare il commissario ad acta e correre anche per le primarie del Pd», aveva detto allora il grillino all’indirizzo dell’attuale alleato
.

Ma oggi che si va a braccetto insieme a Palazzo Chigi, per fortuna, è tutto risolto.

«In bocca al lupo e buon lavoro a Pierpaolo Sileri, penso che possa far bene, è un medico e conosce la materia»,
si è affrettato a far sapere D’Amato, sottolineando che «quei rilievi di incompatibilità si sono chiariti dal punto di vista documentale e il problema è stato risolto».
 

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