Macroeconomia Fine dell'euro: scenari possibili o ipotetici (1 Viewer)

Comandante Gerard

Forumer storico
Sulla sostenibilità del debito italiano

Da Soldionline
Sulla mutevole “sostenibilit” del debito pubblico italiano
Un articolo molto interessante

Con questo intervento, di là del suo contenuto, intendo mostrare come, sia pure con un necessario grado di approssimazione, sul piano metodologico l’utilizzo di un semplice foglio elettronico consente di affrontare il tema in oggetto in maniera logica e razionale, facendolo uscire dal chiacchiericcio inconcludente della politica nostrana.
Già in passato ebbi a definire il foglio elettronico Excel “il miglior amico dell'uomo dopo il cane”. Infatti, la simulazione con un foglio elettronico ci può aiutare nella comprensione dell'evoluzione di fenomeni apparentemente oscuri o complessi. Ad esempio, anni fa dimostrai matematicamente perché – a causa del basso livello dei tassi di interesse e degli elevati caricamenti sui premi - polizze vite brevi (ad esempio, di 5 anni) non potessero che restituire ai loro sottoscrittori meno del capitale versato e come, in questo risultato, non ci fosse nulla di illogico o di imponderabile.
Questa volta prendo le mosse da una recente affermazione dei vertici dell'OCSE (affermazione, a mio avviso, non adeguatamente qualificata) secondo cui il deficit primario realizzato dallo Stato Italiano nel 2009 sarebbe stato "contenuto".
Tanto per iniziare, cosa s’intende per “sostenibilità” del debito pubblico? S’intende quel complesso di condizioni dell’economia per cui il rapporto debito/PIL di un paese non cresce indefinitamente, in quanto la crescita indefinita di questo rapporto porterebbe, prima o poi, all’insolvenza dello Stato debitore.
Ho sviluppato un semplice modello in Excel di simulazione (il modello è disponibile su richiesta) per analizzare le condizioni di sostenibilità del debito pubblico.

Le variabili che ho sinteticamente considerato sono:

- l’avanzo/disavanzo primario sul PIL
- rapporto debito/PIL di partenza ( assunto nel 115%)
- tasso di inflazione/deflattore implicito (sono due concetti diversi ma, per semplicità di trattazione, li considereremo equivalenti)
- l’onere medio del servizio del debito pubblico

Con una semplice simulazione si può dimostrare che, partendo da un rapporto debito/PIL del 115% (più o meno quello odierno dell’Italia), con un "piccolo" deficit primario dello 0,6% (quello italiano del 2009), un'inflazione ipotizzata nel 2% ed un onere medio sul servizio del debito ipotizzato (ottimisticamente?) nel 2,5%, il rapporto debito/PIL cresce se la crescita reale del Paese è inferiore all'1% annuo e si stabilizza con una crescita leggermente superiore all’1%.

In un certo senso (ma successivamente qualificherò meglio il commento), questa condizione spiega la manovra di stabilizzazione economico-finanziaria varata dal Governo. Infatti, poiché la crescita è prevista bassa nel 2010 (probabilmente non supererà l’1%) mentre il deficit primario era in probabile allargamento tendenziale, il Governo ha ritenuto di dover intervenire – anche se non si sa ancora con quanta effettiva efficacia - sul deficit primario onde contenere l’aumento tendenziale del rapporto deficit/PIL. Infatti, una crescita dell'1% potrebbe, a prima vista, apparire come agevolmente conseguibile, ma si deve tener conto della possibilità del rigurgito di altre crisi recessive e del fatto che la perdita di numerosi posti di lavoro (700 mila secondo la Confindustria) fin qui registrata intaccherà in futuro i consumi aggregati delle famiglie.
L’utilità di questo modello semplificato risiede nel farci facilmente comprendere come il livello di equilibrio nel rapporto debito/PIL possa trovarsi con diverse combinazioni di deficit primario e di crescita reale del PIL e come, in realtà, il tasso di crescita del PIL è una variabile chiave per riassorbire il rapporto debito/PIL.

Pertanto, l’asserita "modestia" del deficit primario del nostro Paese nel 2009 non è un concetto “assoluto”, bensì relativo e, in realtà, tale presunta modestia va messa in relazione alla crescita reale del PIL. Con una crescita bassa, anche un piccolo deficit primario diventa un problema serio perché può innescare una spirale debitoria incontrollabile.

Ad esempio in presenza di crescita zero, anche un modesto deficit primario dello 0,6% fa crescere, comunque, il rapporto debito/PIL al 129% in una dozzina di anni e - poiché il rapporto debito/PIL di partenza è superiore al 100% - anche in presenza di un deficit primario azzerato, il rapporto debito/PIL salirebbe comunque al 122% nel 2022. Questa è la ragione per cui, in presenza di crescita bassa e di un rapporto debito/PIL superiore al 100%, il bilancio dello Stato deve presentare un avanzo primario, onde evitare l’avvitamento esponenziale del rapporto debito/PIL.


Si consideri che – provenendo un qualunque paese da una condizione di crescita relativamente più elevata ed approdando ad una di crescita più bassa o, addirittura, insignificante (come è il caso dell’Italia) – l’abbassamento del tasso di crescita comporta normalmente un ampliamento del deficit primario perché le entrate fiscali flettono, mentre le spese correnti presentano una fisiologica inerzia e, addirittura, aumentano per finanziare l’espansione degli ammortizzatori sociali. Cosicché in fasi recessive/di rallentamento economico il rapporto debito/PIL tende ad innalzarsi per due ragioni: l’incremento del deficit primario e la riduzione della crescita.

Mentre, nel contesto italiano di un rapporto debito/PIL di partenza superiore al 100%, una crescita zero del PIL non stabilizza il rapporto debito/PIL neppure con un deficit primario azzerato e, tanto meno, con un deficit primario dello 0,6%, viceversa una crescita del 2,5% regge persino un deficit primario del 2,3% senza aumentare nel tempo il rapporto debito/PIL, ma ciò solo a parità di costo reale del debito. Una crescita reale del 2,5%, che, in un recente passato, fu del tutto fisiologica per l’economia italiana, consentirebbe – sula base di questo modello semplificato – di portare il rapporto debito/PIL sotto il 100% nel 2022, pur in presenza di un deficit primario dello 0,8%. Quindi, si è qui dimostrato – sia pur con un modello semplificato e didattico – che la stabilizzazione e la riduzione del peso del debito sull’economia del Paese sono dipendenti anche dal suo tasso di crescita reale.


Tuttavia, l'obiezione più immediata che si potrebbe avanzare alla simulazione 3 è che non sia ipotizzabile che, in presenza di una crescita reale relativamente (più) sostenuta del PIL, l'onere per il servizio sul debito pubblico non cresca anche esso. Nell'ipotesi che, con un tasso di crescita reale del 2,5%, l'inflazione passi dal 2% al 5% ed l'onore sul servizio del debito pubblico dal 2,5% al 5,5%,


il deficit primario del 2,3% rimane comunque sostenibile (cioè il rapporto debito su PIL si stabilizza ugualmente al 115%, ma non cresce nel tempo), pur con un aumento del valore assoluto degli interessi che lo Stato paga. In realtà, quello che rileva ai fini della sostenibilità del debito, pur in presenza di un aumento dei tassi di interesse, è che il rendimento reale dei titoli di Stato (qui ipotizzato nello 0,5%) non aumenti.
Se, addirittura, tale rendimento reale dovesse ridursi e diventare negativo, consentirebbe lo smaltimento dell’eccesso di debito per via inflazionistica. Ciò fa comprendere quale sia l’altra strada teoricamente (ma solo teoricamente) praticabile, ed in passato diffusamente praticata in Europa, specie nei dopoguerra, per la riduzione del fardello del debito sull’economia reale: l’inflazione creata tramite stampa di cartamoneta cui il debito non si adegua negli interessi offerti (che presentano, dunque, rendimenti reali negativi). Ma questa opzione inflazionistica, a parte ogni altra considerazione su cui non mi dilungo, è possibile solo in una economia chiusa nella quale la Banca Centrale dipenda rigidamente dal Tesoro e nella quale ai cittadini del paese sia precluso di sottoscrivere titoli di Stato esteri. E l’Italia fortunatamente non è (ancora) l’Argentina.
Pertanto, una prima conclusione è che una più elevata crescita reale del Paese consentirebbe di sostenere un deficit primario maggiore di quanto sarebbe possibile con una crescita più bassa o, in alternativa, consentirebbe di riassorbire progressivamente il rapporto debito/PIL senza ricorrere a tagli brutali di spesa pubblica.
Dunque, prefiggersi di contenere il deficit primario dello Stato senza al contempo considerare le implicazioni di questa politica sulla crescita economia rivela un approccio meramente “ragionieristico” della politica economica.
Il PIL di un paese è schematicamente formato da C (consumi privati) + I (investimenti tecnici fissi privati) + G (spesa pubblica) + (E-I) (saldo netto delle esportazioni).
La prima conseguenza di una riduzione della spesa pubblica (o anche di un suo contenimento sotto il tasso di crescita del PIL) è – nel breve termine ed a parità di altre condizioni – una riduzione della crescita del PIL. Pertanto, le manovre generalizzate di contenimento della spesa pubblica adottate in Europa impongono all’Europa il rischio concreto di una nuova recessione attraverso lo strozzamento nella culla dei primi timidi segnali di ripresa economica. La diffusione di tali politiche, estesa a gran parte dei principali paesi della UE e quasi assunta ad elemento oggettivo per la loro giustificazione teorica, non elimina il fatto che, se non altrimenti compensate, tali politiche abbiano un effetto depressivo su un livello di attività economica già basso. In tal modo, la trappola della bassa crescita si autoalimenta con politiche restrittive volte a contenere il rapporto debito/PIL non tramite lo stimolo della crescita ma attraverso la riduzione del deficit primario …
Non solo, ma tali politiche restrittive sulla spesa pubblica suggeriscono che i governi europei implicitamente/inconsciamente attendono passivamente che solo le esportazioni in crescita traggano le economie europee fuori dalle secche su cui si sono arenate.
Infatti, delle diverse componenti del PIL, i consumi aggregati delle famiglie (C) sono messi sotto pressione dall’aumento della disoccupazione, del precariato e della cassa integrazione, gli investimenti tecnici fissi delle imprese (I) sono in declino a causa della bassa capacità di utilizzazione degli impianti che non è prevedibile che venga riassorbita in breve tempo e ora, con le manovre correttive sui bilanci statali, si mette in discussione anche l’unica certezza macroeconomica che era rimasta intatta, ovverosia la tenuta dei livelli di spesa pubblica (G). Pertanto, solo sulle esportazioni nette viene implicitamente fatto gravare l’onere della ripresa del PIL.
La preservazione dei livelli di spesa pubblica in contesti congiunturali di stagnazione come l’odierno non esclude la sua riqualificazione (tra componenti correnti e di investimento) che, anzi, è più che mai essenziale per sostenere la crescita dell’economia. Tuttavia, come si è già detto, tagli alla spesa corrente non accompagnati da contestuali e compensativi piani pubblici di investimento, a medio termine rischiano di aggravare, anziché di alleviare, il problema del rapporto debito/PIL. E, in ogni caso, perseguire l’obiettivo di agganciare la ripresa al solo aumento delle esportazioni richiederebbe politiche attive per promuovere la competitività delle nostre merci sui mercati internazionali, politiche che non si intravedono all’orizzonte.
Il Presidente del Consiglio può anche ribadire, ad ogni pie’ sospinto, la sua mezza verità di non aver messo le mani nelle tasche degli Italiani ma, poiché il rapporto debito/PIL sta crescendo in maniera preoccupante, il Premier stesso od i suoi successori dovranno, prima o poi, mettere le mane nelle tasche dei loro figli o dei loro nipoti, perché il debito pubblico non si … auto-estingue, specie in un contesto di bassa crescita economica.

Il rapporto debito/PIL del Giappone è al 190% e sta crescendo verso oltre il 200%. Alcuni economisti attribuiscono a questo rapporto, ereditato dalla crisi finanziaria ed immobiliare del Giappone degli anni ’80-’90 e dal conseguente salvataggio del sistema bancario giapponese ad opera dello Stato, una importante concausa per la perdurante stagnazione di quella economia.
Il rischio è che questo scenario giapponese di bassa crescita indotta dal fardello del debito si estenda ad altri paesi sviluppati e l’Italia è tra i principali candidati a questo scenario. Scongiurarlo è una grande sfida intellettuale per la politica e per la politica economica.
Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente
 

Geller

Banned

Chissà che ne pensa Stockuccio ? :-?
Il buon Roubini - che di economia e finanza ne capisce più di tutti ! - pensa che la valuta USA andrà alla pari con l'euro. Quindi il dollaro non è carta straccia come qualcuno continua a sostenere ... ?! :lol:
 

stockuccio

Guest
Chissà che ne pensa Stockuccio ? :-?
Il buon Roubini - che di economia e finanza ne capisce più di tutti ! - pensa che la valuta USA andrà alla pari con l'euro. Quindi il dollaro non è carta straccia come qualcuno continua a sostenere ... ?! :lol:

il mio buon Nouriel ... sapessi quanti insulti mi son beccato per difenderlo ... magari tu un paio di anni fa eri tra gli 'attaccanti' e lo definivi rimbambito :D:D

beh, la panzerona Angela ha fortificato un pochino la maginot ai confini dell'area euro, i tuoi eroi anglosassoni che attaccano tutti i tuoi connazionali, avendo ora qualche difficoltà in più ad esporsi direttamente contro un Paese europeo, ora se la prendon con uno che non ha l'euro (l'Ungheria) ma comporta lo stesso qualche problema alle nostre banche europee ... d'altronde per piazzare 2000 miliardi di buffi a qualche gonzo :abbocca: in una moneta come il dollaro che non vale la carta su cui è stampato un Paese fallito come gli USA qualcosa dovrà pur inventarsi :)

vedo, prevedo, stravedo :mago: che la fed anche quest'anno si riempirà la pancia di schifezze
 

piergj

Forumer attivo
Per Comandante Gerard . in pratica si era già detto, e il sottoscritto ha gettato invettive a destra e manca, che dare i soldi alle banche non sarebbe servito per scongiurare la crisi. meglio investirli nell'economia reale e lasciare che qualche istituto/paese saltasse in aria. Le risorse utilizzate per fare deficit sarebbero finite in un giro virtuoso, soprattutto se in incentivi agli investimenti. Ora ci ritroviamo che qualche banca/paese salterà lo stesso ma con una crisi occupazionale e reale decisamente peggiorata.

Per stockuccio : la solita ricetta . svalutiamo per avere meno "debiti nominali" e favorire i grandi gruppi (vedi scelte di raddoppiare produzione Fiat ed export verso Usa come candidamente da loro ammesso sullo spot pubblicitario). ma....chi ce la toglie l'inflazione tra il 2012-2013?
 

stockuccio

Guest
Per Comandante Gerard . in pratica si era già detto, e il sottoscritto ha gettato invettive a destra e manca, che dare i soldi alle banche non sarebbe servito per scongiurare la crisi. meglio investirli nell'economia reale e lasciare che qualche istituto/paese saltasse in aria. Le risorse utilizzate per fare deficit sarebbero finite in un giro virtuoso, soprattutto se in incentivi agli investimenti. Ora ci ritroviamo che qualche banca/paese salterà lo stesso ma con una crisi occupazionale e reale decisamente peggiorata.

Per stockuccio : la solita ricetta . svalutiamo per avere meno "debiti nominali" e favorire i grandi gruppi (vedi scelte di raddoppiare produzione Fiat ed export verso Usa come candidamente da loro ammesso sullo spot pubblicitario). ma....chi ce la toglie l'inflazione tra il 2012-2013?


beh, tocca vedere come e quando finisce ... il casino è totale, il fiat money non so se resisterà, penso di no
senza fiat money l'inflazione non esiste
 

stockuccio

Guest
toh, si chiaccherava di fiat money :) ... Zibordi ... Cobraf.com



Uno dei personaggi più ricchi del Messico è Hugo Salinas Price, che però a differenza di altri miliardari messicani non si è arricchito con oscuri affari con il governo tipo Carlo Slim (privatizzazioni per amici, affari immobiliari...) che è ora più ricco di Bill Gates, ma creando dal niente una catena di supermercati. E comprando argento nei primi anni '80 PRIMA che l'argento esplodesse da 3 dollari per oncia a 50 dollari per oncia (al picco) e vendendo sui massimi convertendo tutto il Treasury bonds quando i tassi erano al 15% e prima che cominciassero a scendere. Probabilmente questo è stato il trade del secolo, comprare oro ed argento negli anni '70 quando l'inflazione stava esplodendo e vendendo sui massimi di quando i fratelli Hunt che accapparravano argento saltarono per aria (e passando tutto ai Treasury bond sui minimi)

Salinas Price che ha 75 anni ed è in pensione è a capo di un movimento che sostiene che il Messico deve tornare ad emettere il Peso messicano d'argento, la moneta non cartacea forse più famosa assieme alla sterlina d'oro degli ultimi 4 secoli, che ne 1600 e 1700 era usata come valuta oltre che negli Stati Uniti e buona parte del Sudamerica anche in Asia, a Hong Kong, in Cina, Filippine... (il peso messicano d'argento chiamato popolarlmente chiamato la "Plata")

Da 30 anni Salinas Price promuove un movimento che ha come slogan "Vamos a Monetizar la Plata!" cioè il Messico deve emettere ora di nuovo la sua moneta d'argento come nei secoli passati, liberandosi dal sistema del debito dei banchieri internazionali che dice Salinas hanno commesso una frode su scala colossale e dovrebbero stare in galera . Dopo anni di inutile predicazione i tempi stanno maturando per un ritorno del peso messicano d'argento, una moneta che il governo messicano, usando il suo argento, potrebbe emettere eliminando la necessità di indebitarsi con banche estere.

E facendo concorrenza al dollaro USA che è una moneta solo di carta dal 1971 e che ha dietro miliardi di debito. Cioè tra una moneta in cui dentro c'è dell'argento, che la tieni in mano ed è d'argento, e una moneta come il Dollaro USA che consiste di debiti emessi dagli stati uniti e detenuti ora in buona parte da paesi ed investitori esteri, a logica preferiresti la prima no ?. Ma non è teoria: per almeno due secoli, anche quando il Messico era già un paese in declino come nel 1700 o 1800, il peso d'argento era una moneta accettato negli Stati Uniti e in certi periodi preferità ai dollari. Negli Stati Uniti stessi per tutto il XIX secolo, diciamo fino al 1890 c'è stata una battaglia politica violenta tra chi sosteneva l'uso delle monete d'argento (che erano di corso comune) e chi le voleva eliminare perchè "inflazioniste". Per tre volte William Jennings Bryan su una piattaforma populista centrata sull'emissione di monete d'argento e contro le grandi banche riuscì a diventare il candidato Democratico alla Presidenza. Per sconfiggerlo la terza volta nel 1908 quando sembrava ce la facesse le grandi banche, i Morgan e i Rockfeller dovettero contribuire 10 volte più denaro al suo oppositore McKinley. Dopo di allora il potere di Wall Street e delle grandi banche nel creare denaro ha trovato sempre meno ostacoli in America

Ora però dice Salinas Price che alle prossime elezioni in Messico il partito destinato a vincere è favorevole al movimento per tornare ad emettere la moneta d'argento messicana e quindi esiste una chance reale che qualcosa succeda, specialmente se le valute come l'euro e il dollaro collassano. Bisogna ricordare che per secoli in Sudamerica e CentroAmerica in modi diversi le monete d'argento erano la moneta corrente, non d'oro. Anche in India e soprattutto in Cina le monete d'argento sono state per secoli la moneta corrente, fino al 1946 la Cina era su uno standard di argento ad esempio. In Sudamerica e Messico c'è una memoria di secoli che le monete d'argento sono il denaro vero e quindi non è difficilmente convincere di nuovo la gente. Quello che manca è un collasso delle monete di carta che le hanno sostituite cioè del dollaro USA, dell'euro e della sterlina. Prova a pensare cosa succede se l'euro perde ancora un -20% e poi di colpo hai un crac dei treasury bond USA in dollari, il giorno che il Messico emette peso d'argento come valuta internazionale...

Questo personaggio scrive anche molto sulla teoria monetaria e l'economia mondiale con notevole lucidità, qui un un [ame="http://www.youtube.com/watch?v=TOWkUZeswN8&feature=PlayList&p=629497ED717B9218&index=0&playnext=1"]intervista in spagnolo che comunque si capisce abbastanza in cui tira fuori dopo 1 minuto il peso d'argento[/ame], qui un ottima intervista di ieri in cui in inglese perfetto spiega la situazione mondiale

Qui i suoi articoli in inglese sul suo sito in cui commenta sull'economia, l'argento, l'oro e la moneta

Clicca sull'immagine per ingrandirla

http://kingworldnews.com/kingworldnews/Broadcast/Entries/2010/6/5_Hugo_Salinas_Price.html
 

Geppetto

Nuovo forumer
Sarà anche un'analisi semplicistica, ma io la vedo così: gli USA con il loro 51esimo stato ad honorem (Gran Bretagna) non ce la possono fare - hanno le ore (mesi? anni?) contate. Bisogna solo vedere quando ci sarà il crollo, perché crollo sarà e non solo delle loro divise monetarie, ma un qualcosa stile URSS.
Nel frattempo l'area euro deve resistere ai LORO attacchi speculativi stile mors tua vita mea.
Certo, forse sarebbe anche il caso di rilanciare la produzione industriale in Europa occidentale... ma chissà... forse a qualcuno non conviene...
 

tommy271

Forumer storico
CRISI: RINVIATO AL 14 GIUGNO INCONTRO SARKOZY-MERKEL

(ASCA-AFP) - Parigi, 7 giu - E' stato rimandato al prossimo 14 giugno l'incontro previsto per stasera a Berlino tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel. Lo ha reso noto l'ambasciata francese in Germania, facendo intendere che la richiesta del rinvio e' giunta da parte delle autorita' tedesche.

L'incontro di stasera era particolarmente atteso, visto il deterioramento dei rapporti tra i due Paesi a causa dei contrasti sorti in sede comunitaria riguardo agli aiuti dell'Ue alla Grecia. Berlino si e' opposta strenuamento all'intervento finanziario di Bruxelles a favore dello Stato greco. Parigi, che ha molte delle sue banche compromesse nel sistema economico greco, ha invece spinto perche' l'Ue andasse in aiuto di Atene, per scongiurare il default.
 

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